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GEN
2013
Casi Clinici

[DIABETE] L’inclinazione a procrastinare modificazioni terapeutiche efficaci (2009)


1° step
Donna di 64 anni, altezza 158 cm, peso 75 kg, indice di massa corporea (BMI) 30. Attualmente pensionata, ex infermiera adibita a servizio territoriale della ASL; vedova, 1 figlia, dedica oltre metà delle giornate ad accudire 2 nipoti. Ciò a suo dire le rende difficile praticare attività fisica con regolarità: effettua solo qualche breve passeggiata la domenica. Non fuma, non beve alcolici.
È diabetica da circa 6 anni e finora non sono state rilevate complicanze della malattia.
È inoltre ipertesa da circa 8 anni in buon controllo (130/80) ed assume nebivololo 5 mg/die. Regolari i parametri di funzione renale, compresa la microalbuminuria; lieve alterazione della GammaGT (97) in presenza di normalità delle transaminasi, fosfatasi alcalina, amilasi; lievemente elevata la ferritinemia (268); lieve alterazione del quadro lipidico (colesterolemia totale = mg 220; HDL = 97; trigliceridemia = mg 39, LDL = 115). Ecografia addome superiore: steatosi epatica di 2° grado con aree in parte confluenti, regolare la morfologia della colecisti e vie biliari, milza, reni, pancreas e aorta addominale.
Ecocardiografia: FE 58%, modesta sclerosi delle semilunari aortiche; buona cinetica atrioventricolare; non segni di disfunzione diastolica.
Elettrocardiogramma: ritmo sinusale, frequenza 86. Normale conduzione AV. Atrio-ventricologramma nella norma.
Ecocolordoppler vasi epiaortici: ispessimento intimale diffuso; segnale Doppler ben modulato bilateralmente
L’emoglobina glicata (HbA1c) media nei primi 3 anni di malattia è stata complessivamente soddisfacente: 7,1-7,5%. Tuttavia, e soprattutto negli ultimi 3 anni, l’andamento metabolico è andato deteriorandosi, con emoglobine glicate medie di 8,2-8,5. Contemporaneamente si è verificato un aumento del peso corporeo, in particolare della circonferenza vita, in parte attribuibile alla scarsa attività fisica sopra citata, in parte ad ipoglicemie che si presentano prevalentemente nella tarda mattinata e tardo pomeriggio: in realtà ella ammette di aver spontaneamente deciso di aumentare il dosaggio della sua terapia ipoglicemizzante orale abituale (glibenclamide in associazione precostituita con metformina utilizzati fin dall’esordio del diabete) avendo constatato un progressivo deterioramento della HbA1c e delle glicemie postprandiali. La paziente è sempre stata abituata ad effettuare regolarmente il monitoraggio glicemico corretto e comprensivo delle misurazioni postprandiali, avendone compreso nel corso della sua attività lavorativa la valenza nello sviluppo delle complicanze. Tuttavia non è riuscita ad accettare una eventuale modifica del tipo di ipoglicemizzante orale propostole più volte dal diabetologo, motivando il suo rifiuto con la familiarità acquisita al lavoro dei farmaci “tradizionali” e con un atteggiamento “cauto” sui nuovi farmaci con i quali non ha sufficiente “confidenza”. Ammette che la sua attenzione alla dieta è francamente diminuita negli ultimi anni.
Avendo notato circa 3 anni fa un progressivo incremento delle glicemia a digiuno (mg 170- 190) ha accettato il suggerimento di aggiungere metformina 1000 mg dopo cena, che ha ridotto i livelli a digiuno di 20 mg in media. Allorché ha notato il progressivo incremento anche delle glicemie post-prandiali (media 200-220 mg) ha temporaneamente accettato di aggiungere alla sua abituale terapia acarbose a basso dosaggio, che però non ha tollerato. Ha quindi deciso autonomamente di raggiungere il dosaggio massimale dell’associazione precostituita. Ma si è aggiunto il problema delle frequenti ipoglicemie che avvengono 3-4 volte alla settimana e molto spesso nelle ore che dedica ai nipoti.

Obbiettivi

  1. Necessità di raggiungere gli obiettivi glicemici raccomandati non trascurando quelli post-prandiali

  2. Valutare l’importanza delle ipoglicemie nell’indurre incremento ponderale

  3. Necessità di vincere “l’inerzia terapeutica” spesso legata a schemi terapeutici semplici, comodi ma “datati” rispetto a possibili associazioni farmacologiche estemporanee più scomode perché legate all’assunzione di più farmaci, ma anche dotati di minor rischio di effetti collaterali e suscettibili di una spiccata “personalizzazione” terapeutica

Domanda
È il caso di comprendere meglio e sottolineare il ruolo delle ipoglicemie sull’incremento ponderale? Esiste una relazione fra scarsa efficacia ipoglicemizzante della glibenclamide nelle ore immediatamente dopo i pasti e ipoglicemie lontano dai pasti?

Risposta
La glibenclamide ha un’azione secretagoga indipendente dai livelli glicemici nonché prolungata ma non rapida e dunque la sua cinetica non è adeguata alle problematiche della paziente ancorché essere, ancor più a dosi elevate, fattore favorente quelle stesse problematiche.

2° step
Finalmente la paziente accetta la sostituzione terapeutica e optiamo per il mantenimento della metformina (2000 mg/die) somministrata a colazione e cena, e la sostituzione di glibenclamide con repaglinide a dosaggio medio (2 mg a pranzo e cena). Nell’arco di 4-5 settimane la paziente nota una drastica riduzione delle ipoglicemie fino alla scomparsa; i livelli glicemici postprandiali tuttavia si modificano solo in parte, ovvero migliorano quelli misurati dopo pranzo (media 180-190 mg) ma persistono elevati quelli dopo cena (media mg 200) nonché sostenuti sono i livelli glicemici registrati nel tardo pomeriggio e pre-cena (170-180 mg), con suo disappunto allorché messi a confronto con il problema inverso delle ipoglicemie in corso di utilizzo di glibenclamide; le glicemie a digiuno sono simili al periodo precedente (160-170 mg).
Nonostante tale andamento metabolico e pur non essendo riuscita a migliorare l’aderenza alla dieta, nel frattempo registriamo nei 3-4 mesi successivi una lieve riduzione del peso corporeo di circa 2 kg: attribuiamo tale dato all’eliminazione degli spuntini resi necessari dalle ipoglicemie del periodo precedente. Le due misurazioni di HbA1c successive migliorano (7,8-8%) ma non sono ancora a target.

Domanda
Potremmo ritenerci soddisfatti dei risultati raggiunti e possiamo quindi solo raccomandare di rinforzare un programma di attività fisica? Peraltro la paziente acconsente a tale proposta ma ben presto non riuscirà a seguire tale programma.

Risposta
Il target di HbA1c non è stato raggiunto e poiché è stata almeno in parte vinta la ritrosia della paziente al cambiamento terapeutico, le proponiamo di aggiungere alla terapia già in atto un farmaco per lei nuovo, rosiglitazone 4 mg a colazione e cena.

3° step
Nei primi 2 mesi della triplice terapia l’andamento metabolico non si è sostanzialmente modificato ma dal 3° mese in poi la paziente ha registrato nuovamente episodi ipoglicemici pomeridiani e meno frequentemente notturni. L’emoglobina glicata successiva si riduce a 7,5% e tale dato suggerisce di mantenere la triplice associazione, riducendo il dosaggio di rosiglitazone a 4 mg/die (2 mg a colazione e a cena). Dopo tale riduzione gli episodi ipoglicemici diventano sporadici (1-2 al mese) e soprattutto si registra una stabilità glicemica con minori escursioni orarie e livelli medi a digiuno di mg 130-145 e post-prandiali di mg 150-165. L’emoglobina glicata oscilla stabilmente fra 7,1 e 7,3%.

Domanda
Non c’era il rischio di favorire un ulteriore aumento di peso utilizzando un glitazone?

Risposta
Il rischio è teoricamente possibile, ma poiché non vi erano importanti controindicazioni, anzi, in presenza di marcata epatosteatosi, l’efficacia del rosiglitazone era attesa 1 2. Inoltre il basso dosaggio raggiunto in un secondo tempo e mantenuto con stabile efficacia sui livelli glicemici ha dimostrato di non favorire tale possibile effetto collaterale.

Commento finale sul caso clinico
In presenza di residua secrezione insulinica (che pure all’esordio del diabete mellito di tipo 2 è presumibilmente ridotta del 50%), qualora sia necessario ricorrere all’associazione di metformina con secretagoghi, sarebbe opportuno scegliere quelli ad azione rapida e condizionata dal livello glicemico per non favorire l’inevitabile “esaurimento” beta-cellulare 3 4. Il caso dimostra l’utilità di associare principi attivi diversi, ciò che può consentire di raggiungere il target dei livelli glicemici e di HbA1c 5 6 grazie alle varie azioni ipoglicemizzanti di ciascuno di essi: a livello periferico per la metformina, a livello epatico per i glitazoni, a livello beta-cellulare per sulfaniluree e glinidi 3 4 7. Inoltre in tal modo i dosaggi utilizzati per raggiungere i target possono essere inferiori a quelli massimali, con minori effetti collaterali (ad esempio la stabilità ipoglicemizzante dei glitazoni ne favorisce l’efficacia a dosi medio-basse).

Bibliografia

  1. Riedel AA, Heien H, Wogen J, Plauschinat CA. Secondary failure of glycemic control for patients adding thiazolindinedione or sulfonylurea therapy to a metformin regimen. Am J Manag Care 2007;13:457- 63.

  2. Charbonell B, Schernthaner G, Brunetti P, Matthews DR, Urquhart R, Tan MH, et al. G-term effificacy and tolerability of add-on pioglitazone therapy to g monotherapy compared with addition of gliclazide or metformin in patients with type 2 diabetes. Diabetologia 2005;48:1093-104.

  3. Cordera R, Cucinotta D, De Cosmo S, De Micheli A, Pontiroli A, Sesti G. Il fallimento secondario degli ipoglicemizzanti orali nel diabete mellito tipo 2: inquadramento fisiopatologico e approccio terapeutico. Il Diabete 2008;2:57-76.

  4. Pontiroli AE, Calderara A, Pozza G. Secondary failure of oral hypoglycemic agents: frequency, possible causes, and management. Diabetes Metab Rev 1994;10:31-43.

  5. IDF Clinical Guidelines Task Force. Global Guideline for type 2 diabetes. Brussels: International Diabetes Federation 2005.

  6. Diabete Italia, AMD, SID. Standard italiani per la cura del diabete mellito. Torino: Infomedica 2007.

  7. Nathan DM, Buse JB, Davidson RJ, Ferrannini E, Holman RR, Sherwin R, et al. Gestione dell’iperglicemia nel diabete mellito di tipo 2: un algoritmo di consenso per l’avvio e l’aggiustamento del trattamento. Diabetes Care 2008;33:29-31.

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