- [Formazione. DOLORE] Breakthrough Pain e Dolore Incidente
- Classificazione in base alla Etiopatogenesi
- Il Dolore cronico maligno. Classificazione di Ashby
- Conclusioni
Sono diversi i tipi di approccio per inquadrare da un punto di vista diagnostico il dolore. Si può localizzarlo come sede, ma si può scegliere invece di analizzarne le caratteristiche temporali di durata o invece i meccanismi patogenetici che ne stanno alla base e ne configurano la percezione. Il problema è che tutti questi tipi di approccio sono parziali e molte volte nella fase di diagnostica descrittiva vengono integrati in modo più o meno ortodosso o razionale. Così per esempio la parola persistente sta ad indicare la continuità nel tempo della sintomatologia algica a cui fa da contrappeso il termine intermittente a definire un andamento fasico, con alternanza di periodi di benessere o di ripresa algica. Esiste inoltre il dolore che la classificazione della semeiotica clinica chiama remittente. E un dolore che presenta cioè nella sua continuità sintomatologica un andamento non costante, in cui si alternano e si susseguono picchi di intensità in salita e in discesa. Ma ci sono poi dolori che si aggiungono alla sintomatologia di base accentuandone le caratteristiche e che vengono definiti con il termine di dolori incidenti, o altri che si manifestano durante azioni o movimenti particolari (breaktrough pain degli autori anglosassoni). Insomma un panorama vasto e assortito di terminologia clinica volta a cogliere aspetti essenziali, seppur parziali, della sintomatologia dolorosa. Ma a monte di tutto questo esiste la classica divisione spartiacque che scompone il dolore in acuto e cronico, attribuendo a questultimo non solo una connotazione di durata, ma anche un significato che potremmo definire esistenziale. Essa lo configura di per se come qualcosa di più di una mera sintomatologia algica che si svincola e sfugge progressivamente aldato e alla patogenesi contingente, per modificarsi durante il suo percorso ed assumere esso stesso la dignità di dolore-malattia.
E importante saper discriminare tra DOLORE ACUTO e DOLORE CRONICO.
Il DOLORE ACUTO, di recente insorgenza, è un segno di allarme protettivo, con finalità biologica di utilità e protettiva nei confronti della persona. Esso genera ansia e stimola il malato a rivolgersi al suo medico, che con la maggior rapidità dovrà risalire alla causa che lo ha determinato e rimuoverla, se possibile, instaurando una adeguata terapia. Lobiettivo terapeutico di questa serie di reazioni e di comportamenti è: la guarigione clinica. Classicamente per definizione si può definire come dolore acuto un dolore con durata massima di sei mesi.
Il DOLORE CRONICO, è rappresentato da una manifestazione algica persistente che tende a riproporsi, con monotona continuità, nella quotidianità delle vita del paziente, diventando spesso compagno di viaggio continuamente o frequentemente presente, seppur non gradito. Esso non protegge luomo, ma lo distrugge fisicamente, psicologicamente e socialmente (Sternbach, 1974). Si configura pertanto nel monotono persistere, come una vera e propria patologia devastante e distruttrice che prende il nome di dolore-malattia. Esso non ha alcuna utile finalità biologica e genera pressoché costantemente ansia e depressione anchesse ad andamento cronico. E proprio la persistenza di questo sintomo insieme alla difficoltà ad individuarne in modo chiaro, nitido i confini eziologici e patogenetici, come pure a trovarne una cura efficace, che costringe i malati a “pellegrinaggi periodici. Questo nella speranza comprensibile, ma illusoria, di trovare il terapeuta capace di offrire loro finalmente una diagnosi e una cura risolutiva. E la genesi multifattoriale e non sempre, o non più, così facilmente definibile eziopatogeneticamente che rende pressoché quasi sempre inutili e inefficaci, con il passare del tempo, gli interventi dei singoli operatori che si susseguono nella cura di questo problema. E non potrebbe essere altrimenti vista la complessità e la singolarità dei diversi determinanti che si inseriscono e si intersecano, in modo peculiare e specifico per ciascun paziente, nel suo determinismo. E questo un quadro clinico che oseremmo definire più una malattia della persona, che di un singolo organo ed apparato. Una malattia quindi a genesi multifattoriale che richiede un approccio globale e multimodale al malato. Per esso non si potrà fornire quindi una riposta singola per quanta altamente qualificata e differenziata, ma piuttosto risposte integrate fra loro, in cui gli aspetti squisitamente farmacologici si associano a modelli comportamentali e a supporti psicologici relazionali e affettivi. Il dolore cronico è un problema che per la numerosità dei casi, la molteplicità delle sue manifestazione e, soprattutto, per le caratteristiche di disagio e di impellenza che pone al malato e al medico, non può che eccezionalmente essere demandato allo Specialista. Esso proprio per la sua peculiare caratteristica di “malattia della persona diventa terreno fertile e specifico di intervento del medico di famiglia, abituato da sempre, nel setting ambulatoriale, ad un approccio olistico al paziente ed ai suoi problemi. E lunicità della figura del medico di medicina generale nelluniverso della sanità, capace di contestualizzare il malato e la sua sintomatologia nellambito più ampio delle relazioni familiari e sociali e di inerfacciarlo con le caratteristiche di personalità specifiche di ciascuno, che lo rende loperatore più adatto a prendersi carico di questa problematica organizzando percorsi e interventi integrati.