Un po’ di storia

Le basi su cui poggiano le attuali conoscenze sul dolore derivano dalla ricerca compiuta negli ultimi 150 anni in questo campo. Il concetto di dolore esce dalla mera sfera filosofica con gli studi condotti da Muller e Weber sui recettori. Essi per la prima volta intuirono l’assenza di strutture specifiche deputate a rilevare il dolore, ipotizzando la possibilità che ogni recettore, purché stimolato adeguatamente, fosse in grado di scatenare la percezione dolorosa. La morfina veniva sintetizzata per la prima volta dal farmacista tedesco Serturner, ai primi anni dell’800, mentre è del 1846 la prima anestesia effettuata a Boston dal Dr. Morton. Nel corso del stesso secolo furono scoperte la codeina (Robiquet, 1832) e la papaverina (Merck, 1848), ma è solo dopo la seconda guerra mondiale che nasce la vera anestesia con l’impiego della ventilazione manuale e dell’intubazione. Nonostante questi primi timidi tentativi di addentrarsi e penetrare nel “pianeta dolore” è solo dalla metà del secolo scorso che i progressi in questo campo si fanno più mirati e incalzanti. Grazie al lavoro di tanti ricercatori, primo fra tutti l’italo-americano John Bonica vengono poste definitivamente le basi per un approccio razionale al dolore e alla sua terapia. Nel 1959 viene scoperto il fentanyl, ma è solo nel 1973 che si individuano, localizzano e tipizzano i recettori per gli oppioidi. Due anni più tardi, nel 1975, vengono scoperti i peptidi endogeni ad efficacia antalgica, rappresentati dalle due grandi famiglie delle enkefaline e delle endorfine. Il “puzzle” del dolore comincia lentamente a perdere i contorni sfumati ed indefiniti che lo hanno caratterizzato fino ad allora per iniziare ad assumere basi più precise e razionali. In un continuo intrecciarsi di scoperte neurofisiologiche, biochimiche e neurofarmacologiche le tessere del mosaico vanno a poco a poco prendendo il loro posto, disegnando un quadro complesso e affascinante della percezione e rappresentazione del dolore nei primati e nell’uomo. Alle scoperte sempre più mirate sul meccanismo di azione di molti farmaci antalgici si affiancano e si susseguono nuove, sempre più approfondite e articolate teorie sulla genesi del dolore. E’ però solo con la pubblicazione dell’articolo intitolato ” Pain mechanism: a new theory” apparso sulla rivista Science nel 1965 a firma di Melzach e Wall, il primo psicologo e il secondo neurofisiologo, che vengono posti all’attenzione della comunità scientifica i meccanismi anatomo-fisiologici ipotizzati come base della percezione del dolore.
La nuova teoria è oggi ormai universalmente conosciuta con il nome di “teoria del cancello” (gate control) ed è servita da stimolo per un ampio e fecondo dibattito sulle basi anatomiche e neurofisiologiche della stimolazione algica, avvenute nei decenni successivi. Oggi si conosce molto di più sui processi implicati nella percezione del dolore, anche se gli intimi meccanismi responsabili della genesi dei messaggi nocicettivi restano ancora in parte da definire. Numerosi sono i fattori chimici capaci di influire sull’attività dei recettori algogeni o nocicettori e di modificare la trasmissione della percezione dolorose lungo le vie nervose responsabili del trasferimento dell’informazione dalla periferia al sistema nervoso centrale dove avviene l’elaborazione corticale dello stimolo. Alcune di queste sostanze come ad esempio le bradichinine, l’istamina, la serotonina, le prostaglandine, gli ioni idrogeno e la sostanza P vengono liberate da tessuti danneggiati e sono in grado di sensibilizzare i nocicettori tissutali. Lo stimolo doloroso prosegue poi lungo vie nervose specifiche fino al midollo spinale e di qui alla corteccia cerebrale per mezzo di ponti sinaptici. Nella modulazione, in queste sedi, del messaggio doloroso giocano un ruolo determinante mediatori chimici e recettori specifici. Gli studi neuroanatomofisiologici stanno infatti definendo le aree di localizzazione preferenziale dei differenti mediatori e recettori configurando interazioni sempre più complesse e modulari sia tra le diverse strutture che fra le differenti molecole che intervengono nella genesi del dolore. Ma la conoscenza approfondita dei meccanismi neuro-fisiologici che sottendono alla percezione di questo sintomo non può ritenersi che una base di partenza per l’esplorazione del “problema dolore”. Oggi più che mai, si è consapevoli che esso è un’esperienza estremamente complessa, frutto in ogni momento di una ridefinizione dell’informazione algica in partenza dalla periferia attraverso un fenomeno di modulazione articolata che si determina in più stazioni e in varie sedi. Questo processo tende ad integrare la mera componente neurofisiologica del dolore con le componenti affetivo-emotive che esso suscita in ciascun individuo. In questo equilibrio dinamico e in divenire della percezione dolorosa, si integrano la percezione periferica del sintomo con le modulazioni che si estrinsecano nelle varie sedi dove si realizza la cosiddetta “riverberazione” emotiva ed emozionale dell’esperienza dolore. Essa è in ogni momento unica e irripetibile per ciascun individuo, e può variare nel tempo sia nello stesso soggetto, ma anche in soggetti differenti a parità di stimolazione algica. L’unicità dell’esperienza dolore configura qualcosa di più e di diverso della sola percezione neurofisiologica. Essa si intreccia con lo stato emotivo e si raccorda con la memoria e il ricordo delle precedenti esperienze. Il risultato finale non è più e non è solo la semplice percezione e trasmissione di uno stimolo di intensità e di ampiezza differente, ma un quadro clinico che coinvolge tutta la persona umana nelle sue dimensioni fisiche, psichiche e spirituali che chiamiamo “sofferenza”.
La teoria del cancello di Melzack-Wall
La teoria del cancello si riassume nel concetto che esiste una soglia di input dolorifico oltre la quale il sistema nervoso centrale attiva i sistemi discendenti inibitori (il cancello) sullo stimolo in ascesa. Questa modulazione del dolore, ad azione inibitrice variabile, sembra ipotizzabile risieda anatomicamente nella sostanza gelatinosa del corno midollare posteriore (a livello delle lamine I, II e V). Premessa indispensabile alla comprensione di questa teoria è la conoscenza della formazione dell’impulso doloroso nella sua stazione di origine periferica, e della sua propagazione attraverso sistemi di conduzione afferenti complessi, che lo fanno progredire attraverso una serie di interconnessioni modulari e dinamiche verso la corteccia cerebrale.

Gli input dolorosi partono da recettori periferici (nocicettori) che traducono un evento in potenziali d’azione che progrediscono a loro volta, dalla sede di stimolazione verso il midollo spinale attraverso due sistemi con differenti modalità di conduzione:

  1. Seguendo una via molto rapida, attraverso le fibre A delta, parzialmente mielinizzate, a velocità di conduzione medio alta: 12-30 m/sec. Sono fibre la cui guaina di mielina è interrotta dai nodi di Ranvier. Questa configurazione anatomica risulta responsabile della cosiddetta conduzione “saltatoria”, capace di incrementare notevolmente la velocità di trasmissione dell’impulso. Si può ricordare a questo proposito che gli anestetici locali agiscono proprio a questo livello, bloccando la conduzione dell’impulso lungo le fibre A delta. Questo tipo di fibre conducono impulsi dolorosi acuti facilmente localizzabili.
  2. Seguendo una via di conduzione molto più lenta: 0,5-3 m/sec, attraverso fibre C, prive di guaina mielinica , responsabili della trasmissione dell’informazione relativa ad un tipo di dolore più lento, “sordo”, diffuso, mal definito e meno localizzato.

Si riconoscono fondamentalmente due vie che conducono l’impulso doloroso dal midollo spinale alla corteccia cerebrale:

  1. La VIA NEOSPINOTALAMICA: va direttamente e con poche sinapsi al talamo controlaterale, e da qui alla corteccia. E’ la via del dolore acuto, con poche implicazioni di memoria e scarsamente dotata di connotazioni esperienziali. Essa è responsabile di informazioni nocicettive specifiche con ben precise connotazioni spaziali anatomiche.
  2. La VIA PALEOSPINOTALAMICA: giunge anch’essa alla corteccia, ma attraverso numerose sinapsi intermedie nella sostanza reticolare. L’impulso condotto attraverso questa via subisce quindi numerose modulazioni. Essa proietta l’informazione alle strutture limbiche e ad altre aree corticali responsabili delle percezione dolorosa più diffusa e mal definita.

Se per molto tempo questi due sistemi sono stati ritenuti non solo anatomicamente ma anche funzionalmente divisi, studi più recenti hanno evidenziato come esistano tra di essi interconnessioni a più livelli che rendono conto della reciproca modulazione sull’impulso in ascesa. Il sistema algico (definito anche PAIN SYSTEM) riconosce quindi nella sua struttura funzionale tre elementi essenziali:

  • Un SISTEMA AFFERENTE : responsabile del trasporto degli impulsi dalla periferia ai centri
  • Un SISTEMA DI RICONOSCIMENTO: che decodifica e interpreta l’informazione dolorosa e predispone la strategia della risposta motoria, neurovegetativa, endocrina e psicoemotiva
  • SISTEMA DI MODULAZIONE: che modifica l’intensità di trasmissione degli stimoli nocicettivi mediante l’attivazione di sistemi inibitori.
Un primo sistema di controllo è già presente, come accennato in precedenza, nel midollo spinale a livello delle corna posteriori, dove si verifica l’interconnessione tra il primo neurone periferico e il secondo neurone a “T” detto di intermediazione. La zona delle corna posteriori assume così una importanza strategica da un punto di vista funzionale. Essa è divisa in 4 zone la più importante delle quali (zona gelatinosa) rappresenta il punto di connessione con la metà controlaterale del midollo, e con i fasci a proiezione corticale, ma soprattutto è una delle sedi in cui i recettori per gli oppioidi sono riccamente rappresentati. Il sistema antinocicettivo neuroendocrino proprio dell’organismo esercita la sua azione a questo livello attraverso i cosiddetti oppiodi endogeni. Essi sono peptidi ad azione oppiacea suddivisi tassonomicamente nelle tre differenti famiglie delle encefaline, endorfine e dinorfine. Ciascuna di esse deriva da un precursore polipeptidico differente. Tutte le tecniche antalgiche agiscono anche modulando questa via ultima comune; favorendo cioè la produzione di oppioidi endogeni che saturano i recettori della zona 2 della sostanza gelatinosa.
Il TALAMO, centrale di controllo e di smistamento dell’impulso algico.
Alla prima stazione spinale di modulazione si affianca e si integra, con competenze di grado più elevato, il “complesso talamico” responsabile di una raccordo funzionale tra periferia e rappresentazione corticale della percezione algica. A livello talamico avviene una riorganizzazione fondamentale del segnale stesso attraverso una fase di integrazione e di decodificazione dell’informazione dolorosa. Essa viene in questa sede rimodellata dalla riverberazione delle proiezioni dell’impulso sia a livello limbico che della sostanza reticolare. L’impulso che da questa fondamentale “stazione di traffico” si proietta alla corteccia, assume così una connotazione psicoaffettiva che concorre a determinare la memoria del dolore, che tanta parte ha nella rappresentazione cronica del sintomo.
I recettori per gli oppioidi
Sono quattro i principali tipi di recettori per gli oppioidi: MU, K, DELTA e SIGMA. Essi sono diffusi in molte parti dell’organismo anche al di fuori del sistema nervoso centrale contrariamente a quanto si pensava.

Di questi, i primi tre sono i più importanti e conosciuti, ulteriormente classificati in più sottotipi: MU1 e MU2, K1, K2 e K3, DELTA 1 e DELTA 2. I farmaci oppioidi più comunemente usati nella pratica clinica si legano selettivamente ai recettori MU.

  • RECETTORI MU: responsabili dell’analgesia sopraspinale , antagonizzati dal naloxone, possono dare, per la loro distribuzione prevalentemente centrale, se adeguatamente stimolati, depressione respiratoria, euforia, dipendenza, prurito, nausea, riduzione della motilità intestinale, ritenzione urinaria, bradicardia.
  • RECETTORI KAPPA: sito preferito di legame delle endorfine, a prevalente distribuzione corticale e spinale, sono i responsabili dell’analgesia spinale e possono dare miosi e sedazione.
  • RECETTORI DELTA: distribuiti sia al midollo sia in sede centrale sono presenti soprattutto nell’amigdala dove sembrano essere responsabili delle emozioni e connessi con l’affettività; i composti che si legano ai recettori delta sembrano essere efficaci anche nelle condizioni di infiammazione cronica e di dolore neuropatico.
  • RECETTORI SIGMA: di recente scoperta, erano definiti “orfani” per la mancanza di un ligando oppiaceo che ora è stato scoperto.
  • RECETTORI NMDA: sono inseriti lungo vie nocicettive “plastiche”, che possono influenzare la percezione dolorosa e la risposta agli oppioidi; gli Aminoacidi (AA) eccitatori, quali il glutammato, probabilmente coinvolti nel dolore neuropatico, sono i ligandi endogeni per tali recettori. Gli antagonisti NMDA potrebbero prevenire o bloccare gli stati di ipersensibilizzazione centrale indotti da danno tissutale, danno nervoso, infiammazione ed ischemia. In combinazione con gli oppioidi, gli antagonisti dei recettori NMDA (metadone, destrometorfano – non ancora in Italia – e ketamina) potrebbero essere utili negli stati dolorosi con ridotta sensibilità agli oppioidi.

 

I principali neurotrasmettitori del dolore

 

  • SOSTANZA P
    Peptide responsabile della neurotrasmissione oltre che del mantenimento del dolore infiammatorio; si trova prevalentemente localizzato nelle corna posteriori del midollo.
  • SEROTONINA E NORADRENALINA
    Svolgono un’azione prevalentemente inibitoria
  • ACETILCOLINA
    Svolge un’azione di modulazione sull’azione della serotonina e della noradrenalina
  • OSSIDO NITRICO
    Sostanza con ruolo facilitante sulla percezione della stimolazione che assume un ruolo importante nel processo di sviluppo del dolore cronico.
  • GABA (Ac. Gamma amino butirrico)
    Amminoacido presente soprattutto nelle corna posteriori del midollo, con ruolo inibitorio, ma purtroppo non solo. Proprio per questo lo sfruttamento di farmaci GABA-ergici risulta problematico nella pratica clinica (Baclofen, usato, per via orale o subaracnoidea, nella terapia della spasticità).
  • EAA (Aminoacidi eccitatori)
    Amminoacidi che svolgono una funzione di tipo eccitatorio, agiscono come attivanti sui recettori NMDA e possono essere bloccati dal metadone, dalla ketamina o dal destrometorfano.
  • SOMATOSTATINA
    Peptide ad attività generalmente inibitoria, ma anche antagonista recettoriale del sistema degli oppiacei endogeni, può pertanto inibire l’analgesia.
L’esperienza Dolore
La definizione di dolore dall’Associazione Internazionale per lo studio del dolore (IASP) è la seguente:
“Esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata ad un danno tissutale presente o potenziale, o descritta in termini di potenziale danno”. La definizione mette in evidenza che le componenti dell’esperienza dolore sono almeno quattro.
  • COMPONENTE SENSORIALE: esprime la percezione anatomica e neurofisiologica dello stimolo; ad essa si è fatto cenno in precedenza.
  • COMPONENTE EMOZIONALE : rappresenta ciò che conferisce alla percezione algica la “tonalità umorale e psico-affettiva” dell’esperienza dolorosa (es: spiacevole, penosa, insopportabile, etc). E’ determinata dalla causa, ma anche dal contesto, come pure dalla prognosi e dall’evoluzione della malattia e si interseca in modo difficilmente districabile con le caratteristiche di personalità di ciascun individuo. Essa può essere determinata dall’ansia, dalla depressione ed in genere da ogni emozione, che frequentemente si accompagnano alla percezione algica di base e che influenzano a loro volta in una spirale patologica e “perversa”, la percezione del dolore.
  • COMPONENTE COGNITIVA: codifica l’insieme dei processi mentali che influenzano la percezione del dolore. Processi ben noti che si susseguono o oscillano tra poli contrapposti quali ad esempio: distrazione/attenzione, interpretazione/negazione, finalismo/afinalismo. Essi riescono a modificare la percezione soggettiva del dolore tanto da determinare comportamenti molto diversi tra loro a parità di stimolo doloroso.
  • COMPONENTE COMPORTAMENTALE: è l’insieme delle manifestazioni, verbali e non verbali, osservate nelle persone che soffrono (mimica, pianto, postura….). Costituisce indice fedele dell’impatto che il dolore determina in un determinato soggetto, in un particolare contesto e in un momento preciso della sua vita di relazione. Il comportamento del malato quindi è sempre la risultante della complessa interazione tra le diverse componenti sopra descritte. Esso è frutto dell’interazione e dell’equilibrio dinamico tra la soggettività del singolo paziente e il contesto socio-ambientale e relazionale in cui egli vive l’esperienza “dolore”. La componente comportamentale assume connotazioni peculiari e irripetibili ogni volta, e varia in modo più o meno differenziato con il progredire della storia clinica, con la modificazione del contesto e con il progredire e il mutare del tempo.