04
FEB
2011
Critical Appraisal

[CRITICAL APPRAISAL] Aspetti di prevenzione cardiovascolare nell’ anziano


Autori: Alessandro Battaggia

Aspetti di prevenzione cardiovascolare nell’ anziano
Dott. Alessandro Battaggia

Messaggi chiave
La dimensione epidemiologica della prevenzione cardiovascolare nel paziente anziano è rilevante, vuoi per la prevalenza delle fasce di età geriatrica nella popolazione vuoi per l’ aumento della spettanza di vita di questo strato. Questa breve rassegna esamina solamente il management dell’ ipercolesterolemia e della ipertensione in età geriatrica. La letteratura fornisce dati relativamente solidi per il management della dislipidemia nei pazienti anziani già affetti da danno cardiovascolare (prevenzione secondaria) e per il management dell’ ipertensione nei pazienti anziani non affetti da danno cardiovascolare (prevenzione primaria). Nelle altre categorie l’ intensità della scelta terapeutica dovrebbe essere guidata dal buon senso clinico. Manca letteratura sperimentale sul management dell’ alto rischio cardiovascolare nei pazienti anziani fragili, ma esistono autorevoli documenti di consenso rivolti a questa categoria di soggetti a rischio.

Riferimenti epidemiologici
In una casistica di 3145 soggetti veronesi che costituivano il dataset dello studio epidemiologico Progetto Verona [Bastarolo 2005] 426 erano pazienti di età superiore uguale a 65 anni. Il dataset è stato rivisitato alla luce dei nuovi cut off glicemici necessari alla diagnosi di diabete mellito[Battaggia 2009c] In questo strato di 426 anziani57 erano esenti da danni cardiovascolari ma affetti da diabete e 56 avevano una storia personale positiva per vasculopatia, stroke o tia o cardiopatia ischemica. Pertanto più un anziano su cinque (56+57=113 ossia 26.5% del totale di anziani) eracaratterizzato da un rischio assoluto di eventi cvd sicuramente superiore a 20% in dieci anni [SIMG 2009]. ll dataset del campione studiato dal Progetto Verona [Bastarolo 2005] non conteneva tutti i dati necessari a stratificare il rischio secondo la definizione SIMG [SIMG 2009] ma è interessante rilevare che nello strato di 426 anziani313 soggetti ( 73.47 %) risultavano esenti da danno cardiovascolare o da diabete (il diabete è considerato un equivalente di danno cardiovascolare). Questi individui potevano essere quindi considerati potenziale oggetto di interventi di ‘prevenzione primaria’.

Entro la coorte di 313 soggetti anziani non diabetici e senza eventi CVD nell’ anamnesi 286 pazienti avevano un’ età inferiore a 70 anni ed erano pertanto candidabili al calcolo del Rischio Cuore [Palmieri 2004]. I record di 285 su 286 pazienti erano completi di tutti i dati necessari al calcolo. In questa sotto-coorte di 285 pazienti 31 erano caratterizzati da rischio superiore o uguale al 20% in dieci anni 254 pazienti da livelli di rischio inferiori.


Il rischio medio di eventi CVD calcolabile per tutta la sottocoorte di 285 pazienti era 0.105 (10.5% in dieci anni). Per cui complessivamente in base alle direttive delle linee guida applicabili alla popolazione generale erano candidabili ad una gestione ‘aggressiva’ del rischio 113+31=144 soggetti (33.8% della intera casistica di 426 anziani). Per 254 individui (59.6% dell’ intera casistica di 426 anziani) il livello di rischio non era tale da richiedere interventi aggressivi in quanto inferiore al 20% in dieci anni. 27 soggetti non diabetici, privi di eventi ma con età >70 anni (6.3% dell’ intera casistica di 426 anziani) costituivano un’ area grigia di intervento in quanto non in possesso di presupposti necessari al calcolo del Rischio. In un soggetto potenzialmente candidabile alla misura del rischio il record non conteneva tutti i dati necessari al calcolo.
Le problematiche inerenti il management del Rischio risultano importanti nella terza età in virtù del trend in aumento della spettanza di vita. Ad esempio i dati ISTAT 2003 per la popolazione italiana prevedevano una durata di vita media di 82.8 anni per le femmine e di 77.2 anni peri maschi [ISTAT 2003]. Ciò equivale a dire che un maschio appena entrato in età geriatrica ha una spettanza di vita di 12.2 anni, e che una femmina nella stessa condiziona addirittura di 17.8 anni.
Esamineremo in questa breve rassegna solo gli interventi farmacologici in prevenzione primaria e in prevenzione secondaria associati al management della dislipidemia e dell’ ipertensione nell’ anziano.

Terapia antiiperlipidemizzante nell’ anziano
Abbiamo cercato metanalisi su sull’ utilizzo delle statine in prevenzione primaria e secondaria esplorando i database della Cochrane Library e di Medline entro il decennio 2001-2010. Due metanalisi [Afilalo 2008 e Roberts 2007] erano dedicate in modo specifico all’età geriatrica.
In prevenzione primaria non esistono dati sufficienti per formulare raccomandazioni precise sul management della ipercolesterolemia nei pazienti ad Alto Rischio in età geriatrica. La più recente e importante revisione sistematica sulla terapia a base di statine in individui event-free (età medie riportate dai trial: da 51 a 75 anni) è la metanalisi di Ray , il cui plusvalore è rappresentato dall’ aver recuperato i dati individuali di ricerche che avevano reclutato casistiche miste, potendo così mondare il dataset dai soggetti che al momento dell’ arruolamento avevano in realtà già subito eventi cardiovascolari ( presenti in minoranza anche nei trial definiti ‘in prevenzione primaria’) [Ray 2010] . A differenza di altri autori che non erano riusciti nello stesso intento [Brughts 2009] Ray e coll non hanno dimostrato vantaggi per le statine nel ridurre la mortalità generale, unico outcome al momento analizzato. Ignoriamo se ciò possa o meno essere estrapolato alla prevenzione primaria in pazienti in età geriatrica perché i dati generati dagli strati di età più avanzata nella metanalisi di Ray erano come riconoscono gli stessi autori troppo scarsi per poter fornire risultati attendibili attraverso analisi per sottogruppi [Ray 2010] . La quaestion è tuttavia importante in quanto dubbi sulla convenienza o meno di somministrare statine nella terza età erano stati generati proprio dagli incerti risultati offerti in tal senso dalla letteratura internazionale [ Katerndal 1999, PROSPER 2002]. L’ unico trial basato sul confronto ‘statine versus placebo’ che abbia reclutato solo anziani è lo studio PROSPER , che non ha dimostrato vantaggi del trattamento sulla mortalità generale ma ha rilevato risultati significativi per l’ importante outcome composito primario <morte coronarica o morte da ictus o infarto non fatale o stroke non fatale> su cui era stato tarato il sample size. Un’ analisi per sottogruppi della stessa ricerca dimostrava che il vantaggio, pur con identica intensità di effetto, risultava ‘significativo’ nello strato di pazienti in prevenzione secondaria ma e ‘non significativo’ nei pazienti in prevenzione primaria[PROSPER 2002]. Essendo i risultati PROSPER sulla inefficacia nel ridurre i decessi e sulla inefficacia delle statine in prevenzione secondaria analisi non primarie non potevano essere interpretate con la stessa dignità dell’ analisi primaria, per cui il dubbio non era certo risolvibile dai dati del trial. Una metanalisi del 2007 ha affrontato in modo specifico il problema della terapia a base di statine nei pazienti in terza età [Roberts 2007]. Questa revisione non ha considerato separatamente gli interventi in prevenzione ‘primaria’ o ‘secondaria’ . La metanalisi ha analizzato 15 sperimentazioni versus placebo che avevano arruolato soggetti con età media superiore a 60 anni (51351 pazienti complessivi) . I risultati della revisione hanno dimostrato vantaggi significativi per le statine sia nel ridurre la mortalità generale che la mortalità specifica coronarica che il rischio di infarto miocardico e di stroke. Tuttavia questa metanalisi soffre a nostro parere di importanti limiti metodologici. Solo quattro trial sui 15 analizzati avevano infatti considerato esclusivamente casistiche di ultrasessantacinquenni. Ad eccezione del già citato studio PROSPER [PROSPER 2002] si trattava per lo più di analisi di sottogruppi di pazienti in età geriatrica pubblicate post hoc dagli autori dei trial originali [4S-elderly 1997, CARE-elderly1998, LIPID-elderly 2001]. Dai forest plot riportati dalla metanalisi si evince che gli autori hanno utilizzato per il pooling solo gli eventi riportati dai singoli trial per il campione in toto e questo può aver contribuito, come riconoscono gli stessi, ad un inquinamento dei risultati grazie al contributo dei pazienti di età non geriatrica reclutati dalle singole ricerche. Solo alcuni report [HPS 2002, LIPID-elderly 2001, AFCAPS-women 2001, CARE-elderly 1998, PLAC I e II 1995, PROSPER 2002] avevano pubblicato la numerosità degli strati di età superiore o inferiore a 65 anni e dai dati pubblicati dagli altri trial inclusi nella metanalisi risulta impossibile al lettore stabilire con certezza il numero di pazienti non geriatrici (= con età inferiore a 65 anni) he hanno in realtà contribuito ai risultati. Per i trial inclusi nella metanalisi di Roberts che non pubblicano questa informazione la numerosità degli strati di età inferiore a 65 anni può essere calcolata approssimativamente presupponendo una distribuzione gaussiana entro i singoli campioni attraverso la statistica z (calcolabile dalla media e dalla deviazione standard dell’ età pubblicata dal trial). Escludendo le casistiche di due studi ([FLORIDA 2002 , Mohler 2003]: 613 pazienti) la cui incompletezza del report non consentiva questo approccio abbiamo approssimativamente stimato che oltre il 40% dell’ intera casistica considerata da Roberts era con ogni probabilità rappresentata da pazienti di età inferiore a 65 anni (Battaggia 2011, dati non pubblicati). E’ importante osservare che Roberts & coll hanno utilizzato nel pooling solo il numero di eventi ricavato dai singoli trial per tutto il campione : ciò nonostante studi caratterizzati da grande importanza e numerosità campionaria (es: l’ HPS ) avessero pubblicato sia la numerosità dello strato in età geriatrica sia il numero di eventi registrati in questo sottogruppo [HPS 2002].
Un contributo fondamentale alle conoscenze sull’ efficacia delle statine in pazienti anziani in ‘prevenzione secondaria’ è offerto invece dalla metanalisi di Afilalo, la più recente su questo argomento da noi recuperata [Afilalo 2008]. Si tratta di un lavoro importante ed esaustivo (ha utilizzato una adeguata strategia di ricerca , ha consultato molti database, la selezione dei trial e l’ estrazione dei dati sono state condotte da più revisori, è stata eseguita una valutazione qualitativa delle letteratura recensita) e a giudizio di chi scrive dovrebbe avere definitivamente risolto i dubbi più importanti sulla opportunità di trattare con statine pazienti anziani in prevenzione secondaria. La casistica esaminata (19569 pazienti di età compresa tra 65 e 82 anni) era costituita in modo esclusivo da pazienti coronaropatici. Quattro casistiche recensite rappresentavano sottogruppi per età già pubblicati dagli autori della ricerca originale [4s 1997 ,CARE 1998, LIPID 2001, HPS 2002]; le altre cinque erano costituite da dati mai pubblicati in precedenza ma recuperati dai metanalisti attraverso contatti personali con i singoli autori degli RCT [PLAC I 1995 , REGRESS 1995, FLARE 1999, LIPS 2002, PROSPER 2002]. La revisione ha considerato soltanto confronti versus placebo e il criterio di inclusione era rappresentato, oltre ad un’ età superiore o uguale a 65 anni, dalla presenza di coronaropatia documentata al momento dell’ arruolamento. La terapia con statine in questi coronaropatici anziani ha ridotto significativamente la mortalità generale, la mortalità coronarica, l’ incidenza di infarto non fatale, l’ incidenza di interventi di rivascolarizzazione l’ incidenza di stroke (tabella). Il pooling è stato eseguito con un approccio bayesiano, tecnica che chi scrive preferisce non adottare perché basata su presupposti non verificabili con assoluta precisione; tale tecnica dovrebbe essere riservata a condizioni di analisi caratterizzate ex ante da grande incertezza . Gli autori comunque riferiscono di avere eseguito anche, nel contesto di una sensitivity analysis (dati non pubblicati nell’ articolo originale) un approccio metanalitico tradizionale (frequenti stico) confermando la significatività statistica dei risultati per tutti gli outcome considerati . Preferiamo presentare in tabella i risultati della revisione di Afilalo dopo averli rielaborati attraverso approccio metanalitico frequentistico tradizionale. La dimensione dell’ effetto è inferiore rispetto a quella segnalata da Afilalo con la tecnica bayesiana ma il risultato appare per ogni outcome significativo e clinicamente importante . Abbiamo anche verificato la presenza nella metanalisi di publication bias attraverso due tecniche grafiche (Egger plot e funnel plot) e attraverso due test statistici formali (Beggs test, Egger test for bias) (risultati completi fornibili a richiesta). La nostra analisi ha rivelato assenza di publication bias per gli out come mortality revascularisation e stroke ma ha rivelato probabile presenza di publication bias per l’ outcome chd mortality e per l’ outcome myocardal infarction.

In base ai risultati di Afilalo, quindi, se il paziente anziano è già affetto da malattia cardiovascolare (nella fattispecie da coronaropatia) la terapia con statine è in grado di ridurre significativamente la mortalità generale , l’ incidenza di stroke e gli interventi di rivascolarizzazione [Afilalo 2008]. Esistono però a nostro giudizio ancora incertezze sui risultati riferiti all’ infarto miocardico e alla morte coronarica, per verosimile presenza di publication bias per questi ultimi outcome.
Gli effetti collaterali delle statine negli anziani sono stati indagati dalla metanalisi di Roberts, che non ha rilevato differenze significative versus placebo nell’ abbandono del trattamento associato ad eventi avversi ; il trattamento con statine non ha fornito effetti collaterali superiori al placebo nemmeno per la elevazione della transaminasemia e del CPK frequentemente associate a queste terapie [Roberts 2007]. Tuttavia gli autori della metanalisi fanno notare che il cut off adottato dalle singole ricerche per definire ‘patologici’ i livelli di questi enzimi oltre che variare da uno studio all’ altro è solitamente rappresentato da livelli di soglia molto alti (>3 volte il limite superiore della norma per le transaminasi e >10 volte per il CPK) per cui è possibile che i dati di tossicità muscolare ed epatica riportati dai trial siano molto diversi dalle situazioni solitamente rilevabili nei setting ‘reali’ [Roberts 2007]. La metanalisi dei dati di tre trial [Miettinen 1997, Hunt 2001, CARE-elderly 1998] che avevano riportato casi di cancro nei pazienti ultrasessantacinquenni trattati con statine ha rilevato rispetto al placebo una debole significatività per aumento del rischio di neoplasia nel braccio di intervento: RR 1.16 (1.02-1.22) [Roberts 2007]. Questa osservazione però si scontra con il risultato di altre due metanalisi che non hanno al contrario rilevato un aumentato rischio di cancro associato a questi trattamenti [Dale 2006, Bonovas 2006].
Per completezza si riportano anche i dati pubblicati nel 2005 da una metanalisi di dati individuali che aveva reclutato 14 trial caratterizzati da età medie compresi tra 18 e 90 anni [CTT 2005]. La maggior parte degli RCT considerati (11 trial) riguardava confronti statine-placebo; un trial aveva confrontato diverse dosi di statine; un trial la terapia con statine vs cure abituali e un altro trial aveva confrontato le statine versus nessun trattamento. Una analisi per sottogruppi di questa revisione ( follow-up medio pesato = 4.7) anni aveva dimostrato per le statine vantaggi significativi in termini di prevenzione di eventi coronarici maggiori sia nei soggetti al di sotto dei 65 anni RR= 0•74 (0•69–0•79) che nei soggetti al di sopra di questa soglia RR = 0•81 (0•76–0•88). La coorte rappresentata dai 34982 ultrasessantacinquenni rappresentava il 38.8% dell’ intera casistica (dati calcolati da chi scrive utilizzando le percentuali riportate nel testo). I risultati positivi del trattamento erano confermati anche per i pazienti appartenenti agli strati estremi di età: gli autori riportano infatti per una coorte di 7304 ultrasettantacinquenni randomizzata a statine o a comparator un Rischio relativo di outcome primario pari a RR=0.82 (0.70-0.96). La revisione riporta i dati di mortalità rilevati nel campione in toto ma non quelli rilevati nel sottogruppo di pazienti anziani . Inoltre non esamina in modo separato nei pazienti anziani i risultati ottenuti nei soggetti event-free e rispettivamente nei soggetti con pregressi eventi cardiovascolari.
Al momento a giudizio di chi scrive mancano quindi in letteratura dati solidi per formulare raccomandazioni basate sulla presunta efficacia delle statine nell’ anziano non affetto da danno cardiovascolare. Per questi individui la terapia farmacologica, una volta accertata la presenza di un elevato profilo di rischio (diabete, profilo di rischio complessivo >=20%) dovrà essere pertanto guidata dal buon senso clinico e dalla valutazione dei potenziali rischi individuali associati al trattamento.

Terapia antiipertensiva nell’ anziano
Abbiamo cercato metanalisi sul management dell’ ipertensione nell’ anziano esplorando in Cochrane Library e in Medline il decennio 2001-2010 (strategia di ricerca disponibile a richiesta). Abbiamo scelto per l’ autorevolezza della fonte e per la congruenza dell’ obiettivo una recentissima metanalisi Cochrane condotta proprio su questo argomento [Cochrane 2009a]. La revisione ha considerato 15 RCT che avevano reclutato 24055 pazienti di età superiore a 60 anni e che avevano confrontato terapie antiipertensive versus placebo o versus nessun trattamento. La metanalisi non considera separatamente i pazienti in prevenzione primaria e i pazienti in prevenzione secondaria in quanto la letteratura reperita era per lo più rappresentata da casistiche di anziani in prevenzione primaria affetti da ipertensione sistolica o sistodiastolica da moderata a severa, con percentuali sostanzialmente molto basse al momento dell’ arruolamento di pazienti già affetti da danno cardiovascolare. Nella maggior parte di questi studi i pazienti ipertesi erano stati trattati primariamente con diuretici tiazidici ; i dati riferiti ad altri tipi di trattamento erano troppo scarsi per poter produrre informazioni sulla tipologia di farmaco più adatto alla terza età. La durata media dei follow-up era 4.5 anni.
La metanalisi ha dimostrato che nei pazienti ultrasessantenni la terapia antiipertensiva riduce mortalità generale, mortalità specifica cardiovascolare , mortalità cerebrovascolare e mortalità coronarica senza impatto sulla mortalità extravascolare ( a garanzia indiretta della sicurezza di questi trattamenti). I soggetti molto anziani (80 anni ed oltre) rappresentano una categoria a parte in quanto la terapia antipertensiva ha ridotto in questo strato l’ incidenza degli outcome compositi <morbilità e mortalità cardiovascolare> e <morbilità e mortalità cerebrovascolare> ma non ha ridotto mortalità generale, mortalità cardiovascolare, mortalità cerebrovascolare e mortalità coronarica se analizzate in modo separato dalla morbidità.

I dati di questa metanalisi sono solo parzialmente estrapolabili alla popolazione reale perché le casistiche reclutate dagli studi recensiti erano rappresentate per lo più da pazienti in condizioni di salute migliori di quelle dei pazienti di comune osservazione. Tuttavia i confronti versus placebo rappresentano un eccellente modello per stabilire l’ efficacia netta di un intervento e i dati di questa metanalisi confermano senz’ altro la necessità di trattare farmacologicamente i pazienti anziani ipertesi . Gli autori Cochrane sottolineano che i soggetti caratterizzati da profili di rischio basale peggiori di quelli analizzati dalla revisione (pazienti ipertesi diabetici, pazienti ipertesi con ipertrofia vsx, eccetera) con ogni probabilità potrebbero godere di vantaggi ancora maggiori rispetto a quelli offerti dalla terapia ai pazienti esaminati dalla revisione proprio perché caratterizzati rispetto ad essi da una maggior probabilità di eventi. Tuttavia mancano come detto sufficienti dati a sostegno di questa affermazione. Gli autori suggeriscono comunque di adottare un approccio terapeutico non aggressivo nei pazienti di età più avanzata perché alcuni trial condotti con dosi massicce di farmaci in monoterapia o con poliassociazioni di farmaci antiipertensivi nelle età più avanzate hanno dimostrato un trend verso un incremento della mortalità generale. Al contrario una esperienza di ricerca sostanzialmente recente [HYVET 2008], un disegno sperimentale che confrontava con placebo una monoterapia con indapamide in pazienti molto anziani ha dimostrato vantaggi del farmaco in termini di riduzione della mortalità generale (RR=0.82 ic 0.69-0.99) e di prevenzione di eventi cardiovascolari (RR 0.71 ic 0.57-0.87). Gli autori Cochrane riconoscono però che questi consiglio dovrebbero essere però validati da future ricerche rivolte a testare l’ efficacia di regimi terapeutici di diversa intensità nel grande anziano. Il trattamento antiipertensivo dei pazienti anziani sembra comunque accompagnato da un accettabile livello di rischio. Nel trial STOP-2 che aveva reclutato pazienti da 70 a 84 anni l’ abbandono della terapia per effetti collaterali del farmaco riguardava il 6% dei soggetti assegnati a clortalidone versus il 15% dei soggetti assegnati alla nitrendipina versus il 20% dei soggetti assegnati ad enalapril [STOP-2 1999], percentuali simili per il calcioantagonista e l’ ACE inibitore ma non per il diuretico a quelle rilevati nello studio ALLHAT che aveva reclutato pazienti da 55 anni in su (15% clortalidone, 15% amlodipina, 18% lisinopril) [ALLHAT 2002].

I pazienti anziani fragili
Shekelle definisce “vulnerable elders” “a group of community-living persons 65 years of age and older who are at high risk for death or functional decline” [Shekelle 2001]. La più vasta rassegna di letteratura riguardante il paziente anziano fragile è probabilmente rappresentata dalle RAND Health Working Paper Series. La metodologia RAND è basata su una rigorosa revisione sistematica delle evidenze (quella adottata dalla Cohrane Collaboration) integrata con una rigorosa modalità di formulazione del consenso entro panel di esperti [Shekelle 2001]. Esistono documenti RAND sul management del diabete, dell’ ipertensione, della cardiopatia ischemica in questa categoria di pazienti (vedi ad esempio il set di indicatori ACOVE 2 [ACOVE 2 Quality Indicators]. Per brevità di spazio non è possibile riportare i dettagli delle raccomandazioni RAND, a cui si rimanda il lettore ma è in questa sede importante notare che in assenza di studi sperimentali tarati in modo specifico su questa categoria di anziani le evidenze portate a sostegno dei singoli indicatori sono tratte dalla letteratura generalmente riferita al paziente in terza età e/o a tutti i gruppi di età e/o a procedure di consenso. Ad esempio pur riconoscendo la necessità di stratificare i pazienti anziani fragili ipertesi per livello di rischio e di intervenire con approcci non farmacologici al trattamento dell’ ipertensione il panel riconosce l’ assenza di evidenze a sostegno che questa raccomandazione sia in grado di produrre vantaggi per i pazienti fragili in termini di outcome di salute. Per le terapie farmacologiche dedicata all’ anziano fragile iperteso gli autori fanno riferimento ad evidenze ricavate da studi condotti generalmente sul paziente anziano e alle raccomandazioni di linee guida tarate sull’ intera popolazione. Anche il consiglio di impostare nell’ anziano iperteso terapie farmacologiche che favoriscano la compliance (es: farmaci in mono somministrazione giornaliera o al massimo bis in die) è stato impostato su evidenze a sostegno della necessità di supportare in generale nei pazienti ipertesi una buona aderenza al trattamento al fine di favorire i risultati stessi del trattamento. Anche la necessità di trattare farmacologicamente il paziente anziano affetto da coronaropatia è stata basata sulle evidenze generalmente estrapolabili a tutti i pazienti in età geriatrica.

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