Insonnia [INSONNIA] Disturbi del sonno e rischio cardiovascolare Guida Pratica per la Medicina Generale | ![]() |
Presentazione
I disturbi del sonno sono molto frequenti e il medico di medicina generale (MMG) è solitamente il referente naturale per coloro che presentano questi problemi. Tipicamente è il paziente a riferire di dormire poco e male; la richiesta con cui il medico si confronta è quindi quella di migliorare il sonno in termini quantitativi e qualitativi. Se questo è sicuramente l’obiettivo primario, non si deve dimenticare che i disturbi del sonno, quali l’insonnia, possono avere implicazioni importanti anche dal punto di vista cardiovascolare (CV). Nell’ambito dell’attività quotidiana del MMG il problema dell’interazione sonno-apparato CV è rilevante sia per l’elevata prevalenza dei disturbi del sonno e delle malattie CV, sia per l’influenza che le due patologie esercitano l’una nei confronti dell’altra. In realtà non sempre questi aspetti sono ben conosciuti e/o adeguatamente considerati nell’ambito dell’attività clinica. Proprio per questo motivo si è ritenuto utile realizzare un documento sul rapporto tra sonno e malattie CV. Questo Dossier della Rivista SIMG è frutto della collaborazione tra la Medicina Generale e i più autorevoli esperti in questi campi e va a completare quanto già realizzato in collaborazione con AIMS (Guida pratica per la gestione dell’insonnia. Rivista SIMG, n. 2, 2010). Come sempre si tratta di un supporto pratico e sintetico, mirato alle esigenze del MMG e utilizzabile con facilità nell’ambito della pratica clinica quotidiana.
Razionale scientifico
L’insonnia rappresenta il disturbo del sonno più frequente nella popolazione. Il termine insonnia definisce l’esperienza soggettiva, lamentata dal paziente, di un sonno insufficiente (scarsa durata) o poco ristoratore (scarsa qualità), nonostante vi siano opportunità e circostanze favorevoli per poter dormire.
In molti casi l’insonnia è secondaria alla malattia cui si associa o ai farmaci necessari per curarla, ma in altri casi l’associazione è del tutto casuale, mentre in altre situazioni ancora è l’insonnia che può causare o comunque aggravare la condizione associata.
Gli operatori sanitari e il grande pubblico cominciano solo ora a prendere consapevolezza del fatto che l’insonnia è correlata con elevati costi per la società, sia diretti che indiretti, tra cui: calo della produttività dell’individuo, assenteismo dal posto di lavoro, spese per visite mediche, maggiore consumo di farmaci, alcool e altre sostanze. Certamente meno noto, anche alla stessa classe medica, è il legame tra l’insonnia e le sue ricadute sulla patologia CV.
L’insonnia può intervenire nella patogenesi delle malattie cardio- e cerebrovascolari sia attraverso la deprivazione di sonno sia attraverso la sua frammentazione, cioè anche quando la durata e la composizione del sonno non siano particolarmente alterate.
Per il profondo impatto che le malattie cardio- e cerebrovascolari producono in termini di mortalità e di disabilità residua, riteniamo che l’affrontare i disturbi del sonno e, in particolare, l’insonnia possa contribuire al miglioramento dei livelli di salute e della qualità della vita, oltre che a ridurre la spesa sanitaria.
L’insonnia è una condizione trattabile. È dovere del medico e delle istituzioni sanitarie non banalizzarla come un irrilevante problema privato, ma farsene carico come un evento clinico di primaria grandezza, per la sua prevalenza nella società e per le conseguenze che comporta.
Sonno e sistema cardiovascolare: la normalità
La polisonnografia
Il sonno non è uno stato neurofisiologico uniforme ma varia costantemente durante la notte, con una struttura che si modifica plasticamente in base alla sua profondità e all’equilibrio tra le varie funzioni vitali. Con il termine di polisonnografia si definisce una metodica che monitorizza, contemporaneamente all’elettroencefalogramma (EEG), molteplici variabili biologiche, fra cui può essere inclusa l’attività elettrica cardiaca, valutata tramite l’elettrocardiogramma, e la pressione arteriosa, rilevandone l’influenza reciproca e il mutuo sviluppo temporale. In pratica, analizzare la polisonnografia significa leggere la storia di una notte di sonno: come inizia, come si sviluppa e come termina.
Secondo i criteri internazionali, l’analisi della struttura del sonno richiede il monitoraggio di tre variabili fondamentali: l’attività elettroencefalografica (EEG), i movimenti oculari (elettrooculogramma, EOG) e il tono muscolare antigravitario (elettromiogramma, EMG). Dalla sintesi delle informazioni fornite dall’EEG, dall’EOG e dall’EMG sono codificati diversi stadi del sonno.
Procedure per la stadiazione del sonno
Nel sonno classicamente si distinguono cinque stadi: uno stadio REM e quattro stadi non-REM (NREM). Nel sonno NREM, lo stadio 1 e lo stadio 2 costituiscono il sonno leggero, mentre lo stadio 3 e lo stadio 4 compongono il sonno profondo. Gli stadi del sonno si ripetono più volte nel corso della notte, e sono talvolta interrotti da brevi periodi di veglia. La loro organizzazione temporale definisce la macrostruttura del sonno (Fig. 1).
I parametri macrostrutturali forniscono informazioni sulla durata, sulla continuità e sulla composizione del sonno. In condizioni fisiologiche, nel corso della notte, gli stadi hanno una distribuzione caratteristica: all’inizio del sonno prevalgono gli stadi 3 e 4, mentre nella seconda parte dominano gli stadi 2 e REM. Il sonno REM rappresenta il 20-25% del sonno totale; il sonno profondo (S3-S4) costituisce il 20-25%, mentre il sonno leggero (S1-S2) occupa il restante 50%. L’alternanza ordinata di sonno NREM e di sonno REM ogni 90-120 minuti costituisce un ciclo del sonno. Una notte tipica contiene in genere 4-5 cicli completi di sonno. Nell’adulto, il sonno inizia sempre con un periodo di sonno NREM.
I microrisvegli del sonno
Durante la notte compaiono fisiologicamente centinaia di brevi risvegli della durata di pochi secondi (microrisvegli) che interrompono transitoriamente la continuità del sonno senza alcuna consapevolezza da parte del soggetto che dorme. Quando compaiono, i microrisvegli tendono a raccogliersi in grappoli, spuntando sul tracciato EEG a intervalli regolari di circa 20-40 s. Questa disposizione periodica dei microrisvegli durante il sonno configura un ritmo fisiologico fondamentale definito CAP (Cyclic Alternating Pattern) che costituisce la microstruttura del sonno. Per essere riposante, il sonno deve durare a sufficienza, deve essere collocato nelle ore più idonee e deve essere il più possibile intenso. Ma tutto questo non basta, perché oltre a essere di durata sufficiente ed essere profondo, deve essere soprattutto
continuo e stabile, vale a dire con una quantità fisiologica di microrisvegli periodici (Tab. I).
Le oscillazioni elettroencefalografiche determinano analoghe fluttuazioni delle funzioni neurovegetative, in particolare della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sistemica (Fig. 2)
La quantità di CAP riflette l’instabilità intrinseca del sonno fisiologico, vale a dire lo sforzo spontaneo che il cervello e le funzioni vegetative associate compiono per consentire il regolare sviluppo dell’architettura ipnica. Tuttavia, cause che producono un’alterazione della struttura del sonno, comprese quelle che determinano insonnia, inducono un incremento patologico dei microrisvegli (e quindi del CAP), e costituiscono un fattore di rischio per patologie CV.
Funzioni neurovegetative durante il sonno
Tra sonno e sistema CV esiste una strettissima correlazione da un punto di vista anatomico e funzionale. Conferma di questo è la dimostrazione di fluttuazioni sincrone tra le fasi del sonno e le funzioni del sistema nervoso vegetativo che si riflettono sui parametri CV. Queste modificazioni di stato sono coordinate da strutture del sistema nervoso centrale, prevalentemente di tipo sottocorticale, che regolano la bilancia simpato-vagale, e i principali neurotrasmettitori coinvolti: norepinefrina, serotonina e acetilcolina.
Rispetto alla veglia, la transizione progressiva dal sonno leggero al sonno profondo NREM è caratterizzata da un rallentamento graduale delle attività EEG associato ad una graduale predominanza parasimpatica. Come risultato dell’attivazione vagale parasimpatica e dell’inibizione simpatica, nel sonno profondo stabile, si determina una tonica riduzione della pressione arteriosa sistemica e della frequenza cardiaca.
La combinazione di ridotta pressione arteriosa e frequenza cardiaca testimonia una riduzione dell’attività simpatica, associata ad un incremento di sensibilità del riflesso barocettivo che contribuisce alla riduzione della variabilità della pressione arteriosa tipica delle fasi di sonno profondo NREM.
In particolare, nel sonno profondo (stadi 3-4) si osserva un aumento significativo della sensibilità dei riflessi barocettivi, che si associa ad una maggiore modulazione vagale cardiaca e una minore modulazione simpatica.
Tuttavia, durante le fasi di sonno NREM, l’attività simpatica può essere transitoriamente incrementata da stimoli esterni o interni, che, come appena descritto nei paragrafi precedenti, inducono la comparsa di microrisvegli periodici (CAP), associati a un incremento della frequenza cardiaca e respiratoria.
Durante il sonno REM si rilevano marcate oscillazioni dell’attività simpatica e parasimpatica, una riduzione della sensibilità del baroriflesso e una compromissione dei meccanismi di termoregolazione. Durante il sonno REM c’è una marcata bradicardia e una riduzione delle resistenze periferiche, che determinano una riduzione della pressione arteriosa anche al di sotto dei valori osservati in sonno NREM (REM tonico). La riduzione della pressione arteriosa osservata in REM, però, è interrotta da ampi e transitori incrementi sia della pressione arteriosa sia della frequenza cardiaca quando compaiono i movimenti oculari rapidi (REM fasico). La sintesi di questi fenomeni è riporta nella Tabella II.
Insonnia: effetti dell’insonnia sull’apparato cardiovascolare
Aspetti fisiopatologici: il concetto di hyperarousal
Considerata a lungo un disturbo psicologico, l’insonnia primaria è stata recentemente rivalutata da un punto di vista biologico. È stato documentato che l’insonnia cronica primaria si caratterizza per alterazioni oggettive, misurabili, delle variabili neurofisiologiche, neuroendocrine e neuroimmunologiche. I pazienti insonni manifestano cioè uno stato di attivazione somatica, cognitiva e cerebrale che si esprime globalmente con il termine di “stato di iperattivazione” o “hyperarousal”. Questa condizione si caratterizza per un aumento della pressione arteriosa sistemica e della frequenza cardiaca, per elevati livelli di catecolamine circolanti, un aumento del metabolismo basale e della temperatura corporea e, da un punto di vista elettroencefalografico, per un numero maggiore di microrisvegli ed un aumento del CAP.
Nei pazienti insonni è stato inoltre dimostrato, con tecniche di neuroimmagine, un elevato metabolismo cerebrale. I dati ottenuti con gli studi funzionali (tomografia a emissione di positroni, PET), hanno fornito evidenze dirette all’ipotesi di un aumentato arousal del sistema nervoso centrale. Nei pazienti insonni, infatti, durante il sonno, si osserva una minor riduzione del metabolismo del glucosio, nelle aree cerebrali che promuovono la veglia e in quelle associate ai processi cognitivi e alla percezione delle emozioni.
Insonnia primaria e sistema nervoso autonomo
I pazienti insonni, rispetto a popolazioni di controllo, hanno valori più elevati della pressione arteriosa sistemica durante il sonno ed una frequenza cardiaca significativamente più elevata, sia durante il sonno sia durante la veglia. Durante le ore notturne, gli insonni, ancora normotesi in veglia, mostrano valori pressori mediamente più elevati dei soggetti di controllo e non presentano il fisiologico calo notturno della pressione arteriosa sistemica. A questa mancanza di “dipping” notturno si può associare un maggior rischio di sviluppare una patologia CV (Fig. 3). Anche la frequenza cardiaca si riduce meno nei pazienti insonni rispetto ai controlli, al passaggio dalla veglia al sonno; negli insonni, inoltre, la variabilità della frequenza cardiaca è ridotta, in tutte le fasi di sonno, segno di una più elevata attivazione simpatica e di un ridotto tono parasimpatico. Infine, i pazienti insonni presentano una temperatura corporea notturna più elevata rispetto a popolazioni di controllo.

Insonnia primaria e variabili neuroendocrine
L’insonnia primaria si associa a importanti modificazioni neuroendocrine, quali la ridotta produzione notturna di melatonina e l’aumento dei livelli di ACTH e cortisolo, ormone, quest’ultimo, target dello stress e indicatore dell’attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisisurrene.
La privazione cronica di sonno determina inoltre un aumento del rischio di sviluppare obesità per l’effetto che la perdita del sonno ha sugli ormoni che giocano un ruolo maggiore nel controllo centrale dell’appetito e della spesa energetica, come la leptina (“ormone della sazietà”) e la grelina (“ormone della fame”, secreto dalle cellule dello stomaco). Ridotti livelli di leptina e aumentati livelli di grelina correlano con un aumento della fame. Diversi studi hanno documentato che sia la privazione parziale di sonno ripetuta che la cronica breve durata del sonno sono associati ad una riduzione dei livelli di leptina e ad un aumento dei livelli di grelina.
Recenti studi di popolazione, che hanno coinvolto più di 500.000 adulti e 28.000 bambini, hanno dimostrato che la riduzione della durata del sonno è un fattore di rischio per sviluppare obesità. La ridotta durata del sonno si associa ad un significativo aumento della fame e dell’appetito, soprattutto per i cibi ricchi di carboidrati.
I dati di laboratorio suggeriscono inoltre che, o
tre ad un’up-regulation dell’appetito, la privazione di sonno determina anche un maggior rischio di sviluppare diabete.
Si pensa che i meccanismi con cui la privazione di sonno modifica la tolleranza agli zuccheri siano multifattoriali e includano: un ridotto utilizzo dello zucchero a livello cerebrale, un’alterazione della bilancia simpato-vagale, un aumento della secrezione serale di cortisolo, la secrezione di GH nel corso dell’intera notte e processi pro-infiammatori.
Insonnia primaria e variabili neuroimmunologiche
Il sistema neuroendocrino e immunologico sono strettamente correlati ed entrambi sono influenzati dalla perdita di sonno. L’insonnia si associa a una riduzione della risposta cellulare delle cellule killer e ad un aumento della secrezione di interleuchina 6. Aumentati livelli d’interleuchina 6 si associano ad un aumento del rischio CV.
È lecito quindi supporre che, analogamente a quanto si verifica per la deprivazione di sonno, anche nel caso della frammentazione del sonno notturno, l’effetto di disturbo sull’omeostasi dell’organismo possa essere di tipo sommatorio, con alterazioni, per esempio, degli indici di flogosi, tanto più marcate quanto più protratta sia stata la frammentazione del sonno. Le modificazioni degli indici di flogosi potrebbero costituire l’anello di congiunzione tra il disturbo di sonno e il rischio cardio- e cerebrovascolare.
Insonnia e ipertensione arteriosa
Insonnia come fattore di rischio per ipertensione arteriosa
Mentre per anni siamo stati a conoscenza del fatto che gli insonni corrono alti rischi per quanto riguarda disturbi dell’umore e altri disordini psichiatrici, aumentano ora le evidenze di stretti legami anche tra insonnia e patologie CV. Gli studi epidemiologici hanno documentato che:
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vi è una relazione tra insonnia e malattia coronarica;
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un sonno di breve durata (< 6 ore) si associa significativamente ad ipertensione arteriosa sistemica e, in genere, ad un aumentato rischio CV
Negli ultimi anni sono stati condotti diversi studi al fine di valutare se l’insonnia (definita sia come tempo totale di sonno oggettivamente ridotto e quantificato mediante polisonnografia, sia come cattiva qualità del sonno rilevata tramite questionario specifico), potesse in qualche modo associarsi ad un incrementato rischio di ipertensione. Una recente pubblicazione ha dimostrato come la probabilità di soffrire d’ipertensione fosse 5 volte maggiore nei pazienti che presentavano sia una scarsa qualità del riposo soggettivamente percepito, sia una riduzione del tempo totale di sonno, rispetto ai controlli. Questa correlazione è risultata indipendente da fattori confondenti. Tali osservazioni confermano ed estendono i risultati di studi precedenti, che avevano evidenziato come una breve durata del sonno sia associata all’ipersecrezione di cortisolo e all’aumento della frequenza cardiaca, condizioni che a loro volta possono condurre all’insorgenza di problemi CV.

Va sottolineato come il possibile verificarsi di problemi CV, e in particolare di incremento della pressione arteriosa, in caso di riduzione delle ore di sonno, non sia una scoperta del tutto nuova. Infatti segnalazioni sulla possibilità di aumentato rischio CV associato ad insufficiente durata del sonno sono state pubblicate anche in passato. In particolare, uno studio pubblicato a metà degli anni ’90, condotto su soggetti giapponesi nei quali veniva effettuata una registrazione di pressione arteriosa battito a battito, dell’ECG e del grado di attività fisica in una giornata con normale durata di sonno e in una giornata con deprivazione di sonno da stress lavorativo, dimostrò come continuare a lavorare anche di notte portasse a grossi problemi. Dopo una notte con insufficiente durata del sonno, la pressione arteriosa sistolica e diastolica rimanevano significativamente elevate non solo durante la notte, con perdita della fisiologica caduta notturna, ma anche per tutte le ore del giorno successivo. Questo si accompagnava ad un aumento delle catecolamine urinarie e a un incremento del rapporto tra le potenze spettrali LF/HF nell’analisi di variabilità della frequenza cardiaca, tutti indicatori di un aumento dell’attività nervosa simpatica.
Insonnia e altre patologie cardiovascolari
Negli ultimi decenni si sono accumulate evidenze a favore del fatto che un sonno troppo breve o troppo lungo si possono entrambi associare ad eventi avversi, quali un aumento di mortalità da tutte le cause, malattie CV, diabete di tipo 2, ipertensione arteriosa, alterazioni respiratorie, obesità e, in generale, percezione soggettiva di uno scarso stato di salute. La relazione tra durata del sonno e mortalità è infatti stata spesso descritta come un’associazione ad “U”, anche se non tutti gli studi sono concordi.
I risultati di una recentissima metanalisi hanno evidenziato che una ridotta durata del sonno (definita nei diversi studi come una durata del sonno inferiore a una soglia variabile da 4 a 7 ore), si associa ad un rischio di morte aumentato del 12%. Analogamente, un’eccessiva durata del sonno (> 9 ore), si associa ad un aumento di mortalità del 22%, sia pure con una significativa eterogeneità tra studi diversi.
La metanalisi rivela poi un legame tra durata del sonno e problemi specifici:
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Sonno e aritmie. Una ridotta durata del sonno, con la relativa attivazione simpatica, è responsabile di un aumento della frequenza cardiaca che può arrivare ad una franca tachicardia sinusale e anche allo sviluppo, in soggetti predisposti, di aritmie sopraventricolari e ventricolari;
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Sonno e cardiopatia ischemica. Una ridotta durata del sonno si associa ad un deciso aumento della frequenza di eventi coronarici nel sonno. Analogamente, anche un’eccessiva durata del sonno si associa ad un aumento della frequenza di eventi coronarici;
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Sonno e rischio di eventi cerebrovascolari. Sia una ridotta sia un’eccessiva durata del sonno si associano ad un significativo aumento della frequenza di eventi cerebrovascolari;
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Insonnia e qualità di vita nel paziente con patologia CV. Secondo quanto enunciato dall’OMS nel 1948, “Qualità di vita è la percezione soggettiva che un individuo ha della propria posizione nella vita, nel contesto di una cultura e di un insieme di valori nei quali egli vive, anche in relazione ai propri obiettivi, alle proprie aspettative e preoccupazioni”.
In generale, per qualità di vita si può intendere il benessere soggettivo di una persona nella sua sfera fisica, sociale e psicologica. Senz’altro la qualità del sonno ha uno stretto legame con la qualità della vita in generale, date le ricadute che dormire poco e male ha su un individuo (come testimoniato dalla necessità di farmaci e dal rischio di incidenti automobilistici o sul lavoro). Sono noti gli stretti legami tra nutrizione, metabolismo e processi di regolazione del sonno, così com’è noto che l’insonnia sia un sintomo molto frequente nell’ansia. E questo è un problema ancora più importante nel paziente cardiopatico nel quale sono frequenti fenomeni di ansia-depressione, anche in relazione alla consapevolezza dei problemi legati alla malattia, di cui l’insonnia diventa sia causa sia effetto. Molti studi hanno dimostrato che i soggetti, e in particolare i pazienti cardiopatici, che non dormono bene sono irritabili, subiscono alterazioni dell’umore e perdono interesse per l’ambiente che li circonda. A questi disturbi si associa spesso, come conseguenza dell’insonnia, anche una sonnolenza diurna, che contribuisce a diminuire ulteriormente la qualità di vita globale del paziente.
Altri disturbi del sonno
La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno
La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome, OSAS) è una patologia di frequente riscontro, che interessa il 2-6% della popolazione adulta. Si caratterizzata per russamento, interrotto da pause respiratorie (apnee), ed eccessiva sonnolenza diurna, a cui si possono associare risvegli con sensazione di soffocamento, sonno “frammentato” e non ristoratore, poliuria ed imponente sudorazione notturna.
L’OSAS è una patologia che interessa prevalentemente il sesso maschile; le donne ne sono colpite soprattutto dopo la menopausa. L’obesità rappresenta il più importante e noto fattore di rischio per sviluppare apnee ostruttive nel sonno. Il restringimento e la conseguente occlusione delle vie aeree superiori durante il sonno, che costituiscono i fattori determinanti dell’OSAS, possono però essere dovuti anche ad alterazioni anatomiche, per esempio dismorfismi cranio-facciali quali retro- o micrognazia. Nei bambini, l’OSAS è solitamente dovuta ad un’ipertrofia tonsillare e/o adenoidea.
Le apnee ostruttive nel sonno costituiscono un fattore di rischio CV, come era già stato suggerito dai primi studi pionieristici condotti a Bologna alla fine degli anni ’60. L’OSAS è un fattore di rischio per sviluppare ipertensione arteriosa sistemica, indipendentemente da altri fattori quali obesità, età e sesso, spesso resistente al trattamento farmacologico.
Le registrazioni polisonnografiche notturne hanno infatti documentato che, durante e al termine di ogni apnea ostruttiva si verificano importanti modificazioni della dinamica cardiocircolatoria: la pressione arteriosa sistemica si riduce all’inizio dell’apnea per poi aumentare progressivamente fino a raggiungere valori molto elevati al termine di ogni apnea. I pazienti con OSAS presentano quindi un profilo pressorio notturno “non-dipper”, in cui, cioè, non si verifica il fisiologico calo dei valori pressori durante il sonno (solitamente la riduzione deve essere di circa il 10% rispetto ai valori della veglia pre-ipnica). Nelle fasi avanzate di malattia, la pressione arteriosa sistemica rimane a livelli elevati anche in veglia.
Recentemente, inoltre, vi sono evidenze crescenti che l’OSAS si associ a ictus cerebrale, infarto miocardico, scompenso cardiaco, fibrillazione atriale e morte improvvisa per cause cardiologiche.
La terapia dell’OSAS è in relazione alla sua gravità e alle cause che la determinano. Il trattamento si può avvalere del calo ponderale mantenuto, della terapia con ventilatori a pressione positiva continua durante il sonno (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP), che, attraverso maschere nasali o naso-buccali, insufflano aria nelle prime vie aeree, mantenendole pervie, e, in casi selezionati, della chirurga otorinolaringoiatrica o maxillo-facciale.
La sindrome delle gambe senza riposo
La sindrome delle gambe senza riposo (Restless Legs Syndrome, RLS), è un disturbo sensitivo-motorio che interessa il 3-10% della popolazione adulta e che può essere causa di una grave insonnia. Spesso sotto-diagnosticata, perché non riconosciuta, e quindi sotto-trattata, la RLS si caratterizza per le seguenti manifestazioni, essenziali per la diagnosi:
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necessità impellente di muovere gli arti, più speso quelli inferiori, solitamente associata ad una sensazione di fastidio agli arti;
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la sensazione di fastidio e la necessità di muovere gli arti iniziano o si aggravano nei momenti di inattività;
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la sensazione di fastidio e la necessità di muovere gli arti si attenuano o scompaiono completamente con il movimento;
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la sensazione di fastidio e la necessità di muovere gli arti compaiono solamente o peggiorano la sera o di notte.
Vi sono ulteriori criteri che supportano la diagnosi:
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una risposta positiva al trattamento con i farmaci dopamino-agonisti (attualmente i farmaci di prima scelta per il trattamento della RLS);
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la presenza di movimenti periodici degli arti durante la veglia rilassata e/o nel sonno (Periodic Limb Movements, PLM);
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una storia familiare positiva per RLS.
Diversi studi hanno dimostrato recentemente che la RLS si associa ad un aumentato rischio di sviluppare ipertensione o malattie cardio- e cerebrovascolari, indipendentemente dalla presenza di altri eventuali fattori di rischio. I meccanismi di quest’associazione non sono ancora noti. Tuttavia si pensa che la causa possa essere l’iperattivazione vegetativa (aumento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa sistemica), associata ai PLM durante il sonno, movimenti ripetitivi degli arti inferiori (solitamente dorsiflessione dell’alluce o del piede), presenti in almeno l’80% dei casi di RLS.
Farmaci cardiovascolari e sonno
Capire esattamente quale sia il ruolo dei farmaci CV nel determinare insonnia nei pazienti cardiopatici non è problema di semplice risoluzione, in quanto i fattori concomitanti ed influenzanti la qualità del sonno, come già detto, sono molteplici e non del tutto isolabili. Anche per tale motivo la letteratura in merito è scarsa, lacunosa e priva di matematiche certezze. Proveremo quindi a riassumere i pochi dati esistenti sulle principali classi di farmaci CV.
Beta-bloccanti
La prescrizione di beta-bloccanti a pazienti oltre i 70 anni di età può a volte, anche se non frequentemente, associarsi a disturbi del sonno,
ncubi, depressione e ansia. Il legame di questi fenomeni con l’assunzione di beta-bloccanti viene spesso misconosciuto.
È stato anche suggerito che la somministrazione di beta-bloccanti possa associarsi a violente parasonnie. In uno studio brasiliano, l’uso di beta-bloccanti in pazienti con insufficienza cardiaca riduceva invece la frequenza di apnee centrali e migliorava i parametri di qualità del sonno e di qualità di vita negli stessi pazienti.
Antagonisti recettoriali dell’angiotensina II
Esistono dati recenti a favore dell’utilizzo di questi farmaci per ridurre la pressione arteriosa nel paziente con apnee nel sonno; va ricordato tuttavia che è stata segnalata una maggiore frequenza di incubi proprio in pazienti trattati con questa classe di antipertensivi.
Dubbi ulteriori vengono posti da altri studi che, confrontando gli effetti di beta-bloccanti, calcio-antagonisti, ace-inibitori, diuretici tiazidici e antagonisti recettoriali dell’angiotensina II, non hanno evidenziato risultati sulla pressione misurata nell’ambulatorio medico, né sulla pressione monitorata in condizioni dinamiche nelle 24 ore in pazienti con ipertensione e OSAS, né hanno rilevato significative influenze di tali farmaci sulla gravità dell’OSAS e la qualità di vita nelle ore diurne.
ACE-inibitori
Anche se vi sono dati favorevoli sugli effetti antipertensivi degli ACE-inibitori nel sonno in pazienti con OSAS, è stato descritto che gli ACE-inibitori possono determinare tosse e infiammazione nel cavo orofaringeo. Questo può disturbare il sonno, e comportare sonnolenza diurna, oltre ad accentuare la tendenza al collabimento delle vie aeree superiori durante il sonno favorendo la comparsa di apnee ed ipopnee di tipo ostruttivo.
Diuretici
L’impiego dei diuretici nei pazienti cardiopatici è largamente diffuso, con vantaggi e svantaggi per quanto riguarda il sonno, peraltro non ancora del tutto definiti.
Non sono state riportate significative differenze sulla qualità di vita in pazienti ipertesi anziani durante somministrazione di un calcio-antagonista diidropiridinico e un diuretico tiazidico, anche se il diuretico tendeva a disturbare di più il sonno inducendo risvegli legati alla necessità di urinare durante la notte.
Un esempio di potenziale effetto benefico dei diuretici sulla qualità del sonno può essere quello della somministrazione di un diuretico molto particolare, acetazolamide, un inibitore dell’anidrasi carbonica, che si è dimostrata in grado di diminuire le apnee centrali e i relativi sintomi diurni in pazienti con scompenso cardiaco.
Aspetti pratici
Per facilitare l’inquadramento diagnostico-terapeutico di pazienti con quadri clinici complessi o comorbidi, suggeriamo i seguenti consigli pratici:
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paziente che si presenta per disturbi del sonno, senza patologia CV nota: in caso d’insonnia, oltre a indagare le ragioni del disturbo è necessario valutare la presenza d’ipertensione arteriosa e il livello di controllo della stessa. Analoghe considerazioni valgono per gli altri disturbi del sonno, con particolare riferimento all’OSAS. Quando il paziente riferisce di riuscire a dormire solo in posizione seduta o semiseduta, l’ipotesi di una insufficienza cardiaca deve essere sempre indagata;
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paziente che si presenta per patologia CV, senza disturbi del sonno noti: le patologie CV possono provocare disturbi del sonno e, viceversa, le patologie CV possono essere peggiorate o complicate da problemi del sonno. È necessario indagare questi aspetti con domande aperte, cercando di individuare i problemi del sonno, correlati o meno alla patologia CV, meritevoli di monitoraggio o trattamento. Bisogna sempre invitare il paziente a riconsiderare in maniera critica i propri ritmi di vita, fornendo consigli non banali sui fondamenti di cronobiologia, sulla naturale alternanza tra buio (favorevole alla produzione della melatonina) e luce (favorevole alla produzione di cortisolo), sui benefici di un sonno di durata adeguata e di buona qualità. Se il paziente manifesta resistenze comportamentali o atteggiamenti pregiudiziali, gli si può sempre chiedere di mettere in pratica i consigli proposti per un tempo limitato (3-4 settimane) concordando di aggiornare la condizione psico-fisica con il MMG al termine del periodo di prova;
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pazienti che si presentano con disturbi del sonno e patologia CV nota: le possibili interazioni tra disturbi del sonno e patologia CV sono state illustrate nei paragrafi precedenti. Nei pazienti con disturbi del sonno e patologia CV nota è necessario valutare quanto i problemi del sonno derivino da un cattivo controllo della patologia CV, o se l’alterazione del sonno è indipendente dalla patologia CV. In ogni caso è importante far comprendere al paziente che, quando il sonno è frammentato e poco riposante, gli sbalzi pressori aumentano e la frequenza cardiaca diventa instabile. In questi pazienti, invece d’intensificare la terapia cardiologica, può essere più congeniale approfondire la diagnostica del disturbo del sonno ed eventualmente intervenire con un farmaco specifico in grado di migliorare la qualità del sonno.
Per il paziente che lamenta insonnia, le indicazioni terapeutiche sono state ampiamente dettagliate nel precedente documento congiunto SIMG-AIMS. In sintesi: si tratta di stabilire il fenotipo della patologia in base agli indicatori dell’insonnia (difficoltà di addormentamento, difficoltà a mantenere il sonno, risveglio precoce, sonno non-ristoratore), di escludere altri disturbi del sonno che possono essere scambiati per insonnia (come i disordini circadiani di sonno anticipato o posticipato), e di valutare l’impatto dell’insonnia sulla vigilanza diurna, sulle funzioni cognitive e sul benessere e la qualità di vita. La tipizzazione dell’insonnia guiderà la scelta terapeutica che, non solo dovrà essere mirata e inserita in un contesto più generale di igiene del sonno, ma dovrà essere impostata in modo personalizzato, con un monitoraggio clinico periodico e aggiornato.
Nei pazienti ipertesi, la coesistenza di insonnia impone una terapia specifica anche per il disturbo del sonno. Gli insonni che dormono meno di 6 ore per notte presentano infatti un rischio significativamente più elevato di ammalarsi di ipertensione arteriosa. In questi pazienti è opportuno adottare una terapia farmacologica in cui andrà privilegiato l’uso di ipnotici a breve emivita, nei fenotipi di insonnia iniziale (difficoltà di addormentamento), mentre potranno essere impiegati farmaci antidepressivi ad azione sedativa nelle insonnie con risveglio precoce. In questi casi, la terapia farmacologica tende non solo a migliorare la continuità e la qualità del sonno, ma promuove anche l’abbassamento dei valori pressori per merito di un’azione miorilassante. Va ricordato che i farmaci sedativi con azione alfa-litica possono indurre ipotensione ortostatica. In questi casi, i pazienti andranno preventivamente avvisati di alzarsi dal letto con cautela e sarà opportuno raggiungere la posologia terapeutica attraverso una titolazione graduale. Se si scelgono farmaci sedativi con proprietà anticolinergiche (es. amitriptilina), la loro prescrizione va valutata con attenzione nei pazienti con patologie CV, per il potenziale effetto attivante sulla frequenza cardiaca.
È noto che anche la sindrome delle apnee ostruttive (OSAS) può essere causa di ipertensione arteriosa, spesso farmaco- resistente. In questi casi la terapia principale è la ventiloterapia noninvasiva con l’uso della CPAP (continous positive airway pressure). Tuttavia, la prescrizione di un ipnotico può essere consigliato anche quando si utilizza la CPAP, proprio per migliorare l’aderenza del paziente OSAS al trattamento ventilatorio.
Viceversa l’ipnoinduttore deve essere utilizzato con molta cautela nel paziente con apnee note ma non in terapia con CPAP. Una terapia farmacologica specifica va considerata nel controllo della sindrome delle gambe senza riposo, una condizione che produce un’intensa, spesso irresistibile, urgenza di muovere le gambe, spesso con sensazioni di bruciore e disestesie. I disturbi compaiono soprattutto nelle ore serali e prima di dormire, interferendo con l’addormentamento. Studi clinici hanno dimostrato che le persone che soffrono di una forma moderata-grave di sindrome delle gambe senza riposo sono ad aumentato rischio d sviluppare ipertensione arteriosa. In questi casi, la somministrazione di un dopamino- agonista a basse dosi è in grado di ridurre l’irrequietezza agli arti inferiori con attenuazione dell’ipertono simpatico. Infine, l’uso di antipertensivi può diventare causa di insonnia. In particolare, i farmaci diuretici possono determinare una nicturia che costringe il paziente a risvegli notturni multipli, talvolta con difficoltà a riprendere sonno. Un possibile fattore di disturbo del sonno può essere rappresentato dalla tosse secca persistente, come effetto indesiderato degli ace-inibitori. Inoltre, va ricordato che i farmaci beta-bloccanti possono essere causa di insonnia e pertanto andrebbero somministrati nelle ore mattutine.
Monitoraggio del paziente nel tempo
Nel momento in cui il MMG decide di prescrivere un farmaco è corretto controllarne l’efficacia e le eventuali intolleranze. Nel caso di patologie croniche è necessario seguire il paziente nel tempo, in modo da adattare le scelte terapeutiche in base all’evoluzione clinica. Il monitoraggio è favorito dalle numerosi occasioni di contatto che le patologie vengono a creare “naturalmente” nel corso del tempo: controllo dei valori pressori, degli esami, rinnovo delle prescrizioni, ecc. Mentre per gli aspetti CV è relativamente semplice identificare i cambiamenti (il paziente li riferisce o gli accertamenti periodici li mettono in evidenza), per il sonno può essere più complesso, in quanto questo aspetto viene spesso ritenuto secondario o poco importante. Se è in corso una terapia farmacologica per i disturbi del sonno, il momento della ripetizione delle ricette può sollecitare il medico a verificare se il problema è adeguatamente controllato. Il momento della prescrizione può rappresentare anche un’occasione per verificare la comparsa di disturbi del sonno legati alla terapia prescritta per le patologie CV.
Farmaci ipnotici, sonno e rischio cardiovascolare
La terapia farmacologica dell’insonnia va considerata con attenzione, valutando le possibili interazioni con altri farmaci, la possibilità di accumulo del medicinale e di sedazione diurna. A maggior ragione, particolare attenzione deve essere posta nel trattamento dei disturbi del sonno nei pazienti con patologia CV, trattata o no, o con rischio di svilupparla. Se si decide di trattare il paziente con un ipnotico, è preferibile somministrare un farmaco a emivita breve e, per la selettività recettoriale sui siti cerebrali della sedazione, andrebbero preferiti gli ipnotici non-benzodiazepinici (ad esempio zolpidem, che ha dimostrato di possedere tali caratteristiche, evidenziando un buon profilo di tollerabilità CV). Nella scelta dell’ipnotico è anche importante valutare la formulazione del farmaco, al fine di prevenire errori posologici, in particolare l’abuso, e l’instaurarsi di fenomeni di dipendenza. A questo proposito, nell’ambito della Medicina Generale è stato evidenziato che la formulazione in gocce induce più facilmente il paziente a incrementare in modo autonomo la posologia, innescando il fenomeno della tachifilassi e della dipendenza. Il tema della formulazione è ribadito anche nel precedente documento congiunto SIMG-AIMS, in cui si raccomanda di utilizzare sempre la formulazione in compresse degli ipnotici. La somministrazione dell’ipnotico naturalmente non dovrebbe determinare modificazioni della pressione arteriosa sistemica, sistolica e diastolica, e della frequenza cardiaca durante il sonno.
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