Medicina di genere [MEDICINA DI GENERE] Le conseguenze della violenza sulla salute delle donne | ![]() |
Violenze e salute delle donne
Subire violenze essere insultata, umiliata, controllata, terrorizzata e minacciata, stuprata, presa a schiaffi, a pugni, a calci, sbattuta contro un muro o contro un vetro, strangolata fa indubbiamente male alla salute. C’è davvero qualcosa di sorprendente? Eppure la violenza sulle donne e le sue conseguenze sono state ignorate nella società e nei servizi sanitari fino a solo pochi decenni fa. Oggi sappiamo che la violenza su una donna, quasi sempre compiuta da uomini che essa conosce bene come il marito o il fidanzato, è frequente, e che le sue conseguenze possono essere devastanti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, “la violenza contro le donne rappresenta un problema di salute enorme … A livello mondiale, si stima che la violenza sia una causa di morte o disabilità per le donne in età riproduttiva altrettanto grave del cancro e una causa di cattiva salute più importante degli effetti degli incidenti stradali e della malaria combinati insieme” 1.
Le conseguenze della violenza sulla salute possono essere dirette o indirette (se considerate dal punto di vista fisico o psicologico). Le conseguenze dirette di un’aggressione fisica consistono in fratture, lividi e lesioni; in caso di violenza sessuale, c’è il rischio di una gravidanza indesiderata, di una malattia sessualmente trasmissibile o dell’AIDS. Le conseguenze indirette sono scatenate dallo stress e mediate dal malfunzionamento del sistema immunitario, e possono colpire qualsiasi organo o funzione. Un’altra modalità attraverso la quale la violenza può compromettere la salute riguarda i comportamenti a rischio: la donna abusata può smettere di mangiare, trascurare la sua salute, non effettuare i controlli sanitari necessari, oppure consumare troppi farmaci, fumare o “automedicarsi” con alcol o droghe. Le donne vittime di maltrattamenti accusano più spesso qualsiasi problema di salute rispetto alle donne che non ne subiscono (Tabb. I e II).
Sul piano psicologico, conseguenze dirette di violenze fisiche o sessuali possono essere rappresentate da reazioni di ansia acuta, di dissociazione, o di numbing (rallentamento e intorpidimento delle reazioni) e, nei casi più gravi, dalla sindrome post-traumatica da stress. Anche violenze di natura psicologica – scenate, minacce, segregazione in casa – possono scatenare gravi reazioni sul piano psicologico. A medio e a lungo termine, la conseguenza psicologica più frequente è la depressione: numerose ricerche mostrano che le donne maltrattate dal partner hanno un rischio di depressione 4/5 volte maggiore rispetto alle altre donne. In uno studio sulle pazienti dei Medici di Medicina Generale (MMG) in provincia di Belluno 5, era depresso il 44% delle donne maltrattate, contro l’11% di quelle che non subivano maltrattamenti, e anche il consumo di psicofarmaci si mostrava quadruplicato. Un’altra conseguenza dello stato di disperazione indotto nelle vittime dai maltrattamenti è il suicidio: uno studio francese (ricerca Enveff, 2002) su un campione di 7000 donne, mostra che il rischio di un tentativo di suicidio aumenta di 19 volte nei mesi successivi un’aggressione fisica e di 26 volte in seguito a una violenza sessuale. Queste reazioni non erano legate alla tipologia dell’aggressore: essere stuprate da un partner o un ex partner (il caso più frequente), da un conoscente, o da uno sconosciuto (il caso più raro) provocava reazioni altrettanto gravi. Non c’è da stupirsi che le vittime di violenze frequentino più spesso delle altre i servizi sanitari (Tab. III) e consuminopiù farmaci rispetto alle altre donne. Secondo i risultati di una metanalisi promossa dalla Banca Mondiale, le donne che hanno subito violenza costano alla società più del doppio se confrontate con le altre donne: utilizzano 3 volte di più i servizi sanitari (pronto soccorso, consultori gine-cologici, servizi psichiatrici, Sert), fanno mag-gior uso (e abuso) di psicofarmaci, perdono più giorni di lavoro, vanno più frequentemente incontro a invalidità. La violenza da parte di un partner o un ex partner è probabilmente la tipologia più frequente che una donna incontra nell’ambito relazionale e familiare. Tuttavia, non vanno dimenticate le violenze compiute da altri familiari: padre, madre, fra-telli, figli e figlie adolescenti o adulti. Queste violenze, anche se prevalentemente psico-logiche, possono essere devastanti e compro-mettere benessere e salute della donna che le subisce.
I numeri e le caratteristiche delle violenze “domestiche” sulle donne
Secondo le ricerche internazionali, nei paesi industrializzati tra il 20 e il 30% delle donne ha subito nel corso della vita maltrattamenti fisici o sessuali da un partner o da un ex partner. Le violenze psicologiche sono ben più frequenti. Secondo i dati raccolti su un campione di circa 700 ragazzi e ragazze del Nord Italia (Romito, ricerca non pubblicata), il 9% aveva visto il padre picchiare la madre, e il 15% aveva assistito a maltrattamenti di tipo psicologico.
Sono più colpite le donne giovani, anche se ci sono mariti che continuano a essere violenti in età avanzata. La condizione di gravidanza non protegge dai maltrattamenti; anzi, secondo alcuni autori, gravidanza e puerperio sarebbero dei periodi particolarmente a rischio. Esiste un aggressore “tipico”? Sì e no. No, nel senso che gli uomini violenti non presentano, se non eccezionalmente, delle patologie mentali o sociali. L’associazione con l’alcolismo, rilevata da molti, non è esplicativa: ci sono uomini che bevono e sono violenti, ma non è mai il bere che causa la violenza. I mariti o fidanzati violenti, inoltre, non sono affatto confinati a una determinata nazionalità, religione o classe sociale. Se è vero che ci sono culture o sub-culture in cui il dominio dell’uomo sulla donna è considerato più accettabile, e quindi le violenze sono più frequenti, è altrettanto vero che l’identikit dell’uomo violento corrisponde a un “signor qualunque”: disoccupato, operaio, impiegato, professore, poliziotto… medico. È vero invece che l’alcolista, il disoccupato o lo straniero sono più “visibili”, attirano maggiormente l’attenzione delle forze dell’ordine ed è più probabile che siano denunciati. Allora, in che senso l’uomo violento è tipico? Quello che lo caratterizza è un’idea della donna come un essere inferiore, che non ha diritto all’autonomia, alla libertà, e di se stesso come legittimato a controllare, dominare, possedere questa donna. Gli uomini violenti, inoltre, anche se privi di patologie mentali identificate, hanno subito più spesso degli altri maltrattamenti in famiglia, o hanno visto il padre picchiare la madre: questo dato ci conferma l’importanza di intervenire nei casi di violenza domestica, anche per prevenire le conseguenze sui bambini e il ripetersi delle violenze.
I pregiudizi sulle donne vittime di violenza
La ragazza violentata se l’è andata a cercare, ha provocato, era in minigonna, in fondo le piaceva, oppure si è inventata tutto, è bugiarda, isterica, si vuole vendicare… La donna maltrattata è una cattiva moglie, ha provocato, esagera, oppure è masochista, altrimenti, perché non lo lascia? È paradossale che le vittime debbano subire, oltre all’aggressione, anche dei pregiudizi così negativi, colpevolizzanti per loro e de-colpevolizzanti per gli aggressori. Sono pregiudizi frequenti anche tra gli operatori sanitari e le forze dell’ordine. Una ricerca a Bologna svolta da un medico, Lucia Gonzo, ha evidenziato la completa mancanza da parte degli operatori sanitari di conoscenze e strumenti per riconoscere la violenza; i MMG, più degli altri, consideravano la violenza domestica un fatto privato tra marito e moglie e giustificavano i maltrattamenti. La maggior parte degli intervistati (67%) era favorevole alla prescrizione di psicofarmaci alle vittime di violenza, una risposta spesso inappropriata, sia perché trasmette alla donna il messaggio che ha dei problemi mentali, sia perché la rende meno reattiva nel proteggersi dalla violenza (fuggendo, chiamando la polizia, i vicini ecc.). Questi pregiudizi non trovano riscontro nella realtà. Riguardo allo stupro, basti dire che, in tutto il mondo, la maggioranza delle vittime sono bambine o adolescenti; gli stupri, inoltre, vengono denunciati in una proporzione minima che va, secondo le ricerche, dal 5 al 15% di quelli realmente avvenuti (e più il rapporto vittima-aggressore è stretto, come nel caso dell’incesto, meno probabile è la denuncia). Riguardo alle mogli maltrattate, basti ricordare alcuni dei motivi per cui una donna non lascia un uomo violento: perché lui la minaccia di cose terribili se lei se ne va (e spesso mette in atto queste minacce, vedi le persecuzioni o stalking e gli omicidi, che avvengono sempre dopo la separazione); perché non ce la fa economicamente, soprattutto se ci sono bambini; perché non vuole togliere il padre ai figli, e spesso i parenti le fanno pressioni in questo senso; perché spesso ha amato questo uomo e spera che cambi, anche perché lui glielo promette… Tutto questo ha poco a che fare con il “masochismo” e molto con la mancanza d’aiuto e sostegno che le donne maltrattate incontrano nella famiglia e nella società.
Conclusioni
La prevenzione primaria della violenza sulle donne è un problema sociale e politico, più che sanitario. La prevenzione secondaria (screening per l’intervento iniziale) e terziaria (intervento per minimizzare gli effetti a lungo termine) sono invece il focus dell’intervento sanitario. Ciò comporta una revisione delle pratiche di accoglienza e delle procedure che riguardano la prima visita della donna: è indispensabile inserire nei protocolli di accettazione di ogni paziente, in ogni tipo di servizio, domande sulla violenza. Sappiamo che tutte le donne sono vulnerabili, perciò è importante fare domande a tutte coloro che accedono a un servizio. Molte non dichiarano spontaneamente di essere o essere state vittime di violenza, e spesso non ne hanno mai parlato con nessuno, ma sarebbero disposte a farlo con un medico che ponga loro delle domande in un contesto di cure e non valutativo. Poiché alcune donne inizialmente potrebbero non riconoscersi come “maltrattate”, i medici dovrebbero ordinariamente porre a tutte delle domande in proposito, inserendole nell’anamnesi medica. Spesso il personale sanitario ammette di essere in difficoltà nell’affrontare il tema della violenza: temono che le donne si sentano offese se vengono fatte loro domande in proposito. Ma numerose ricerche mostrano invece che le donne non sono disturbate da tali domande; anzi, se hanno subito violenza, colgono con sollievo l’occasione di parlarne con il medico. Il MMG può rappresentare un soggetto privilegiato nell’intercettare su vasta scala il fenomeno della violenza intrafamiliare e può intervenire facilitando l’emersione del fenomeno e la riduzione del danno. Il peso dell’intervento non può ricadere completamente sul MMG, che dovrebbe piuttosto entrare in rete con altri servizi, operando con le sue specificità all’interno di un programma più articolato. Programma che coinvolga, oltre agli operatori sanitari, quelli sociali e della giustizia e il mondo dell’associazionismo femminile. I centri antiviolenza sono in grado di offrire alla donna rifugio, solidarietà e proposte concrete di uscita dalla violenza, e soprattutto di affiancarla nella rilettura della sua esperienza personale alla luce di una storia sociale e collettiva che le restituisca forza e consapevolezza di sé.
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