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GEN
2013
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 10 - Articolo 4. Gennaio 2007] La Comunicazione in Momenti di Transizione: Come Aiutare i Pazienti ad Affrontare la Perdita e Ridefinire la Speranza


Titolo originale: Communication at Times of Transitions: How to Help Patients Cope with Loss and Re-Define Hope
Autori: Wendy G. Evans, James A. Tulsky, Anthony L. Back, Robert M. Arnold
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Cancer J 2006;12:417–424
Recensione a cura di: A.K. Rieve
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Introduzione
Se, come la definiscono gli Autori, Transizione è il processo di cambiamento da una condizione alla successiva, le persone malate di cancro hanno esperienza di molte transizioni durante il corso della loro malattia. Anche se molti pazienti guariscono e per molti altri le cure possono prolungare la vita e migliorarne la qualità, indipendentemente dal decorso e dall’esito finale della malattia, la diagnosi di cancro comporta una molteplicità di aggiustamenti per il paziente. Le grandi transizioni avvengono in alcuni momenti, in cui il paziente apprende determinate “notizie” e cioè la diagnosi, il fatto che la malattia è progredita o il fatto che non esistono più cure. Colpiscono il paziente anche altre innumerevoli piccole transizioni: dalla perdita dei capelli, all’impianto di un catetere, all’impossibilità di guidare l’auto o aver bisogno d’aiuto per la cura della persona. Quando la transizione implica la perdita di una “status”, che aveva una valenza importante per la persona, quella perdita deve essere pianta: l’incertezza può lasciare i pazienti incerti e vulnerabili. Nel caso specifico del cancro, poi, lo stato verso il quale avviene il cambiamento è uno stato di inabilità e forse di morte, e questo può apparire inacettabile al paziente e comportare rabbia, paura e depressione. Affrontare questi cambiamenti (“coping”) significa elaborare le emozioni, farsi un nuovo concetto della propria esistenza ristrutturandola verso una nuova forma, in cui può prendere spazio la speranza di altri valori o altri esiti che abbiano un significato per il paziente. Gli oncologi, affermano gli Autori (e forse più ancora, è lecito pensare, i Medici di Famiglia) sono in una posizione privilegiata per sostenere i pazienti durante queste transizioni: benché nessuno possa risparmiare ai pazienti la sofferenza morale legata al cancro, vi sono buone prove che il rapporto del paziente con il suo medico e il modo nel quale il medico comunica con lui possa ridurre in maniera significativa il disagio emotivo ed aiutarlo a fronteggiare la malattia e ridefinire la speranza. Con lo scopo di guidare gli oncologi in questo compito, questa pubblicazione si compone di due parti:

 

 

  • una revisione della letteratura scientifica sulla comunicazione in oncologia in momenti di transizione
  • una guida pratica a specifiche tecniche di comunicazione con il malato di cancro con due importanti obbiettivi specifici:
    1. far emergere le preoccupazioni del paziente e manifestare empatia
    2. creare un equilibrio fra realismo e speranza.

 

Dati empirici: quello che i pazienti vorrebbero che gli oncologi facessero durante le transizioni
Il dato comune che emerge dagli studi sulla comunicazione è che i pazienti affermano di avere fiducia verso medici che diano loro informazioni biomediche sulla loro malattia e le terapie, che dimostrino di prendersi cura di loro come individui e che bilancino speranza e realismo.

 

Dare informazioni biomediche
Apprendere informazioni sulla propria malattia è importante per i pazienti per diverse ragioni: comprendere meglio la propria malattia e ciò che sta accadendo loro, partecipare attivamente alle decisioni sui trattamenti (anche se si è visto che i pazienti desiderano avere informazioni sulla propria malattia e sulle terapie indipendentemente da desiderio di partecipare alle decisioni). Non meno importante, una prerogativa giudicata della massima importanza dai pazienti: rendersi conto se l’oncologo sia tecnicamente competente e ciò viene percepito più importante ( rispetto ad altre qualità come la capacità di parlare di emozioni, fornire sostegno morale e garantire risorse sociali. Attualmente, la gran parte della comunicazione oncologo-paziente è centrata sul conferire informazioni biomediche, e la maggior parte del tempo della visita è dedicata ad argomenti di natura medica concernenti gli obiettivi della terapia e lo stato di avanzamento della malattia (per esempio, in uno studio su pazienti con cancro metastatico, all’ 85% dei pazienti veniva detto lo scopo della terapia e al 75% di loro che la malattia era inguaribile).

 

Dimostrare di prendersi cura ed avere comprensione dei pazienti come individui
Oltre alle informazioni biomediche, i pazienti desiderano avere la percezione che il loro oncologo li comprende e li tratta da individui: questa sensazione li rende fiduciosi nel fatto che gli indirizzi terapeutici saranno sviluppati su misura per specifiche situazioni e i bisogni individuali. Per quei pazienti che, come spesso accade, delegano le decisioni terapeutiche al loro oncologo, è particolarmente importante sentire che il medico li capisce come persone e si impegna per il loro benessere. I segnali di questo sono ravvisati nel fatto che l’oncologo dedichi loro tempo, che permetta loro di fare domande e che dia ascolto alle loro preoccupazioni. Le preoccupazioni dei pazienti spesso hanno componenti sia emozionali che sociali. Anche se a questi temi è data dai pazienti una priorità inferiore rispetto agli argomenti sanitari, in uno studio l’80% dei pazienti esprimevano il desiderio di affrontarli con l’oncologo. Si è visto che di fatto i temi psicosociali sono toccati con minor frequenza nel corso della visita oncologica: i medici non sono in grado di predire in maniera adeguata le preoccupazioni dei pazienti e il momento in cui i pazienti desiderano affrontarle, e la gravità clinica della malattia non si è dimostrata essere un indicatore adeguato in questo senso. Col progredire della malattia, gli aspetti tecnici dell’assistenza oncologica passano in secondo piano rispetto alla relazione interpersonale e aumenta il bisogno di rassicurazione, di non sentirsi abbandonati. L’impegno del medico ad affrontare il futuro insieme al paziente anche quando non esistono più cure che allunghino la vita, diventa tanto più importante quanto più si fa incerto questo futuro.

 

Bilanciare speranza e realismo
La grande maggioranza dei pazienti desidera che l’oncologo sia onesto e realistico. Tuttavia i pazienti vorrebbero che la verità fosse bilanciata dalla speranza, e a loro giudizio gli oncologi potrebbero realizzare questo obiettivo:

 

 

  1. Prestando attenzione a quale informazione il paziente è pronto da apprendere e all’impatto prodotto sul paziente dalle informazioni date
  2. Sottolineando ciò che può essere fatto. Esiste variabilità fra i pazienti per quanto concerne gli argomenti su cui desiderano ricevere informazioni: in un campione di pazienti con tumore metastatico, più del 95% desideravano ottenere informazioni su opzioni di terapia, effetti collaterali e sintomi. La maggior parte (85%) desideravano conoscere la sopravvivenza massima attesa con la terapia e l’80% volevano sapere le percentuali di sopravvivenza a 5 anni, I pazienti vogliono che i medici negozino con loro quando e come viene presentata loro l’informazione. I pazienti desiderano che i medici siano onesti, ma non crudi nel fornire le notizie, e che non diano una quantità di dettagli superiore a quella che il paziente vuole sentire. I pazienti vogliono che il medico sia onesto nel parlare della morte e disposto a farlo, ma esigono che sia sensibile nel capire se il paziente è pronto ad affrontare questo tema. I pazienti ritengono che è possibile favorire il coping e nutrire la speranza anche quando si parla di prognosi infausta e di fine-vita: questo potrebbe essere realizzato sottolineando ciò che può essere fatto per esempio controllando la sintomatologia, il sostegno emotivo, la salvaguardia della dignità e il supporto pratico. Lo spettro delle speranze segnalate dai pazienti e dagli operatori sanitari si estende dalla speranza di guarigione a quella di morire serenamente e in presenza dei propri cari: i medici possono favorire la speranza individuando obiettivi realizzabili e prospettando la possibilità del vivere giorno per giorno.

 

Mostrare interesse e comprensione per i pazienti come individui: far emergere le preoccupazioni e manifestare empatia
I medici sono spesso riluttanti nel far emergere le preoccupazioni dei pazienti per timore di non saper dare loro risposta. Peraltro la formazione medica, secondo il principio di beneficenza, è improntata alla ricerca della soluzione dei problemi dei pazienti e potrebbe dunque sembrare paradossale far venire alla luce problemi che non possono essere risolti. Dati empirici dimostrano però che esprimere le proprie paure e sentimenti aiuta il paziente anche quando i problemi non sono risolvibili. Gli oncologi possono aiutare i pazienti a far fronte alle perdite promuovendo l’espressione delle paure e rispondendo in maniera empatica alle emozioni. Questi due aspetti, che qui vengono discussi separatamente per chiarezza espositiva, sono strettente correlati fra loro: se il paziente percepisce l’atteggiamento empatico del medico è più incline ad aprirsi a lui.

 

Far emergere le preoccupazioni
Nei momenti di transizione, i malati di cancro hanno molte preoccupazioni su aspetti medici, psicologici e sociali: esprimere questi timori al medico può rendere più facile l’esperienza della transizione, indipendentemente dal fatto se il medico sia in grado di porvi riparo o no. L’incertezza sul futuro provoca ansietà e paura, che si avverino le ipotesi peggiori: ricevere informazioni, anche se negative, spesso facilita il coping perché riduce il grado di incertezza. Dati empirici dimostrano che il livello di disagio psicologico dei pazienti è in rapporto col numero di preoccupazioni che hanno e che i pazienti che hanno un elevato grado di preoccupazione riguardo alla loro malattia hanno maggiori probabilità di sviluppare un disturbo affettivo. Che il paziente abbia l’opportunità di esprimere le proprie preoccupazioni è di duplice utilità: in primo luogo, parlare serve a disinnescare l’angoscia e questo processo si è dimostrato utile nel migliorare il controllo dei sintomi; in secondo luogo, quando i medici si informano sulle loro preoccupazioni, questo per i pazienti è prova di interesse ed attenzione. La possibilità di esprimere le preoccupazioni è influenzata sia dall’atteggiamento del medico sia da fattori inerenti il paziente. E’ stato dimostrato che la capacità del medico di predire le preoccupazioni del paziente è scarsa e si è visto che più è alto il livello di disagio nel paziente, più è basso il grado di percezione di questo disagio da parte del medico. Benché spesso i pazienti desiderino parlare di problemi psicosociali è poco probabile che lo facciano se non viene loro espressamente chiesto. I pazienti ansiosi o depressi sono quelli che tendono meno di tutti ad esprimere preoccupazione per il futuro e per la perdita di indipendenza. Poiché il medico non è in grado di predire le preoccupazioni del paziente, è necessario che egli indaghi sulle sue preoccupazioni usando competenze comunicative efficaci nel favorire l’apertura del paziente. Queste consistono specificamente nell’utilizzare domande aperte, dando più tempo al paziente per parlate, e nel mostrare empatia. L’empatia è l’aspetto comunicativo più importante: se il paziente non ha un riscontro empatico, cessa di esprimere i propri problemi, mentre un atteggiamento empatico da parte del medico favorisce l’apertura.

 

Esprimere l’empatia
Empatia è il riscontro esplicito, verbalizzato o non verbalizzato, da parte del medico all’espressione di un’emozione da parte del paziente . Una comunicazione empatica riduce l’ansia del paziente, lo fa sentire compreso e gli fa percepire che il medico si prende cura di lui. Questo non implica da parte del medico promesse di risoluzione dell’emozione provata dal paziente o delle cause che l’hanno prodotta, cosa che di solito non è possibile. Il primo passo per esprimere empatia è riconoscere quando il paziente sta esprimendo un’emozione. Il paziente può esprimere un’emozione utilizzando parole che descrivono in maniera diretta l’emozione (per es. spaventato, preoccupato, triste, depresso, scoraggiato, etc.) oppure alludervi senza impiegare parole che esprimono l’emozione (“non so se sono in grado di…”), oppure attraverso un segno non verbale di emozione. Benché non sia necessario dare seguito ad ogni espressione di emozione, una risposta empatica da parte del medico non allunga il tempo di visita e può essere di grande utilità per il paziente. La risposta empatica può essere particolarmente utile quando un paziente rigetta le informazioni cognitive sulla sua malattia: passare da una comunicazione di contenuto ad una emotiva può ristabilire la sintonia fra medico e paziente e far venire alla luce i timori del paziente. Ad esempio: Medico: “Mi spiace dirlo, ma ora lei è troppo debole per continuare la chemioterapia, penso che sia ora di cambiare approccio”- Paziente: “Non sono debole! Ho bisogno di quella chemioterapia!” – Medico: “Deve essere davvero duro ricevere una simile notizia” – Paziente: “Sì, finora ho rifiutato di pensare che cosa farei se non potessi più fare terapia”.

 

Gli Autori riassumono gli aspetti salienti dell’espressione di empatia nelle seguenti raccomandazioni: Manifestazioni non-verbali:

 

 

  • Porsi di fronte al paziente in maniera diretta per indicare interesse alla sua storia
  • Adottare una postura aperta per segnalare apertura verso il paziente
  • Propendere verso il paziente per segnalare vicinanza e flessibilità verso la sua posizione
  • Usare il contatto oculare per dimostrare attenzione
  • Mantenere una postura rilassata per ridurre l’ansia del paziente

 

Manifestazioni verbali: (esemplificate sulla base dell’affermazione del paziente: “Questi mal di testa mi stanno uccidendo”)

 

 

  • Denominare l’emozione: “Lei sembra essere frustrato”
  • Comprendere l’emozione: “Deve essere davvero dura avere un dolore del genere”
  • Esprimere stima (elogiare) verso il paziente : “L’ammiro perché è capace di perseverare con la terapia e con le altre cose della vita pur avendo questi mal di testa”
  • Sostenere il paziente: “Io e la mia squadra saremo qui ad aiutarla contro il suo mal di testa”
  • Esplorare l’emozione : “Mi dica qualcosa di più su che effetto le fanno questi mal di testa”

 

L’importanza della risposta verbale all’emozione non sta tanto nella corretta determinazione del tipo di emozione, quanto nel riconoscere che un’emozione è presente e dare al paziente la possibilità di esprimerla e fargli percepire attenzione, comprensione e sostegno da parte del medico. Anche le affermazioni del tipo “vorrei che” sono un mezzo potente per convogliare empatia quando i pazienti ricevono una cattiva notizia o sembrano incapaci di farsi una ragione della loro situazione clinica: Pur trasmettendo l’informazione che il paziente rifiuta a livello cognitivo, in questo modo il medico evita il disaccordo sul contenuto, e anzi ne sottolinea la verità, ma al tempo stabilisce un’alleanza col paziente. (“Vorrei poterle dare una notizia diversa, ma purtroppo il tumore è cresciuto”)

 

Bilanciare speranza e realismo
Speranza è il desiderio e la ricerca di un bene futuro. Per i malati di cancro una speranza dominante è quella di guarire, ma sfortunatamente, in molti casi questo non è possibile e il medico si trova nell’impasse fra il desiderio del paziente di sapere la verità e quello che non gli venga tolta la speranza. Questa difficoltà, a giudizio dei pazienti, può essere superata attraverso una maniera sensibile di dire la verità e la promozione di speranze diverse da quella della guarigione.

 

Sensibilità nel dare informazioni
Vengono suggerite due tecniche per trasmettere informazioni difficili con una gradualità adeguata al singolo paziente: Chiedi-dici-chiedi

 

Questa tecnica fa sì che:

 

 

  • l’interazione medico-paziente rimanga un dialogo
  • l’informazione da trasmettere sia adeguata la paziente

 

La comunicazione è intervallata da domande finalizzate a verificare che le informazioni trasmesse dal medico siano utili al paziente. Quello che segue è un esempio di comunicazione di prognosi:

 

Paziente: “Per quanto ne avrò, Dottore?” CHIEDI
Medico: “E’ importante che ne parliamo; per esser certo di darle la risposta più utile, potrebbe innanzitutto dirmi che cosa mi sta chiedendo?”

Paziente: “Mia figlia si sposa a luglio- vorrei davvero esserci” DICI
Medico: “Con il trattamento che sta facendo, mi aspetto pienamente che sarà in grado di andare al matrimonio a luglio.” CHIEDI

Medico: “Questo le dà l’informazione che sperava di avere?”
Paziente: “Sì, sapere questo ora mi rassicura ora.”

 

Sperare per il meglio e prepararsi al peggio
Quando il medico deve discutere la possibilità di esiti sfavorevoli mentre il paziente sembra attaccarsi a speranze non realistiche, questo approccio è utile in due modi: 1) consente la pianificazione di cose pratiche senza dare l’impressione di togliere ogni speranza per un esito favorevole 2) permette al paziente di guardare in faccia un esito che lo spaventa, e questo potrebbe essere un primo passo verso la ricerca di nuove forme di speranza. Questo approccio parte dal concetto che sperare in una cura, per quanto estremamente improbabile, non è di per sé un problema. Le speranze poco realistiche diventano un problema quando il paziente non è in grado di contemplare nessuna altra possibilità e questo può causare futuri disagi al paziente e i suoi familiari, come per esempio scelte terapeutiche o di vita basate su un’idea errata dell’aspettativa sopravvivenza.

 

Promuovere speranze diverse dalla guarigione: lo spettro delle speranze
Un’altra descrizione di speranza è non tanto come desiderio di un certo esito, quanto come un processo per mezzo del quale ci aspettiamo qualcosa di positivo dal futuro e facciamo dei progetti per realizzare quell’obbiettivo. Sotto questa prospettiva, la speranza è perpetua e qualcosa che tutti gli esseri umani coltivano naturalmente e non è limitata ad un singolo esito: possiamo sperare in più cose contemporaneamente.
Lo spettro della speranza, così come è stato definito da pazienti e operatori sanitari, va dal guarire, al vivere più a lungo, al trovare un senso alla vita, a trascorre un tempo straordinario con le persone amate, a trovare significati spirituali, ad avere una morte serena. Le speranze sono individuali: attraverso buone competenze di comunicazione, gli oncologi possono aiutare i loro pazienti a scoprire e dar voce alle loro singolari e personali speranze. Questo avviene per mezzo dell’empatia, le tecniche del chiedi-dici-chiedi e dello sperare per il meglio prepararsi al peggio, ma più di ogni altra cosa per mezzo della curiosità del medico verso le speranze e le paure del paziente. La maggior parte degli obbiettivi e delle speranze dei pazienti non sono di tipo biomedico bensì personali e sociali, in rapporto con i valori più importanti per il paziente: famiglia, amici, senso di sé, spiritualità, preoccupazioni di tipo pratico (finanziarie e testamentarie). Attraverso l’attenzione e la cura verso il paziente, il medico potrà aiutare il paziente a mettere in luce le proprie speranze e definir gli obiettivi.

 

Rilevanza per la Medicina di Famiglia
“Valgono più due parole…” E’ esperienza comune, fra Medici di Famiglia, sentir dire così da pazienti frustrati da esperienze di cure ospedaliere il più delle volte tecnicamente ineccepibili ma gravemente carenti sotto il profilo umano. Nelle cure palliative domiciliari, man mano che il tumore avanza, per il paziente passano in secondo piano gli aspetti biomedici della malattia rispetto ai bisogni di relazione e di rassicurazione. Ogni paziente nel cercare disperatamente di superare l’impatto negativo che la malattia produce mette in atto un “piano strategico” (coping) che in parte riesce a costruire partendo da risorse soggettive interne ed in parte da appoggi esterni su cui sa di poter contare. Il Medico di Famiglia può essere spesso l’unica risorsa esterna per il coping del paziente. Prendere consapevolezza di questo ruolo (da cui derivano competenze e compiti ben definiti) può fare la differenza in termini di qualità della assistenza.

 

Commento del Revisore
Questo lavoro è indirizzato esplicitamente agli specialisti oncologi, ma può rappresentare una guida preziosa anche per i Medici di Famiglia, che grazie alla continuità di rapporto con i pazienti e le loro famiglie hanno un ruolo fondamentale nel favorire lo sviluppo di strategie di coping contro i problemi che la malattia solleva. Il pregio di questa guida è che i suggerimenti pratici offerti al lettore sono solidamente basati su una revisione sistematica ed aggiornata di dati empirici pubblicati in letteratura in un’area finora scarsamente oggetto di ricerca: quella della relazione medico-paziente in ambito oncologico e soprattutto è basata sul riscontro dei desideri e dei bisogni di informazione ed emozionali dei pazienti con tumore. Quello che ne scaturisce non è un consueto manuale di tecniche di comunicazione né una semplice e generica incitazione a prestare più attenzione al paziente, ma uno spunto di riflessione forte sul significato profondo dei termini ascolto, empatia, alleanza terapeutica e prendersi cura. E’, in definitiva, riconoscere il ruolo delle parole, come arma efficace di cura, spesso, nell’ambito delle Cure di Fine Vita , l’arma più forte di cui la Medicina dispone!

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 27-ago-07
Articolo originariamente inserito il: 02-feb-07
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