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GEN
2013
Area Cardiovascolare

[Numero 11 - Articolo 4. Febbraio 2007] Relazione tra l’aderenza alla terapia farmacologica basata sull’evidenza e la mortalità a lungo termine dopo un infarto miocardio acuto


Titolo originale: Relationship Between Adherence to Evidence-Based Pharmacotherapy and Long-term Mortality After Acute Myocardial Infarction
Autori: Jeppe N. Rasmussen, MD, Alice Chong, BSc, David A. Alter, MD, PhD, FRCPC
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: JAMA 2007; 297: 117-186
Recensione a cura di: Gaetano D'Ambrosio
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E’ noto che l’efficacia dei trattamenti, dimostrata nell’ambito degli studi clinici controllati, può rivelarsi di gran lunga meno evidente nella popolazione non selezionata della pratica clinica quotidiana e che la scarsa compliance dei pazienti può essere una delle cause di questo fenomeno. D’altra parte, l’osservazione che negli studi clinici controllati la relazione tra aderenza alla terapia ed efficacia può osservarsi anche nel gruppo di controllo, trattato con placebo, ha fatto nascere il sospetto che i migliori risultati osservati nei pazienti con più elevata compliance possano essere attribuiti alla adozione di più coretti stili di vita da parte di questi ultimi piuttosto che all’azione della terapia. L’obiettivo dello studio di Rasmussen e coll. é stato di valutare se l’aderenza alla terapia medica prescritta in pazienti che hanno subito un infarto del miocardio può condizionare la sopravvivenza di questi soggetti e se l’eventuale effetto deve essere attribuito alla efficacia del farmaco o ad altre caratteristiche del paziente correlabili alla compliance.


Metodo
E’ stato condotto uno studio osservazionale longitudinale, basato sulla popolazione generale, che ha coinvolto una coorte di 31455 pazienti, di età superiore a 65 anni, sopravvissuti ad un infarto del miocardio da almeno 15 mesi. Lo studio è stato condotto in Ontario (CA) utilizzando dati provenienti da database amministrativi. Sono stati arruolati pazienti ai quali era stata prescritto almeno un beta bloccante o una statina o un calcio antagonista. L’aderenza alla terapia è stata valutata nell’arco di un anno determinando il periodo di tempo coperto dal numero di confezioni prescritte. L’aderenza è stata definita a priori come elevata, intermedia o bassa a seconda che le prescrizioni coprissero rispettivamente più dell’ 80%, tra il 40% e il 79% o meno del 40% del periodo di osservazione. La sopravvivenza è stata valutata con un follow-up della durata mediana di 2.4 anni. La relazione tra aderenza e sopravvivenza è stata determinata utilizzando un modello statistico multivariato che consentiva di tener conto di differenze socio-demografiche, della severità della malattia, di eventuali comorbilità e dell’uso concomitante di altre terapie di comprovata efficacia. Per studiare se la compliance del paziente potesse condizionarne lo stato di salute indipendentemente dall’effetto della terapia farmacologica è stata analizzata anche la eventuale correlazione tra l’aderenza alla terapia cardiologia ed i ricoveri per cause oncologiche, non essendovi evidentemente una plausibile correlazione biologica tra questi fattori.


Risultati
Confrontando la sopravvivenza dei soggetti con ridotta aderenza alla terapia (bassa o intermedia) rispetto a quella dei soggetti con aderenza elevata, si osserva una relazione tipo dose-risposta per statine e beta bloccanti mentre per i calcio antagonisti sembra non esservi alcuna relazione.



Nessuna correlazione è stata riscontrata tra l’aderenza alla terapia ed i ricoveri per cause oncologiche.


Conclusioni
Gli autori concludono che l’aderenza alla terapia è un fattore capace di condizionare sensibilmente gli esiti dei trattamenti e che ciò è da attribuirsi direttamente all’effetto dei farmaci e non ad un possibile diverso atteggiamento orientato a comportamenti salutari dei pazienti che dimostrano una maggiore compliance. Ciò sarebbe dimostrato: a) dalla mancata correlazione tra aderenza alla terapia cardiologica ed esiti clinici non biologicamente correlati (ricoveri per cause oncologiche); b) dalla specificità di classe dell’effetto, che è evidente per i statine e beta-bloccanti, la cui efficacia sulla sopravvivenza nel post-infarto è comprovata, assente per i calcio antagonisti, per i quali non vi è prova di efficacia; c) per l’esistenza di una correlazione tipo dose risposta tra il livello di aderenza alla terapia e la sopravvivenza.


Rilevanza per la Medicina Generale
Il lavoro è di grandissimo interesse per la Medicina Generale. Anche se l’impostazione del trattamento farmacologico dei pazienti sopravvissuti ad un infarto del miocardio è generalmente affidato allo specialista cardiologo, il Medico di Medicina Generale ha un ruolo fondamentale nel verificare e sostenere l’aderenza dei pazienti alla terapia. Oggi questo sforzo assume le caratteristiche di un intervento sanitario basato sull’evidenza scientifica perché è dimostrato che la maggiore aderenza ai trattamenti di comprovata efficacia migliora la sopravvivenza indipendentemente da altri fattori, quali l’adozione di stili di vita salutari, che potrebbero essere più frequenti nei pazienti più inclini a seguire le prescrizioni del medico. Vi è poi un interesse più generale, di tipo culturale, relativo alle problematiche connesse con la verifica della consistenza delle prove di efficacia, ottenute nelle condizioni “sperimentali” degli studi clinici controllati, quando gli strumenti terapeutici vengono adottati nella realtà complessa della pratica clinica quotidiana in cui dominano fattori quali la compliance del paziente e la comorbilità.

 

Limiti dello studio
Nel valutare gli importanti risultati di questo studio non si può non tener conto del fatto che esso è stato condotto sulla popolazione generale ma ha riguardato solo i soggetti di età superiore a 65 anni. La scelta è stata determinata dalla necessità di evitare che fattori socioeconomici potessero influenzare l’aderenza alla terapia. In Canada, infatti, gli ultra sessantacinquenni godono della rimborsabilità totale dei farmaci. La importante limitazione della fascia di età considerata può condizionare sensibilmente la generalizzabilità dei risultati dello studio. Un altro limite è rappresentato dal fatto che l’aderenza alla terapia è stata valutata sulla base delle prescrizioni effettuate e non delle unità posologiche realmente assunte dal paziente.

Conclusioni del revisore
Questo studio conferma come l’effetto protettivo delle statine e, in minor misura, dei beta-bloccanti, possa essere compromesso da una aderenza scarsa alla terapia ed aggiunge, quindi, una forte evidenza a favore della importanza di non discontinuare i trattamenti prescritti a scopo di prevenzione secondaria nel post-infarto. Viene poi da chiedersi se il risultato dello studio possa essere esteso ad altre terapie e ad altre condizioni patologiche. Questo importante quesito, potrebbe essere l’oggetto di ulteriori ricerche che troverebbero nella Medicina Generale il loro ambito di realizzazione e di successiva applicazione più naturale.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 20-ago-07
Articolo originariamente inserito il: 01-mar-07
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