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GEN
2013
Area Cardiovascolare

[Numero 12 - Articolo 2. Marzo 2007] Trattamento a lungo temine dell’ipertensione, intensificazione del trattamento e controllo pressorio in Europa occidentale e negli Stati Uniti d’America


Titolo originale: Outpatient Hypertension Treatment, Treatment Intensification, and Control in Western Europe and the United States
Autori: Y.Richard Wang, MD,PhD; G.Caleb Alexander, MD, MS; Randal S.Stafford, MD,PhD.
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Arch Intern Med 2007; 167:141-147
Recensione a cura di: Damiano Parretti
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Background
L’ipertensione è il fattore di rischio per malattia cardiovascolare a più alta prevalenza nei Paesi industrializzati, e numerosi studi evidenziano come sia sotto-diagnosticata e sotto-trattata. Il controllo della PA nella popolazione è del tutto insoddisfacente, e si è ritenuto utile indagare sul controllo pressorio e sul raggiungimento dei target prefissati, mettendo a confronto la popolazione europea con quella americana, anche alla luce del fatto che le raccomandazioni per il trattamento antiipertensivo, nelle linee guida americane, sono più aggressive di quelle delle linee guida europee.

 

Lo Studio
SSi tratta di uno studio che ha incluso 21053 pazienti ipertesi in cura presso 291 cardiologi e 1284 medici di assistenza primaria in 5 nazioni europee e negli Stati Uniti. Sono stati utilizzati i dati di CardioMonitor, banca dati sulle visite ambulatoriali di pazienti con patologie cardiovascolari in nazioni selezionate, durante l’anno 2004. Lo studio ha preso in considerazione dati provenienti da 5 nazioni europee (Gran Bretagna, Francia, Germania, Italia, Spagna) e dagli Stati Uniti d’America. Sono stati valutati, in soggetti classificati come ipertesi:

 

 

  1. i livelli dell’ultima misurazione di PA;
  2. il controllo pressorio (PA < 140/90 mmHg);
  3. l’incremento della terapia nel caso di ipertensione non adeguatamente controllata (aumento della dose, aggiunta di un farmaco o sostituzione di un farmaco).

 

I Risultati
Almeno il 92% dei pazienti di cui sono stati raccolti dati riceveva trattamento farmacologico. I livelli di PA pre-trattamento erano mediamente più bassi negli USA. Sono state condotte analisi multivariate per età sesso, abitudine al fumo e caratteristiche antropometriche, che hanno evidenziato come nei pazienti europei l’ultima rilevazione pressoria registrata evidenziava una pressione arteriosa sia sistolica che diastolica più elevata, un minor controllo pressorio, un minor incremento della terapia nei soggetti non a target. In particolare riportiamo alcuni dati:

 

 

  1. la percentuale di PA < 140/90 mmHg registrata nell’ultima visita era più elevata negli Stati Uniti (63% versus 31-46% dei pazienti europei)
  2. il controllo pressorio era raggiunto nel 53% dei pazienti americani, mentre in Europa il controllo era raggiunto nel 27-40% dei casi
  3. un’intensificazione di trattamento era praticata, nei soggetti non controllati (11969 pazienti), nel 38% dei casi negli USA e nel 15-28% dei casi in Europa.
  4. la differenza nel controllo pressorio e nell’incremento della terapia non cambiava nei diversi target di riferimento in base alle diverse condizioni cliniche (PA < 130/80 mmHg per i pazienti diabetici e PA < 140/90 mmHg per gli altri ipertesi non diabetici)

 

La tabella seguente riassume le differenze nella percentuale di controllo pressorio (ultima rilevazione della PA registrata) e di incremento della terapia nei casi non controllati, nelle singole nazioni europee osservate e negli Stati Uniti.

 

 

Limiti dello Studio
Gli stessi autori hanno individuato una serie di limiti dello studio:

 

 

  • la sorveglianza cardioMonitor è basata su rilevazioni estratte da una visita singola; inoltre sono probabilmente sovra-rappresentati soggetti portatori di pluripatologie, che accedono in ambulatorio più frequentemente;
  • la sorveglianza cardioMonitor fornisce un’immagine “istantanea” del trattamento e del controllo pressorio, e non fornisce dati su come la modalità di diagnosi iniziale, la modalità di inizio del trattamento e il trattamento intensivo determinino migliori risultati negli Stati Uniti;
  • i criteri diagnostici variano da nazione a nazione, e questo può creare “biases”

 

Implicazioni per la pratica clinica
I dati dello studio evidenziano e confermano come per il raggiungimento di un adeguato target pressorio occorrano spesso aggiustamenti terapeutici ed il ricorso a terapie di associazione. Nel caso di soggetti a rischio cardiovascolare globale elevato o molto elevato occorre essere molto drastici nella terapia, che deve essere incrementata, nelle dose e nel numero dei farmaci impiegati, fino al raggiungimento di valori pressori soddisfacenti. Il medico di MG deve infatti considerare non risponder un paziente che non raggiunge il target pressorio, solo dopo che questo ha raggiunto una terapia con un massimo di 4 farmaci a dosi piene. In questi casi, il paziente deve essere inviato allo specialista per un approfondimento diagnostico e per una ri-stratificazione del rischio.

 

Conclusioni del revisore
Questo studio evidenzia, a conferma di una situazione peraltro già nota, come in Europa il controllo della PA è inadeguato, e tra i Paesi europei l’Italia presenta la più bassa percentuale di controllo pressorio (31%). Se guardiamo la realtà del nostro Paese, vediamo inoltre che in caso di controllo inadeguato vengono praticati incrementi posologici e aggiunta di farmaci, intesi come prescrizione di politerapia, solo nel 21% dei casi. La nostra situazione risulta peggiore non solo in riferimento agli Stati Uniti, ma anche in confronto con le altre nazioni europee. La riflessione che ne deriva è che un miglioramento è possibile con una maggiore attenzione ai target, data dalla consapevolezza che un buon controllo riduce notevolmente l’incidenza di eventi. Occorre quindi rimuovere la troppa “prudenza” terapeutica e ricorrere più frequentemente alla politerapia. A parziale spiegazione dei migliori risultati ottenuti negli USA, possiamo pensare che lì, a causa di una notevole prevalenza di obesità determinata da vita sedentaria e da un’alimentazione molto più ricca di grassi rispetto alle popolazioni europee mediterranee, le autorità sanitarie spingono verso un severo controllo dei singoli fattori di rischio. In effetti, le linee guida americane di riferimento per la gestione dell’ipertensione arteriosa (JNC VII) indicano livelli di normalità di PA più bassi rispetto alle linee guida europee della European Society of Hypertension/ European Society of Cardiology: nelle linee guida europee i livelli di PA < 120/80 sono considerati “ottimali”, ma si esprime un giudizio di normalità fino a valori di 139/89; nelle linee guida americane la normalità è considerata fino a valori di PA <120/80, e valori di PAS 120-139, e di PAD 80-89 sono considerati uno stato di pre-ipertensione, in presenza del quale occorre mettere in atto misure non farmacologiche “pressanti”. Secondo gli esperti americani, infatti, soggetti portatori di questi valori pressori presentano una incidenza di eventi CV notevolmente superiore a soggetti con valori pressori < 120/80, per cui la fascia definita pre-ipertensione dal JNC-VII deve essere considerata già a rischio. Questa diversa interpretazione dei livelli di PA, può indurre negli USA al un controllo più marcato; ciò tuttavia non giustifica affatto i risultati insoddisfacenti che si registrano in Europa, e per quanto ci riguarda in Italia. Occorre certamente più attenzione al problema, per migliorare una gestione che può portare ad un notevole guadagno in salute della popolazione.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 20-ago-07
Articolo originariamente inserito il: 15-mar-07
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