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NOV
2007
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 20 - Articolo 1. Novembre 2007] La gestione dei sintomi del dolore neuropatico: un’esplorazione delle esperienze dei pazienti


Titolo originale: Managing the Symptoms of Neuropathic Pain: An Exploration of Patients’ Experiences
Autori: S. Jose´ Closs, Vicki Staples, Innes Reid, Mike I. Bennett, Michelle Briggs
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: J Pain Symptom Manage. 2007 Oct;34(4):422-33. Epub 2007 Jun 21
Recensione a cura di: A.K. Rieve
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Gli effetti debilitanti del dolore neuropatico cronico sulla vita quotidiana sono considerevoli, ma se poco si sa su come trattare efficacemente queste condizioni, ancora meno è noto su come i pazienti stessi le affrontino e su quali siano le loro preferenze. La Cochrane Libray offre solo quattro revisioni sistematiche sul trattamento del dolore neuropatico e dei 77 trial reperibili nel registro su questo tema, 70 riguardano interventi farmacologici, tre gli effetti della radioterapia, tre l’elettrostimolazione e uno solo interventi comportamentali. Nel complesso, la letteratura indica un’elevata variabilità dei successi terapeutici ottenibili con analgesici convenzionali, una certa efficacia degli adiuvanti, quali gli antidepressivi triciclici, e degli antiepilettici, che peraltro sono gravati di un’elevata incidenza di effetti indesiderati e interazioni framacologiche. Studi su trattamenti non convenzionali (agopuntura, massaggi di sfioramento, tecniche di rilassamento, etc.) sono perlopiù mal disegnati e pertanto non concludenti. Terapie non farmacologiche potrebbero essere di aiuto in questi pazienti, ma è difficile stabilire quali interventi valga la pena valutare in maniera sistematica. Vi è stata finora scarsa attenzione alla terapia cognitivo-comportamentale (TCC), che tiene in considerazione schemi di pensiero e comportamentali che acuiscono e mantengono il dolore e che potrebbero migliorare i livelli di funzionalità del paziente indipendentemente dai caratteri del dolore. Esistono in letteratura almeno 34 trial controllati randomizzati su pazienti con dolore cronico che dimostrano l’efficacia della TCC nel migliorare il tono dell’umore, le funzioni fisiche, il grado di indipendenza, la capacità di risolversi, e nel ridurre il ricorso ai servizi sanitari. Purtroppo questi studi contengono scarse informazioni sull’efficacia nei pazienti con dolore cronico di tipo neuropatico. Dati preliminari da studi con randomizzati suggeriscono un’efficacia di interventi educativi, cognitivi e comportamentali anche in questo gruppo. E’ possibile che i pazienti rinuncino a cure professionali e sviluppino modalità proprie di adattamento al dolore, ma in letteratura non c’è praticamente nulla che descriva la natura dell’autogestione del dolore neuropatico. Questo studio si propone di contribuire a comprendere quali approcci potrebbero essere utili per le persone che vivono con il dolore neuropatico esplorando dal loro versante la gestione di questo problema.

 

Metodi
Lo studio impiega un metodo basato su focus group. Questo metodo consente ai partecipanti di esplorare ed esplicitare i propri punti di vista meglio delle interviste uno-a-uno ed è particolarmente adatto per pazienti demotivati e scarsamente assertivi che potrebbero incontrare difficoltà nel parlare delle proprie esperienze e per coloro che vogliono esprimere critiche nei confronti delle cure ricevute. Gli Autori ritengono probabile che proprio i pazienti affetti da dolore cronico neuropatico abbiano maggiori probabilità di presentare queste caratteristiche.

 

Partecipanti
I pazienti venivano reclutati per criteri di appartenenza territoriale da un database preesistente costituito da 99 pazienti con dolore cronico che avevano partecipato ad uno studio sulla sintomatologia clinica del dolore neuropatico. Dieci pazienti erano in grado e disponibili a partecipare a tre focus group, il primo composto da due uomini e due donne, il secondo da due uomini e una donna, il terzo da tre donne. L’età era compresa fra 24 e 60 anni.

 

I Focus Group
Da una revisione accurata delle letteratura esistente, MB, ricercatore esperto di dolore neuropatico, e VS, con un background psicologico e senza formazione precedente in materia di dolore, sviluppavano temi di discussione e formulavano il piano del focus group. Questo prevedeva l’impiego di una serie di argomenti aperti per la discussione, sostenuta da incitazioni (ove necessarie) finalizzate ad incoraggiare la conversazione fra i partecipanti piuttosto che risposte dirette al ricercatore. I temi erano incentrati sulle loro esperienze e l’impatto del dolore neuropatico sulla vita quotidiana e su sul modo di affrontare i sintomi.

 

Analisi
Le discussioni audio-registrate venivano trascritte e i dati delle trascrizioni venivano elaborati mediante l’utilizzo di OSR NVIVO versione 2. Successivamente, tre differenti ricercatori - VS (psicologa, vedi sopra), IR (con background di nursing e senza conoscenze specialistiche in materia di dolore) e SJC (esperto di ricerca sul dolore)- procedevano ad analisi indipendenti dei dati. In primo luogo veniva effettuata da VS un’analisi tematica di primo livello dei temi emergenti dalla discussione all’interno dei gruppi e fra i gruppi e delle interazioni fra i temi. L’affidabilità delle codifiche veniva valutata mediante una ri-analisi dei dati da parte di IR. In due casi un disaccordo sull’etichettatura di due temi veniva risolto mediante discussione fra i due ricercatori. Questo consentiva di creare dai dati ottenuti una struttura generale di temi contenenti ciascuno al proprio interno sottocategorie più specifiche di argomenti. A questo punto, SJC leggeva le trascrizioni in rapporto alla struttura condivisa.

 

Risultati
I focus group si svolgevano agevolmente, e i pazienti tendevano ad innescare a vicenda i racconti delle loro esperienze, in particolar modo quelle di frustrazione con i medici, che inizialmente erano riluttanti a riferire. Non vi erano difficoltà per legate alla presenza membri dominati all’interno dei gruppi, e i partecipanti a tutti i gruppi riferivano, al termine delle discussioni, di sentirsi gratificati dall’atteggiamento di sostegno da parte di altri membri dl gruppo. Affrontare l’impatto dei sintomi neuropatici era il tema dominante per queste persone. La strategia più comune era quella di procacciarsi farmaci, sia in maniera lecita che illecita, e anche il ricorso alle medicine alternative complementari (CAM), il riposo e il ritiro. Molti di loro avevano fatto numerosi tentativi di accettare la situazione.

 

Impiego dei farmaci
I pazienti confidavano nei farmaci come metodo principale per contrastare i sintomi e riferivano numerosi tentativi terapeutici mediante farmaci di prescrizione quali antidepressivi, antiepilettici, antinfiammatori ed analgesici oppiacei e non. I farmaci che erano stai loro prescritti erano soprattutto amitriptilina e gabapentin e pregabalin in due casi. Nella maggior parte dei casi, i pazienti segnalavano che la terapia era inefficace e gravata di effetti collaterali. Gli effetti avversi segnalati erano in particolar modo la riduzione delle capacità cognitive e dell’attenzione e memoria, associate soprattutto al gabapentin, mentre l’amitriptilina veniva associata ad ansietà. In diversi casi veniva riferita una tolleranza agli oppiacei ed espressa una preoccupazione per possibili fenomeni di dipendenza da terapie a lungo termine.

 

Trattamenti inefficaci
I pazienti condividevano le rispettive storie terapeutiche pregresse, facendo emergere opzioni terapeutiche consuete ed inconsuete. Molti affermavano di aver dato fondo a tutte le possibilità terapeutiche e che non ve n’erano più altre. I pazienti erano consapevoli della scarsa speranza di trovare cure definitive e che l’intento delle terapie era quello di ottenere il massimo sollievo possibile. Una paziente riferiva di aver rifiutato un’opzione terapeutica che la metteva a disagio: era riluttante ad avviare una terapia con morfina, che percepiva come una scelta finale e riteneva di dover avere un’opportunità di riserva per quando le cose fossero andate peggio. I pazienti si vedevano inseriti in un circuito terapeutico nel quale si spostavano fra differenti categorie terapeutiche, all’interno di stesse classi di farmaci e fra classi differenti e fra differenti modalità di terapia. In molti casi erano ben informati sui loro regimi terapeutici e molto interessati ad eventuali nuove terapie disponibili. Il loro atteggiamento verso questa ciclicità continua delle cure aveva un certo grado di ambivalenza; essa offriva speranze e talvolta i pazienti segnalavano che avere qualche speranza era meglio che non nutrirne, ma d’altro canto parlavano della delusione quando non ottenevano benefici, cosa che per alcuni si era verificata ripetutamente.

 

Affrontare effetti collaterali, tolleranza e addiction
Gli effetti favorevoli dei farmaci erano spesso marginali e per molti pazienti gli effetti collaterali risultavano di difficile gestione. L’individuazione di regimi terapeutici adeguati e dei dosaggi ottimali avveniva spesso per tentativi ed errori. Il deterioramento cognitivo era in particolar modo associato al gabapentin ad alte dosi, e i pazienti erano disposti a sacrificare il controllo del dolore a beneficio della lucidità. Alcuni pazienti dichiaravano di sentirsi insicuri se non erano vigili. Era inoltre comune la perdita di memoria. Due pazienti passati dal gabapentin al pregabalin riportavano una maggiore tollerabilità, a parità di controllo del dolore e con un minor dosaggio. Nel caso di trattamento con triciclici a dosi elevate, i problemi erano legati al fatto che la mancata assunzione comportava senso di ansietà, mentre effetti collaterali fastidiosi erano letargia, perdita delle libido e disturbi urinari. Un singolo paziente riferiva anche un tic muscolare insorto dopo l’avvio della terapia con gabapentin. Alcuni pazienti esprimevano preoccupazione per la perdita di efficacia della terapia nel tempo e di essere diventati addicted al farmaco. Un paziente affermava invece era preferibile rischiare l’addiction piuttosto che rinunciare ad utilizzare determinati farmaci.

 

La ricerca di farmaci di prescrizione e di altri trattamenti medici
I pazienti si chiedevano con insistenza perché tuttora non esistessero farmaci specifici per il dolore neuropatico e perché i loro disturbi venissero trattati con farmaci sviluppati per altre condizioni cliniche, e in particolare l’epilessia e la depressione. In generale erano molto ben informati sulle loro terapie e apparivano realistici circa gli scopi del trattamento. Erano desiderosi di essere aggiornati su possibili sviluppi ed di avere accesso a fonti di informazione da fonti differenti, quali la letteratura medica. Segnalavano che un progresso a volte è più questione di fortuna che l’effetto di un processo, e che è spesso difficile accedere ai servizi desiderati. Alla ricerca di una cura definitiva, alcuni pazienti avevano subito interventi chirurgici ed altri avevano addirittura fatto richiesta di amputazioni d’arto. In generale, questi approcci erano stati inefficaci o negati per inappropriatezza.

 

Uso di sostanze non prescritte
In aggiunta alle terapie di prescrizione, diversi pazienti riferivano il ricorso a sostanze non prescritte, quali alcool, cannabis, o farmaci ottenuti per via illegale, quale il diazepam. Veniva riferito che la cannabis garantiva un certo grado di sollievo dal dolore e contribuiva al rilassamento che dava tregua al dolore. Tuttavia venivano riportati anche effetti indesiderati conseguenti al fumo di cannabis. Un paziente raccontava di aver assunto farmaci prescritti ad altri e farmaci spacciati per strada. Questi pazienti riconoscevano gli effetti collaterali dei farmaci illegali, ma l’angoscia derivante dall’impossibilità di alleviare il dolore loro giudizio tale da giustificare una valutazione dei pro e contro del ricorso a questi rimedi.

 

Strategie alternative
(Le categorie sono suddivise secondo la classificazione del National Center for Complementary and Alternative Medicine)

 

Metodi di manipolazione e basati sul corpo
I pazienti riferivano di aver tentato un certo numero di terapie alternative, fra cui riflessologia, agopuntura, autoipnosi, senza alcun beneficio.

 

Impiego di metodi mente-corpo (riposo e ritiro)
La maggior parte dei pazienti indicavano delle modalità per estraniarsi dal dolore, sia in senso mentale mediante tecniche di concentrazione o di distrazione, sia in senso fisico mediante ritiro in luoghi di riposo. L’esigenza di rilassarsi era segnalata da vari pazienti, i quali affermavano che se solo potessero riposare adeguatamente sarebbero meglio in grado di fronteggiare il dolore.

 

Ipotesi di suicidio
Per una singola paziente, l’unica alternativa all’incapacità di fronteggiare il dolore era stata un tentato suicidio, ma non era la sola persona ad ammettere di sentirsi disperata fino a tal punto.

 

Adattamento alla situazione
All’esortazione a “convivere con il dolore” non corrispondeva un adeguato sostegno da parte dei sanitari. I pazienti vivevano con il dolore, ma molti di essi non si erano adattati o avevano accettato questa condizione. La maggior parte riferivano di aver attraversato periodo di disperazione assoluta, e alcuni di essi si sentivano tuttora in quello stato. Quelli che sembravano far fronte meglio al dolore affermavano di aver accettato la loro condizione e riconosciuto le limitazioni che ne derivavano, si impegnavano nella vita malgrado il dolore e la loro aspirazione era di non arrendersi al dolore. Alcuni pazienti segnalavano di perdere, col tempo, energia per combattere. Anche se non erano rassegnati, spendevano meno forze nella lotta ai sintomi di quanto non facessero all’inizio della loro storia di malattia. Per molti pazienti la mancanza di speranza e di prospettiva era inaccettabile e avrebbero continuato a fare nuovi tentativi piuttosto che cedere alla rassegnazione.

 

Individuazione di fattori scatenanti il dolore
Per questi pazienti era importante dare un senso al dolore, e il suo carattere di imprevedibilità era per loro causa di disperazione.

 

Aumento della tolleranza al dolore
I pazienti ritenevano che convivere con il dolore neuropatico avesse incrementato la loro tolleranza al dolore in genere.

 

Discussione
La visione generale dei pazienti è che la loro esperienza di gestione del dolore neuropatico è largamente fallimentare. Malgrado le ripetute delusioni derivanti dalla medicina ufficiale e dalle terapie alternative, i pazienti mostravano la strenua volontà di tentare qualsiasi altra possibilità di cura, probabilmente mossi dalla speranza di trovare rimedi efficaci e forse in alcuni casi anche dalla disperazione. Come anche in altri gruppi di pazienti con dolore, l’andamento dei tentativi terapeutici era ciclico: l’esito scarso o nullo di trattamenti sia convenzionali sia alternativi e/o gli effetti collaterali inducevano a nuovi tentativi terapeutici. In molti casi l’insuccesso terapeutico portava alla disperazione, all’esaurimento delle energie e alla ricerca continua di soluzioni, occasionalmente perfino con pensieri di suicidio. Questo schema ciclico è comune a molti tipi di dolore persistente, ma nel caso dei pazienti neuropatici è evidente una carenza nelle cure. Quando i medici constatano l’inefficacia delle cure spesso dicono ai pazienti che “devono imparare a convivere con il dolore”, ma forniscono poco o nessun sostegno. In molti centri specializzati per il dolore, la presenza di dolore neuropatico è criterio di esclusione dei pazienti dai programmi di cura, che sono ritenuti inefficaci in questi casi, benché le prove scientifiche in tal senso siano scarse.

 

Le terapie psicologiche comprendono approcci per migliorare il coping e/o l’accettazione del dolore cronico. Coping, commentano gli Autori, è un concetto che non sempre è definito con chiarezza nella letteratura sul dolore. E’ descritto in vario modo come il comportamento mostrato in risposta al dolore indipendentemente dal risultato; un comportamento che ha successo nel ridurre l’impatto del dolore; un tentativo intenzionale di adattarsi al dolore o gestire le proprie risposte negative al dolore. E’ stato suggerito che restringere il campo a al solo concetto di coping potrebbe aver allontanato da altre concettualizzazioni di come i pazienti si adattino al dolore cronico. Un’altra possibilità l’accettazione, che può essere definita come vivere con il dolore senza reagire, opporsi ad esso o tentare di ridurlo o evitalo, il che implica essere realistici e vivere giorno per giorno in maniera positiva. Uno studio comparativo di coping verso accettazione su 230 pazienti con dolore cronico suggeriva che l’accettazione era una strategia di maggiore successo, essendo associata a meno dolore, meno disabilità, meno depressione, meno ansia legata al dolore e ad altri aspetti positivi. L’accettazione si distinguerebbe per tre aspetti: prendere coscienza che una cura definitiva per il dolore è poco probabile, superando la frustrazione per i fallimenti terapeutici ricorrenti, spostare l’attenzione dal dolore ad altri aspetti della vita e contrastare l’idea che il dolore sia segno di debolezza personale. Dai dati della presente ricerca, commentano però gli Autori, sembra che questa via venga percorsa solo quando sono falliti tutti gli altri tentativi esterni di ridurre il dolore. Non è chiaro se le complesse caratteristiche del dolore neuropatico, particolarmente penoso e dall’andamento imprevedibile, siano compatibili con strategie comportamentali di accettazione, ma indagini preliminari suggeriscono che potrebbero avere una certa efficacia e studi più ampi sarebbero pertanto opportuni. L’accettazione sembra essere l’ultima spiaggia per questi pazienti, ma potrebbe essere un approccio con grandi potenzialità di aiutare chi soffre di questa condizione se preso invece in considerazione in un momento più iniziale del percorso di cure. D’altro canto, tentare di favorire l’accettazione del dolore potrebbe essere troppo gravoso per questi pazienti e potrebbe indurre i medici a trattarli in maniera insufficiente. Riconoscere quando il paziente abbia raggiunto il momento in cui è opportuno accettare di dover convivere col suo dolore potrebbe consentire di fornire tempestivamente un supporto o una terapia psicologica personalizzata. E’ interessante rilevare come, benché segnalassero molte difficoltà di ordine psicologico, nessuno dei partecipanti questo studio facesse riferimento al ricorso ad uno psicologo o a psicoterapie. E così come erano mancati loro interventi psicologici, questi pazienti non avevano ricevuto nemmeno sostegno sociale, emozionale e pratico per gestire il dolore.

 

In conclusione, gli Autori prospettano tre aree di ricerca per approfondire le questioni sollevate dalla loro indagine qualitativa preliminare:

  • Indagini più ampie sui processi di scelta delle cure e di autogestione nei pazienti con dolore neuropatico
  • Valutazione dei differenti supporti necessari ai pazienti per vivere con il dolore neuropatico, con particolare riguardo a quello psicologico, emozionale, sociale e pratico
  • Valutazione quantitativa dei processi psicologici e comportamentali associati al dolore che consenta di disegnare e testare trattamenti specifici per il dolore neuropatico
  • Rilevanza per la Medicina Generale
    Il dolore neuropatico è una condizione che viene sempre più frequentemente riconosciuta come malattia cronica e invalidante. All’incirca il 30% della popolazione adulta presenta una qualche forma di dolore cronico e si stima che un quinto di questi pazienti abbiano sintomi di dolore neuropatico, e il più delle volte la loro prima interfaccia è il medico di famiglia.

     

    Commento del revisore
    Questo articolo dimostra chiaramente l’elevato grado di insoddisfazione dei pazienti con dolore cronico neuropatico per l’ascolto ricevuto come persone sofferenti e la loro angoscia davanti ad una condizione difficile da tollerare e per la quale non esiste una cura di sicura efficacia. Nell’attesa che nuovi rimedi vengano sviluppati, appare quanto mai importante sostenere il paziente in una scelta il più possibile razionale fra quelli esistenti, ma probabilmente ancor più comprendere le sue esigenze di assistenza psicologica nella lotta per vivere con questa condizione. Il drammatico dilemma in cui si dibattono questi pazienti, come mette il luce questo articolo, è se investire energie nella lotta contro questa condizione o trovare la forza di accettarla senza contrastarla. Non è accertato quale approccio sia più valido, né quale sia preferibile in determinate categorie di pazienti, né in quale fase della storia clinica. Diventa allora essenziale il ruolo di un medico che abbia una visione d’insieme del paziente e del suo contesto di vita e sappia ascoltarlo, capirne le ragioni e i bisogni, far emergere difficoltà e risorse sue e del suo contesto di vita e all’occorrenza indirizzare verso un supporto o una terapia psicologica vera e propria.

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Articolo originariamente inserito il: 16-nov-07
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