08
GEN
2013
Area Alimenti Funzionali

[Numero 21 – Maggio 2011] Consumo di “Soft drinks” (bevande dolcificate e gasate) e steatosi epatica non alcoolica


Titolo originale: Soft drinks consumption and nonalcoholic fatty liver disease
Autori: William Nseir, Fares Nassar, Nimer Assy
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: World J Gastroenterol 2010 June 7; 16(21): 2579-2588
Recensione a cura di: Umberto Bozzani
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Background

La steatosi epatica non alcoolica (NAFLD) è un problema che affligge il 20% della popolazione. La NAFLD può evolvere in steatoepatite (NASH) con il conseguente rischio di fibrosi fino alla cirrosi (30%) e all’epatocarcinoma (5%). L’insulino resistenza insieme all’obesità sembrano avere un ruolo determinante nella patogenesi, associate alla familiarità e allo stile di vita. Il 70% dei pazienti con NAFLD ha una sindrome metabolica e un significativo aumento del rischio cardiovascolare.
Recentemente si è calcolato che gli affetti da NAFLD consumano 5 volte la quantità di bevande dolcificate (soft drinks- SD) rispetto alla popolazione generale (fig.1), il consumo delle quali si è diffuso molto negli ultimi decenni in cui mangiano più carne e meno pesce e alimenti ricchi in omega3. A livello mondiale, in media, gli SD forniscono il 16% della calorie introdotte quotidianamente e, se questa è una media, si può intuire come in alcuni individui questa quota possa essere molto superiore. I soft drinks contengono come dolcificante prevalentemente fruttosio, ma anche l’aspartame delle bevande dietetiche e il caramello usato come colorante giocano un ruolo nell’indurre insulinoresistenza, obesità e di conseguenza NAFDL e diabete mellito. Una bottiglietta di SD (dall’aranciata alle bevande più trasparenti o scure) contiene l’equivalen
te di 10 - 12 cucchiaini di zucchero (250-325 calorie).

Metodi
Il lavoro si presenta come una review non sistematica. Quindi metodologicamente può presentare bias nella selezione dei lavori rivisti.

Risultati
Contrariamente al glucosio che stimola l’insulina e produce un picco di iperglicemia post prandiale, il fruttosio arriva direttamente e massivamente al fegato dall’intestino, fosforilato dalla fruttochinasi e trasformato attraverso la gluconeogenesi epatica in glucosio o, se non necessario (vita sedentaria), immagazzinato come trigliceridi. I livelli di fruttosio nel sangue possono quadruplicarsi dopo l’assunzione di SD e non stimolano l’insulina, ma possono attivare la lipogenesi e la produzione anche di acidi grassi liberi nel fegato e di fattori come il JNK-1 che inducono infiammazione epatica (steatoepatite). Questi meccanismi determinano anche un aumento delle VLDL e decremento delle HDL circolanti. Il metabolismo extraepatico, che si attiva quando il fegato non triesce a metabolizzare la quantità di fruttosio introdotto, porta alla fine alla produzione di trigliceridi.
L’ingestione di fruttosio induce un aumento dei trigliceridi post prandiali. Inoltre, anche se a breve termine può essere usato nei soggetti diabetici o con IFG come alternativo al saccarosio o glucosio perché non induce iperglicemia post prandiale, a lungo termine invece, in quantità eccessive, può indurre NASH e insulinoresistenza e quindi ridotta tolleranza glicemica e sviuluppo di diabete mellito di tipo 2. Il consumo di più di 1 SD al giorno aumenta il rischio di diabete di 1,8 volte.
È nota inoltre la relazione tra il consumo di SD e obesità infantile.
I pazienti con NAFDL hanno in media un introito doppio di SD rispetto alla popolazione generale. L’ingestione di rilevanti quantità di fruttosio portano anche all’innalzamento del livello ematico dell’acido urico (per induzione dell’enzima chetoesochinasi).
L’effetto sul metabolismo dell’acido urico allarga le considerazioni sul ruolo patogenetico dei SD su NAFDL, obesità,diabete e sull’intero quadro della sindrome metabolica (ipertensione, disfunzione endoteliale e aumentata aggregazione piastrinica, nefropatia, colelitiasi, ovaio policistico ecc.).
In conclusione l’introduzione massiva dei dolcificanti alimentari nella dieta quotidiana occidentale nelle ultime decadi (abitudine che sta progressivamente aumentando soprattutto tra i giovani) ha contribuito largamente a determinare la pandemia di obesità e probabilmente di diabete e di patologie correlate alla sindrome metabolica.

Implicazioni per la pratica clinica
Il medico di medicina generale ha un ruolo importantissimo di educazione della popolazione assistita. La consapevolezza che gli alimenti possono da una parte avere un ruolo positivo come e meglio dei farmaci nel migliorare la salute, ma in altri casi come questo alla stregua dei farmaci possano avere effetti collaterali molto dannosi, può elevare il suo livello di responsabilità nell’educare oltre che ad un corretto uso dei farmaci ad una corretta scelta degli alimenti. I soft drink sono un alimento voluttuario indotto dal marketing e non una esigenza primaria. Certamente la loro diffusione nella alimentazione quotidiana è più limitato in Italia rispetto ad altri paesi come gli USA, ma in alcuni soggetti, unitamente all’uso quotidiano di altri alimenti dolcificati solidi (biscotti, brioche ecc) appare come una vera e propria deviazione. Una corretta educazione alimentare può essere essenziale nella prevenzione primaria. È frequente il riscontro , nella pratica clinica, di soggetti che nello svezzamento dall’abuso alcolico passano ad un abuso di SD, dei cui effetti metabolici dobbiamo tener conto.

Conclusioni del revisore
Il lavoro in questione non ha le caratteristiche di scientificità che noi richiediamo alla letteratura che rivediamo criticamente perché non è un trial randomizzato in doppio cieco nè una metanalisi, ma rappresenta una revisione sull’effetto a livello epatico delle bevande dolcificate. È stato scelto perché apre un nuovo orizzonte di consapevolezza: un alimento può agire sia in senso benefico sulla salute che in senso negativo alla stregua di un farmaco. Alcuni alimenti contengono sostanze (in questo caso fruttosio, aspartame, caramello) che, se assunte regolarmente per anni a dosaggi elevati, potrebbero indurre cambiamenti metabolici stabili e negativi, come altri potrebbero indurre cambiamenti metabolici stabili e positivi. Alimenti dunque come farmaci, da conoscere meglio nei propri effetti metabolici. In questo caso occorrono certamente ulteriori conferme e una revisione più sistematica, ma la possibilità che le bevande zuccherate del commercio, anche quelle dietetiche, se assunte quotidianamente possano indurre cambiamenti metabolici negativi, di cui la NAFLD è una delle manifestazioni principali, rimane per questi autori molto probabile fino a prova contraria.

Bibliografia

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  3. Assy N, Nasser G, Kamayse I, Nseir W, Beniashvili Z, Djibre A, Grosovski M. Soft drink consumption linked with fatty liver in the absence of traditional risk factors. Can J Gastroenterol 2008; 22: 811-816

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 22-mag-12
Articolo originariamente inserito il: 05-feb-11
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