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GEN
2013
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 29 - Articolo 4. Settembre 2008] Efficacia degli oppiodi nel dolore cronico


Titolo originale: Efficacy of Opioids for Chronic Pain
Autori: J. C. Ballantyne, N. S. Shin
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Clin J Pain. Volume 24, Number 6, July/August 2008
Recensione a cura di: Alberto Andrani
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Introduzione
Durante gli ultimi vent’anni, gli oppioidi sono stati sempre più usati per il dolore cronico; attualmente il numero di pazienti in trattamento a lungo termine con oppioidi, ha raggiunto livelli mai raggiunti prima. Alcuni di questi pazienti beneficiano sicuramente del trattamento sia riguardo al dolore che alla qualità di vita. Altri pazienti, invece, non ottengono beneficio. Alcuni interrogativi sono ancora non risolti: quali pazienti sono da selezionare per il trattamento? Come deve essere impostato il trattamento e con quali farmaci, formulazioni e dosi? L’efficacia analgesica è mantenuta? La funzionalità e la qualità di vita è aumentata? Mediante quale esatto regime terapeutico? Nelle opinioni degli esperti, ci sono profonde divisioni sul se e come gli oppioidi dovrebbero essere utilizzati nel trattamento del dolore cronico. Perciò, da quando il trattamento del dolore cronico con oppioidi iniziò a diventare popolare, negli ultimi decenni del secolo scorso, c’è stato un notevole incremento di studi randomizzati sull’argomento. Nonostante la chiara e urgente necessità di trovare prove di evidenza a supporto del trattamento del dolore cronico con oppioidi, l’assimilare queste evidenze si è dimostrato oltremodo difficoltoso. Per primo, non c’è accordo su quale sia l’outcome principale; sarebbe semplicemente il sollievo dal dolore, o la funzionalità è più importante, o la qualità di vita, o la soddisfazione del paziente? Le complessità del dolore e degli oppioidi, il significato delle influenze biopsicosociali sul dolore e sul sollievo dal dolore, rende le valutazioni basate sulla semplice misurazione del dolore poco utili per predire il successo del trattamento. L’efficacia analgesica, come dimostrato dai trials randomizzati, non è necessariamente predittiva di efficacia in termini di raggiungimento di una maggiore lunghezza di vita libera dal dolore e senza compromissione della stessa dagli effetti collaterali dei farmaci. Infine una domanda sembra pertinente: il trial randomizzato è veramente la miglior forma di evidenza per valutare il trattamento del dolore cronico con oppioidi, tenendo conto della “artificialità” del setting di questi studi, la tendenza degli stessi a selezionare il paziente “ideale” e la mancanza di omogeneità dei pazienti studiati, e la difficoltà a trasferire i dati dei trials alla più ampia popolazione che deve essere trattata nella pratica clinica. Studi controllati e randomizzati
I trials randomizzati e controllati (RCTs) che sono stati pubblicati negli anni ’90, furono condotti per valutare l’efficacia degli oppioidi nelle varie forme di dolore cronico, compreso il dolore artrosico e le varie forme di dolore neuropatico. Infatti vi era la convinzione radicata, ma non accertata, che il dolore cronico, in particolare quello neuropatico, non fosse sensibile agli oppioidi. L’appropriatezza degli oppioidi, comparata con i Fans, nel trattamento del dolore articolare, era inoltre messa in dubbio. Nella tab. 1 vengono elencati questi studi e i relativi risultati.  


Tabella 1

 

Le scale di misurazione del dolore, in questi studi, mostrano un significativo miglioramento del controllo del dolore, sia nel dolore articolare che nel dolore neuropatico. Inoltre gli studi dimostrano chiaramente che, contrariamente alla convinzione tradizionale, il dolore neuropatico risponde agli oppioidi, anche se è necessario utilizzare dosaggi più elevati di quelli efficaci nel dolore nocicettivo. Bisogna sottolineare che questi studi sono stati condotti per breve tempo (usualmente poche settimane, ad eccezione di uno che ha raggiunto le 32 settimane) e che i dosaggi generalmente usati erano moderati (sino a 180 mg di morfina o equivalenti al giorno). I risultati sulla funzionalità forniti da questi studi sono vari: alcuni mostrano un miglioramento, altri invece, no. Le modalità di valutazione dei tests di funzionalità variano nei diversi studi in funzione degli interessi prioritari degli investigatori. Le conclusioni sulla funzionalità tratte dagli RCTs sono pertanto limitate poiché essi valutano solo gli effetti sulla funzionalità a breve termine, (quelli iniziali), con la focalizzazione su una specifica funzione, non necessariamente estendibile quindi alla funzionalità in generale. Per fornire una rassegna degli RCTs alcuni autori hanno condotto delle metanalisi e delle revisioni sistematiche. Le prime, effettuate da Kalso et al., hanno analizzato gli RCTs condotti per 8 settimane. L’efficacia analgesica a breve termine è stata buona sia nel gruppo del dolore neuropatico che nel gruppo del dolore muscolo - scheletrico, ma solo una minoranza dei pazienti dello studio hanno scelto di continuare la terapia con oppioidi. Eisenberg et al. hanno visionato specificatamente gli studi sugli oppioidi nel dolore neuropatico, evidenziando un beneficio analgesico significativo in tutti gli 8 studi che valutavano una terapia non parenterale per più di 28 giorni confermando così l’efficacia degli oppioidi nel dolore neuropatico. Devulder et al. hanno condotto una revisione sistematica con l’obiettivo principale di valutare la funzionalità e la qualità di vita. La revisione comprendeva studi osservazionali in aperto insieme a RCTs (con 5 su 11 trials randomizzati in cieco), alcuni condotti per più di 12 settimane, altri sino a 48 mesi. Da questa analisi non si possono trarre conclusioni circa l’efficacia analgesica, ma la funzionalità e la qualità di vita mostravano un miglioramento ovunque. Alcuni autori, però, riconoscono che la qualità di alcuni studi che contribuiscono all’analisi era bassa. Nel 2006 Furlan et al. hanno pubblicato una metanalisi che valutava l’efficacia e gli effetti collaterali degli oppioidi nel dolore cronico. Sono stati inclusi 41 RCTs e 6019 pazienti trattati per più di 16 settimane. Gli autori sono stati in grado di evidenziare che il sollievo dal dolore era migliorato ovunque dagli oppioidi forti, ma non dagli oppioidi deboli o dai farmaci non oppioidi, mentre la funzionalità era migliorata sia dagli oppioidi deboli che dai non oppioidi ma non dagli oppioidi forti. La più recente revisione sistematica ad opera di Martell et al. che ha valutato la terapia con oppioidi nel dolore cronico lombare, comprendeva 6 RCTs che comparavano gli oppioidi con placebo o con farmaci non oppioidi, 4 dei quali erano stati utilizzati in una metanalisi che non ha trovato nessuna riduzione del dolore con gli oppioidi. Nessuno studio in questa review è stato condotto per più di 16 settimane. Gli RCTs forniscono una forte evidenza che gli oppioidi determinano un iniziale sollievo nel dolore cronico. Comunque, poiché gli RCTs non possono essere condotti per periodi prolungati, essi non sono utili per accertare gli effetti a lungo termine del trattamento. Gli studi di follow-up in aperto insieme ad alcuni RCTs forniscono spunti sull’utilità degli oppioidi a lungo temine. Questi riportano una soddisfacente analgesia per tutti i pazienti che vengono posti in trattamento. Revisioni di studi di follow-up in aperto, comunque, hanno mostrato che più del 56 % dei pazienti abbandona il trattamento per mancanza di efficacia o per gli effetti collaterali.

Studi osservazionali
Prima del recente incremento di pubblicazione di RCTs sugli oppioidi nel trattamento del dolore cronico, la letteratura che era stata usata per fornire supporto al trattamento era costituita da ricerche e casi non controllati che davano generalmente risultati positivi. Le più frequenti conclusioni di questi studi sostenevano che i pazienti con dolore cronico raggiungevano una soddisfacente analgesia con una dose stabile di oppioidi, con un rischio minimo di sviluppare dipendenza. La durata del trattamento raggiungeva i 6 anni. In molti casi la dose usata era media (sino a 195 mg di morfina o farmaci equianalgesici al giorno).Uno studio prospettico osservazionale recente (uno studio in aperto che seguiva un precedente trial controllato) condotto sino a tre anni ha evidenziato una sostanziale efficacia analgesica con un modesto aumento scalare della dose in una minoranza di pazienti (39/174) che hanno scelto di continuare la terapia con oppioidi. Se il trattamento con oppioidi possa migliorare la funzionalità o la qualità di vita del paziente è chiaramente una questione più complessa della sola riduzione del punteggio del dolore. Solo una piccola parte dei lavori precedenti ha focalizzato questo argomento. Quei pochi lavori che hanno valutato la funzionalità mediante l’autocompilazione di questionari da parte degli stessi pazienti, riportano per lo più un miglioramento. Diversi studi prospettici più recenti valutano anche la funzionalità e raggiungono i 48 mesi di durata. Questi studi riportano prevalentemente un miglioramento, sebbene la qualità degli stessi sia bassa. La maggior parte degli studi osservazionali utilizzati per supportare il trattamento con oppioidi nel dolore cronico, sono stati realizzati sui pazienti della propria attività professionale e come tali hanno una notevole tendenza a presentare dei bias. Il bias può rappresentare un notevole problema in questo tipo di studi perché gli autori sono dei forti sostenitori del trattamento e durante i loro studi praticano la terapia in maniera accurata e strutturata che però non è riproducibile nell’indaffarato setting della medicina non specialistica. Allo stesso tempo l’attenzione e la premura verso questi pazienti può essere loro di così tanto aiuto nella loro condizione di sofferenza, quanto nessun farmaco. Portenoy e Foley, autori di un vecchio e influente studio dicevano: “Si può riconoscere, perciò, che l’efficacia e il successo di questa terapia può essere dovuta tanto alla qualità della relazione medico-paziente, quanto alle caratteristiche del paziente, del farmaco e del suo dosaggio”. Sono necessari studi osservazionali su popolazione più ampi, accuratamente programmati, possibilmente con gruppi di controllo, per aiutarci a individuare la reale incidenza dei risultati favorevoli o sfavorevoli, svolti su un’ampia popolazione che può essere inclusa in RCTs e in studi caso-controllo, in situazioni più controllate rispetto agli studi epidemiologici.

Studi epidemiologici
Un gruppo danese di ricercatori ha recentemente pubblicato uno dei primi studi epidemiologici su un’ampia popolazione per valutare i risultati della terapia con oppioidi nel dolore cronico, comparata con un’analoga coorte di pazienti che non riceveva oppioidi. Un totale di 1906 pazienti erano inclusi in questo studio. La Danimarca è tra i paesi più liberi riguardo la prescrizione di oppioidi per il dolore cronico, ed ha il più alto tasso di prescrizione di oppioidi pro capite nel mondo, essendo molto utilizzati nel dolore cronico non oncologico. I risultati di questo studio sono allo stesso tempo sorprendenti e preoccupanti. I pazienti trattati con oppioidi riferivano una significativa maggior riduzione del dolore severo o molto severo a moderato, ma uno stato di salute, auto valutato, più scadente, ed una più bassa qualità di vita rispetto ai pazienti non trattati. C’era inoltre una significativa associazione tra uso degli oppioidi e bassi livelli di attività fisica e lavoro, insieme a un maggior di ricorso a cure mediche. Persino nei casi di controllo del dolore più severo molte di queste associazioni persistevano. Ovviamente gli studi epidemiologici possono evidenziare queste associazioni, ma non possono evidenziarne le cause. D’altronde questi studi suggeriscono che quando gli oppioidi sono ampiamente utilizzati per il dolore cronico, come avviene in Danimarca, un importante numero di pazienti non raggiunge i principali obiettivi del trattamento, come ridurre il dolore e migliorare la funzionalità e la qualità della vita.

 

Sommario e limiti delle evidenze
La domanda se gli oppioidi siano efficaci per il trattamento del dolore cronico non è semplice e presenta molteplici difficoltà nel fornire delle evidenze di base che supportino il trattamento. I trials randomizzati e controllati sono considerati la “best evidence”, eppure nel valutare l’efficacia e l’appropriatezza della terapia con oppioidi a lungo termine, essi giocano un ruolo limitato. A causa dell’impossibilità di condurre RCTs per periodi prolungati, questi studi possono solo valutare gli effetti a breve termine o nel periodo iniziale della terapia. I risultati misurati dai RCTs sono risultati che si prestano da sé stessi ad essere parametrati, come il dolore iniziale, i punteggi di sollievo dal dolore, i punteggi di alcune funzioni o quelli sulla qualità della vita. Spesso fattori che potrebbero confondere i risultati di trials che valutano l’efficacia, come la dipendenza, fanno parte dei criteri di esclusione, sebbene essi siano parte integrante dei trattamenti con oppioidi a lungo termine. Ci sono terribili difficoltà nel valutare il rischio di dipendenza poiché c’è scarso accordo su che cosa sia la dipendenza da oppioidi iatrogena, e l’incidenza è probabilmente così rara da poterla valutare solo in ampi studi di popolazione che non escludano i pazienti a rischio. Infine gli RCTs tendono ad essere utili solo per dimostrare l’efficacia in alcune condizioni dolorose, solo quando la durata dello studio è breve ( sino ad 8 mesi ) e solo per quanto riguarda la parametrazione degli studi. Più difficile è la domanda se l’efficacia analgesica è mantenuta in modo soddisfacente per lungo tempo e se il trattamento cronico raggiunge l’obiettivo complessivo di un efficace miglioramento della vita e in che modo: con la riduzione del dolore, o con il miglioramento della funzionalità, dello stato di salute, o della qualità di vita? Per le ragioni delineate sopra, gli RCTs hanno un ruolo limitato in queste valutazioni. Esistono degli studi osservazionali tipo “case-report” e “case-series” che, con l’eccezione di pochi recenti grandi trials multicentrici, forniscono evidenze secondo le quali nell’ambito di un trattamento strutturato, la terapia può essere efficace, ed i pazienti riportano un buon sollievo dal dolore e una buona funzionalità. Infatti la comunità medica era incoraggiata a perseguire nella terapia con oppioidi nel dolore cronico sulla base di vecchi reports favorevoli che avevano preceduto sia gli RCTs che i recenti ampi studi osservazionali ed epidemiologici. Ancora un recente ampio studio epidemiologico di comunità, su una popolazione in cui gli oppioidi erano largamente prescritti per il dolore cronico, suggerisce che in un’ampia proporzione di pazienti trattati, l’efficacia degli oppioidi non è mantenuta nel tempo e gli obiettivi del trattamento non sono raggiunti. Queste ed altre evidenze accumulate sulla perdita di efficacia analgesica nel tempo, la refrattarietà agli oppioidi in pazienti trattati con quest’ultimi, l’esaurimento dell’efficacia da sopravvenuta tolleranza con l’aumento del dosaggio, suggeriscono la necessità di provare a capire perché l’efficacia analgesica può non essere mantenuta, quale è il modo migliore per preservarla e quali esatte circostanze possono predire il successo del trattamento.

Basi teoriche dell’esaurimento dell’analgesia
Qualsiasi sia l’idea circa i sottostanti scopi del trattamento con gli oppioidi – ridurre il dolore, migliorare la funzionalità, migliorare la qualità della vita o rendere i pazienti soddisfatti del loro trattamento - la principale premessa del trattamento del dolore con gli oppioidi è che quest’ultimo sia ridotto. Come si può notare dalla rassegna dei trials e degli studi, la riduzione del dolore non è necessariamente accompagnata dal miglioramento della funzionalità così come il miglioramento dello stato di salute e la soddisfazione del paziente non è necessariamente accompagnata dal miglioramento del dolore. Si potrebbe dibattere che, finché il trattamento con oppioidi migliora la vita, come avviene per il trattamento della dipendenza da oppioidi stabilizzata – fatto, questo, ben documentato e basato su 30 anni di esperienza di mantenimento con oppioidi per il trattamento della dipendenza – il sollievo dal dolore di per sé non è importante. Tuttavia, finché la premessa principale del trattamento con oppioidi è che quest’ultimo risolva il dolore, è importante stabilire che l’efficacia analgesica sia mantenuta per tutto il tempo del trattamento. La tolleranza analgesica è risaputo essere responsabile della riduzione dell’efficacia analgesica, se non è corretta dall’aumento della dose. Sebbene l’aumento del dosaggio sia efficace nel breve periodo, alcune evidenze suggeriscono che nel trattamento a lungo termine l’efficacia analgesica non è sempre soddisfacente. Questo pone la domanda del perché l’efficacia analgesica ad un certo punto declini.

Tolleranza farmacologica
È stato da lungo tempo osservato che verso gli effetti “edonistici” (euforia) degli oppioidi si sviluppa una marcata tolleranza . Infatti la tolleranza e la necessità di incrementare la dose per raggiungere gli effetti desiderati (o l’intossicazione), sono le caratteristiche della dipendenza da oppioidi. La tolleranza verso gli effetti analgesici degli oppioidi è di gran lunga meno scontata, al punto che alcuni clinici mettono in dubbio la tolleranza farmacologica verso l’analgesia degli oppioidi. Ciò si fonda sul fatto che, dopo la titolazione iniziale, si può avere un’analgesia stabile senza bisogno di aumentare la dose. E’ pur vero, però che la necessità di aumentare il dosaggio in assenza di progressione della malattia è stata documentata, così come la necessità di dosi più alte di quelle abituali nei pazienti in trattamento cronico, quando insorge un dolore acuto. Studi su modelli animali con risposte riflesse al dolore (cioè senza l’influenza dei centri nervosi più alti) mostrano una marcata tolleranza analgesica, a supporto quindi di un meccanismo farmacologico per la tolleranza; anche studi su uomini mostrano lo stesso effetto; è risaputo poi che le modificazioni indotte dagli oppioidi, avvengono in diverse localizzazioni e a diversi livelli nel sistema nervoso, comprese le aree del dolore, e coinvolgono sia la componente farmacologica che la componente psicologica (associativa o appresa). E’ questa una controversia clinica che non è stata ancora risolta. I meccanismi cellulari e molecolari della tolleranza farmacologica (fisiologica) agli oppioidi non sono stati ancora chiariti, ma possono coinvolgere l’internalizzazione dei recettori, la desensibilizzazione o la down-regulation. Alcuni studi hanno tirato in ballo il N-metil-D-aspartato-recettore nella tolleranza agli oppioidi, ma non si può escludere il coinvolgimento di altri recettori e sistemi. Anche il meccanismo spinale della Dinorfina è stato coinvolto nella tolleranza analgesica agli oppioidi. Diversi peptidi endogeni antagonizzano gli effetti analgesici degli oppioidi e sono perciò definiti “peptidi antioppioidi”. Essi comprendono la vasopressina, l’ossitocina, la nocicettina e la colecistochinina.

Iperalgesia indotta dagli oppioidi
L’iperalgesia da astinenza – che compare durante la crisi di astinenza da oppioidi – è da tempo considerata come parte integrante della costellazione di sintomi che caratterizzano questa sindrome. Più recentemente, però, è stato rinnovato l’interesse nel fenomeno dell’iperalgesia indotta dagli oppioidi, come fenomeno che si presenta non solo durante la crisi di astinenza, ma anche durante il trattamento con oppioidi. Inizialmente notato nei pazienti tossicodipendenti in trattamento con metadone, è stato recentemente osservato come fenomeno dalle notevoli implicazioni cliniche durante il trattamento del dolore con oppioidi. Per esempio, pazienti trattati con oppioidi potenti o con alte dosi di oppioidi in infusione, mostrano una iperalgesia con una caratteristica sensibilità della cute (allodinia) che si risolve con la sospensione dell’infusione. Sembra poi che la ripetuta somministrazione di oppioidi determini non solo lo sviluppo di tolleranza ( cioè un processo di desensibilizzazione ) ma anche un processo di “pro-nocicezione” ( cioè un processo di sensibilizzazione ). Sebbene non è ancora chiarito dagli studi su animali e sugli uomini il relativo contributo di questi due meccanismi, il secondo può esacerbare e confondere la tolleranza farmacologica. Entrambe, sia la sensibilizzazione che la desensibilizzazione da terapia a lungo termine con oppioidi, possono contribuire alla apparente diminuzione di efficacia analgesica, indipendentemente dalla progressione del dolore. Sebbene l’iperalgesia sia un fenomeno misurabile con determinati tests sulla sensibilità, non è tuttavia facile distinguerla clinicamente dalla tolleranza farmacologica. Sicché una diminuzione dell’efficacia analgesica che potrebbe sembrare come l’insorgenza di un’apparente tolleranza agli oppioidi, potrebbe in realtà essere il risultato sia di una reale tolleranza sia di una abnorme sensibilizzazione agli oppioidi che di una reale progressione della malattia. E’ chiaro che sono necessari dei lavori per chiarire i meccanismi e le circostanze dell’iperalgesia da oppioidi, poiché quest’ultima rappresenta solo una parte dello spettro di neuro-adattamenti che insorgono durante il trattamento con gli oppioidi e che potrebbero interferire con la loro efficacia analgesica

Astinenza
La sindrome da astinenza è spiacevole e determina sia sintomi fisici che psichici che sono considerati dei potenti impulsi a comportamenti di ricerca degli oppioidi. “Dipendenza” è il termine usato per lo stato di uso abituale che porterà ad una sindrome da astinenza nel momento di sospensione del farmaco. La dipendenza fisica è la manifestazione degli adattamenti compensatori nelle regioni del cervello che controllano le funzioni somatiche: nel caso degli oppioidi una importante regione interessata è il nucleo noradrenergico nel locus coeruleus. I sintomi dell’astinenza da oppioidi comprendono quelli neurologici centrali e insonnia, irritabilità, agitazione psicomotoria, diarrea, rinorrea, pilo erezione, e sembrano il risultato (almeno in parte), di un up-regulation dell’Amp ciclico e dei meccanismi noradrenergici nel locus coeruleus e in altre regioni del cervello. L’iperalgesia è un’altra componente fisica della sindrome da astinenza, ma essa può non essere in relazione con i meccanismi noradrenergici. “La dipendenza psicologica” deve essere distinta dalla “dipendenza fisica”. La dipendenza psicologica si manifesta sia con una componente psicologia dell’astinenza la quale comprende sia effetti emozionali spiacevoli (anedonia e disforia), che effetti motivazionali (craving durante l’astinenza), essendo quest’ultimo mediato in parte dall’astinenza fisica. I sintomi che accompagnano la sindrome da astinenza e che spingono all’aumento della dose, possono essere facilmente interpretati come inadeguato effetto antalgico. Infatti è probabile che, come è riconosciuto che sintomi come la depressione, la disforia e l’iperalgesia possano peggiorare la sottostante sindrome dolorosa, così è possibile che questi sintomi abbiano pure effetto sui punteggi di misurazione del dolore. Questi effetti si potrebbero evidenziare soprattutto dopo un trattamento prolungato con oppioidi, quando, come è stato riconosciuto nei tossicodipendenti, l’effetto positivo di rinforzo dell’euforia ( e forse dell’analgesia ) diminuisce, allora inizia la ricerca spasmodica di oppioidi, sostenuta dal rinforzo negativo dei sintomi da astinenza.

Fattori psicologici
È importante pure ricordare il potente effetto del placebo durante il trattamento del dolore, che probabilmente diminuisce nel corso del tempo, particolarmente appena il dolore diventa difficile da trattare e sono necessarie dosi più alte a causa dello sviluppo di dipendenza e di tolleranza e i pazienti perdono la fiducia nella capacità del proprio trattamento di alleviare questi fenomeni e il loro dolore. Parte di questo effetto sarà da attribuire alla cosiddetta tolleranza “associativa” o “appresa”. Infatti in aggiunta alla tolleranza farmacologia ( non “associativa” o “fisiologica” ), c’è pure la tolleranza psicologica ( associativa o appresa ). Nel caso degli oppioidi, la tolleranza si sviluppa verso gli effetti analgesici ed edonistici del farmaco, così come verso gli effetti collaterali ed ogni componente della tolleranza è probabile insorga tramite distinti meccanismi in relazione al substrato anatomico o neuro anatomico dei differenti effetti. La tolleranza associativa ( che può svilupparsi verso tutti gli effetti centrali degli oppioidi, compresi l’euforia, la disforia, la sedazione, l’analgesia e la nausea ) coinvolge l’apprendimento e il suo sviluppo è legato a situazioni ambientali e a contestuali disposizioni d’animo. Così l’analgesia da oppioidi può cambiare in base a potenti spinte psicologiche, comportamenti appresi, circostanze e ambiente. Per esempio una depressione respiratoria pericolosa può insorgere in utilizzatori usuali di eroina se assumono un’equivalente dose di oppioidi per trattare un dolore acuto chirurgico, circostanze diverse producono un differente livello di tolleranza.

Conclusioni
I farmaci oppioidi comandano un sistema endogeno integrato che è vitale per le risposte dell’organismo nelle situazioni di stress e di dolore. Non è sorprendente, poi, che sia i farmaci oppioidi che gli oppioidi endogeni producano effetti complessi che sono intricati con le emozioni, gli affetti e le funzioni psicofisiche e spesso sono difficili da capire. Queste situazioni sono particolarmente ovvie durante il trattamento a lungo termini con oppioidi, quando i neuro adattamenti alterano la normale omeostasi. “L’esperimento” di queste due ultime decadi di estendere il trattamento con oppioidi ai pazienti con dolore cronico, ha suscitato molte domande non risolte sul “se” e “come” questo trattamento dovesse essere impostato. Ci sono molte questioni aperte come: è accettabile il rischio che si sviluppino comportamenti aberranti e distruttivi? Gli obiettivi del trattamento è probabile che siano raggiunti? E’ opportuno escludere alcuni pazienti dal trattamento cronico con oppioidi? Lo sviluppo di una refrattarietà analgesica è clinicamente importante? L’analgesia è mantenuta per tutto il tempo? Si può concludere con questa review che ci sono forti evidenze a supporto di una iniziale efficacia degli oppioidi nel trattamento cronico, ma molta meno chiarezza sul mantenimento dell’efficacia a lungo termine. E’ rimasto ancora molto da imparare circa i meccanismi del declino analgesico, su specifiche strategie di trattamento e sui farmaci che potrebbero preservare l’efficacia analgesica e circa il ruolo dei fattori psicosociali che influenzano la variabilità dell’efficacia analgesica.

Rilevanza per la Medicina Generale
Anche in Italia, negli ultimi tempi, l’utilizzo degli oppioidi per il trattamento del dolore cronico non oncologico, inizia, timidamente ad affermarsi. Soprattutto nelle patologie osteoarticolari degenerative, stante i pericolosi effetti collaterali dei FANS sull’apparato cardiovascolare, renale e gastroenterico, spesso su iniziativa dello specialista, vengono utilizzati gli oppioidi nei pazienti con dolore cronico e con disabilità severi. Questi pazienti devono essere ovviamente seguiti e monitorati, per gli eventuali effetti collaterali, anche dal medico di medicina generale. Gli effetti collaterali “classici” degli oppioidi, che insorgono contestualmente all’inizio del trattamento, quali la stipsi, il vomito, la sedazione, ecc, sono ben conosciuti dal medico di famiglia e, se pure a volte con difficoltà, sono in genere gestibili. Diversamente, le problematiche legate all’utilizzo cronico degli oppioidi sono scarsamente conosciute e difficilmente riconoscibili dal medico non esperto nell’utilizzo degli oppioidi.

Commento del revisore
Questa review analizza in modo approfondito i temi legati all’utilizzo cronico degli oppioidi come l’efficacia a lungo termine, la tolleranza, la dipendenza, l’iperalgesia. Gli Autori passano in rassegna gran parte degli studi disponibili sull’argomento: trial randomizzati, studi osservazionali ed epidemiologici. Purtroppo il complesso degli studi attuali non sono in grado di chiarire in modo definitivo i problemi legati all’utilizzo degli oppioidi al lungo termine.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 04-set-09
Articolo originariamente inserito il: 20-set-08
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