Area Dolore – Cure Palliative [Numero 31 - Articolo 3. Novembre 2008] Il ruolo crescente della Medicina Nucleare nelle strategie terapeutiche | ![]() |
Nellintroduzione, lAutore mette in evidenza il rinnovato interesse per una metodica alternativa alla radioterapia convenzionale, che consente di colpire in maniera diretta le cellule neoplastiche concentrando leffetto radiante sul tessuto da distruggere, con minimo danno tissutale nelle aree adiacenti. Trascurato per un certo periodo, questo approccio non solo è oggi tornato in auge, ma negli ultimi anni sono state messe a punto tecniche innovative, e la Società Europea di Medicina Nucleare (EANM) ha pubblicato delle linee guida per la pianificazione e la conduzione della maggior parte di questi trattamenti. La terapia con radionuclidi ha unefficacia ben documentata ed è impiegata in Europa in maniera crescente, anche come trattamento di prima linea: le sue prospettive dimpiego sono eccellenti ed è destinata, a giudizio dellAutore, a rivoluzionare lapproccio terapeutico ad alcune malattie comuni. Principi generali e considerazioni
Diverse variabili influiscono sulluptake dei radio-farmaci nel tessuto malato, tra le quali le la pressione interstiziale e la perfusione sanguigna. La radiazione cumulativa assorbita in prossimità del tessuto sottoposto a trattamento è funzione sia della quantità di radio-farmaco assorbito a livello cellulare sia della successiva ritenzione in quel determinato sito. Lemivita fisica non deve essere eccessivamente breve, pena uninsufficiente irradiazione del tessuto patologico, né eccessivamente lunga, onde evitare di esporre per un tempo eccessivo il tessuto sano. Nessun radio-farmaco è selettivo in maniera assoluta, e pertanto è indispensabile effettuare valutazioni di radio-tossicità . I radionuclidi possono essere classificati in cinque gruppi in base al range della radiazione principale emessa: alfa, beta con range medio inferiore a 200 micron, beta con range medio superiore a 200 micron, beta con un range medio superiore a 1 millimetro e radionuclidi che decadono per meccanismi chiamati cattura elettronica e/o conversione interna. La dimensione della massa tumorale, la potenziale disomogeneità delluptake di radio-farmaci, la disponibilità e i costi sono tutti fattori che influiscono sulla scelta di un radionuclide. Terapia radio-metabolica della tiroide
Lo Iodio-131 è lapplicazione più conosciuta e diffusa per condizioni sia benigne sia maligne, e il Royal College of Physicians ha recentemente aggiornato le linee-guida per il trattamento dellipertiroidismo, raccomandando il radioiodio come trattamento di scelta in pazienti con malattia di Plummer, a condizione che non vi siano segni di malignità. Nella malattia di Graves è attualmente preferito allapproccio chirurgico, e letà non costituisce un limite al trattamento, poiché le dosi somministrate sono piuttosto basse e ritenute sicure. In caso di gozzo con sintomi da ingombro è una valida alternativa alla chirurgia, da preferire nei soggetti più anziani e in caso di recidiva post-chirurgica. Per oltre 50 anni, il radioiodio è stato impiegato anche nelle neoplasie maligne tiroidee, e la sua utilità è oggi confermata nel carcinoma ben differenziato dove consente di evidenziare metastasi non individuabili con altre metodiche, di rimuovere in via preventiva residui tiroidei dopo tiroidectomia sub-totale e di trattare con successo recidive locali, metastasi linfonodali o a distanza, quando il carico tumorale è basso.
Il Fosforo-32 è stato, settantanni fa, il primo isotopo impiegato nella terapia della leucemia. Oggi conserva unindicazione nello specifico sottogruppo dei pazienti anziani con policitemia vera e trombocitemia essenziale, che possono essere trattati con ottima tollerabilità per via orale o endovenosa in regime ambulatoriale, grazie al fatto che il radionucliode emette esclusivamente radiazioni beta e di basso range. Leffetto sulle linee cellulari proliferanti è soppressivo più che eradicante. Nei soggetti giovani e in età media non è un trattamento di prima linea, perché aumenta il rischio leucemico a distanza di anni.
Palliazione di malattia ossea metastatica
Il dolore associato alle metastasi ossee è un problema clinico che concorre allo stato di malattia, riducendo la qualità della vita e comportando depressione, ansia e timore di perdita dellindipendenza. La sintomatologia è aggravata da deficit neurologici, fratture patologiche, immobilità e complicanze da ipercalcemia. Per il controllo dei sintomi, oltre alla radioterapia a fascio esterno e allanalgesia, può essere incluso nel piano di terapia limpiego di bifosfonati radioattivi osteotropici. Vi sono attualmente di dati convincenti a sostegno dellefficacia e di un buon rapporto costo-efficacia di questi preparati ai fini palliativi. Praticamente qualsiasi tumore può metastatizzare nellosso, con una sintomatologia significativa in oltre il 50% delle neoplasie più comuni. Le proprietà osteotrope dello Stronzio (Sr) furono per la prima volta descritte da Stöltzner nel 1874, e lisotopo Sr-89, descritto nel 1937, fu per la prima volta impiegato ai fini clinici già nel 1941, ma solo negli anni Ottanta il suo potenziale terapeutico fu compreso appieno. Lo Sr-89 beta-emittente, il P-32, il Samario-153-etilendiamintetrametilen-fosfato e il Renio-186-idrossietilidene sono ammessi per limpiego clinico in numerose sistemi sanitari. LAutore afferma che oggigiorno è opportuno che gli specialisti in medicina nucleare vengano coinvolti nelle cure a lungo termine dei pazienti e collaborino con i team specialistici multidisciplinari, e che ciò avvenga in maniera tempestiva, per ottimizzare i risultati. Nella Tabella 1 sono elencate le indicazioni alla terapia radio-farmacologica nei pazienti con metastasi ossee sintomatiche e nella Tabella 2 le controindicazioni.
Tabella 1 - Principali indicazioni alla terapia con radionuclidi in pazienti con metastasi ossee
(McEwan AJ, 1996)
- Malattia ossea metastatica
- Scintigrafia ossea positiva, indipendentemente dai dati radiografici
- Dolore osseo
- Dolore osseo ricorrente in sede di pregressa irradiazione esterna
- Dolore in più di una sede che richiede analgesia
- Dolore osseo che richiede radioterapia nelle sede maggiormente dolente
- Radioterapia su una singola sede con anomalie multiple alla scintigrafia in assenza di dolore al di fuori del campo di irradiazione
ossee (McEwan AJ, 1996)
- Conta piastrinica < 100,000 (controindicazione relativa)
- Conta piastrinica < 60,000 (controindicazione assoluta)
- Conta leucocitaria < 2.5 x 106/L
- Rapido abbassamento dei valori dellemocromo
- Segni di coagulopatia intravasale disseminata
- Imminente compressione midollare (trattare i sintomi acuti e riconsiderare)
- Previsione di sopravvivenza < 2 mesi
- Precedente chemioterapia mielosoppressiva
- Estesa metastatizzazione ai tessuti molli
A fronte di una crescente incidenza, legata alle migliori cure dei pazienti con cirrosi epatica e epatite cronica C, il carcinoma epatocellulare ha una prognosi estremamente “cattiva”. Trattamenti con intenti di radicalità (trapianto di fegato, resezione chirurgica, alcolizzazione, ablazione mediante radiofrequenze) possono essere effettuati in meno del 25% dei pazienti. I trattamenti chemioterapici sistemici hanno una bassa percentuale di risposte senza alcun aumento della sopravvivenza. La terapia radiante esterna è poco utile per lelevato rischio di epatotossicità. Restano pertanto da prendere in considerazione principalmente due modalità di trattamento: la chemioembolizzazione arteriosa (che determina ischemia tumorale) e la terapia radiometabolica per via arteriosa. La ricca vascolarizzazione del carcinoma epatocellulare deriva principalmente dallarteria epatica, mentre il fegato non tumorale è irrorato principalmente dalla vena porta, e per questa ragione liniezione intrarteriosa di un agente radioattivo che viene trattenuto nei micro-vasi allinterno del tumore permette di ottenere una concentrazione del radio-farmaco notevolmente maggiore nel tessuto tumorale rispetto al tessuto epatico non tumorale. Vengono impiegati il lipiodol-I-131 beta-emittente, il lipiodol- Re-138 e microsfere marcate con Ittrio-90. Per il lipiodol-I-131 sono stati riportati tassi medi di risposta parziale (in termini di riduzione della massa tumorale o dei marker tumorali superiore al 50%) intorno al 40% e fino al 71% in taluni studi. Il lipiodol-I-131 si è dimostrato efficace nel trattamento del carcinoma epatocellulare con trombosi portale e come trattamento adiuvante in pazienti trattati chirurgicamente, nei quali riduce il rischio di recidive. Questo trattamento, che ha unefficacia almeno pari a quella della chemioembolizzazione, con una tollerabilità nettamente superiore, necessita della collaborazione fra medico nucleare e radiologo che interviene sotto controllo fluoroscopio.
Una revisione degli studi sugli effetti terapeutici del trattamento intra-articolare in caso di sinovite, non mostra vantaggi terapeutici di rilievo se i radionuclidi sono impiegati da soli, ma la loro combinazione con corticoseteroidi a lunga durata dazione ha un effetto sinergico, con benefici in 60-80% dei pazienti affetti unampia gamma di artropatie dolorose refrattarie ad altre terapie (per esempio artrite reumatoide, spondiloartropatie quali artrite psoriasica, versamenti sinoviali persistenti, altre patologie articolari come la malattia di Lyme e di Behçet). I beta-emittenti Ittrio-90-citrato/silicato (per il ginocchio), Renio-186-solfuro (anca, spalla, gomito, polso, caviglia, articolazioni sottotalari) e Erbio-169-citrato (articolazioni metacarpo-falangee, metatarso-falangee, interfalangee) sono tutti approvati per fini terapeutici in Europa. Sarebbe auspicabile una collaborazione fra reumatologi, ortopedici e medici nucleari per vagliare attentamente il bilancio rischi-benefici di questo approccio, che nelle affezioni non neoplastiche è comunque riservato ai pazienti per i quali tutti gli altri rimedi abbiano fallito. Il meccanismo dazione di questi radionuclidi risiede probabilmente nella necrosi per coagulazione delle cellule sinoviali superficiali prodotta dalle radiazioni beta e nel loro conseguente sfaldamento. Questo trattamento è controindicato nei pazienti con sintomi riconducibili esclusivamente a danno cartilagineo e con rottura della cisti di Baker. Il trattamento può essere ripetuto dopo sei mesi. La risposta terapeutica solitamente si osserva non prima di 14 giorni dal trattamento e talvolta può avere fino ad un mese di latenza.
Questo radiocomposto è stato impiegato fin dal 1981 a scopi diagnostici e terapeutici per i tumori di derivazione neuroectodermica, che lo incorporano selettivamente. Lelevata specificità e sensibilità della scintigrafia con MIBG nel feocromocitoma e nel neuroblastoma ha condotto al suo impiego terapeutico in queste condizioni. Oltre il 95% dei feocromocitomi sono in grado di concentrare la MIBG, e questa terapia si è dimostrata efficace nel ridurre la funzionalità tumorale, alleviare la sintomatologia e arrestare la crescita del tumore e indurne anche la regressione. Similmente, la I-31- MIBG ha una valenza documentata nei neuroblastomi e paragangliomi in stadio III e IV, dove rappresenta probabilmente il miglior trattamento palliativo, ma gli studi dimostrano lopportunità di introdurla nei protocolli terapeutici pure più precocemente e in condizioni più favorevoli, anche come alternativa alla chemioterapia neoadiuvante. Nel tumore carcinoide e nel carcinoma midollare della tiroide la sensibilità è lievemente minore e le percentuali di successo terapeutico sono inferiori.
La RIT costituisce unincoraggiante opzione terapeutica per il trattamento del LNH a cellule B: a differenza della chemioterapia sistemica, la radioterapia selettiva mirata a ligandi si fonda sulla sovraespressione di antigeni o sulla presenza di molecole-bersaglio espresse esclusivamente dalle cellule tumorali. Con la registrazione di due immunoconiugati radiomarcati, lIttrio-90-ibritumomab-tiuxetano e lo Iodio-131-tositumomab, la RIT emerge come una strategia terapeutica sicura ed efficace, un approccio innovativo che combina i radioisotopi con anticorpi monoclonali diretti contro antigeni tumore-specifici, al fine di colpire in maniera mirata siti tumorali disseminati, con minima tossicità per i tessuti sani. Il LNH è infatti dotato di intrinseca radiosensibilità, e la radiolisi si ottiene sia nelle cellule tumorali direttamente bersagliate dagli anticorpi radioconiugati sia in quelle contigue meno accessibili allanticorpo monoclonale, grazie allinnesco di un effetto “fuoco incrociato”. La maggior parte dei linfomi a cellule B esprimono lantigene CD20, che non è presente sulle cellule staminali e la cui espressione non varia in funzione dello stadio del ciclo cellulare e che inoltre non viene internalizzato né si distacca dalla parete cellulare in risposta al legame anticorpale. La combinazione Ittrio-90-ibritumomab-tiuxetano consiste di un anticorpo monoclonale murino anti-CD20 collegato allIttrio mediante il tiuxetano. Il suo effetto tossico principale è una mielosoppressione reversibile. Nel paziente trattato, lo sviluppo di reazioni da anticorpi umani anti-murini potrebbe precludere un secondo trattamento in caso di recidiva di malattia, ma questa evenienza si è dimostrata incidere in misura inferiore all1%. Essendo il raggio dazione delle beta-particelle molto breve, il rischio di irradiazione di persone estranee è trascurabile, e pertanto la terapia può essere effettuata ambulatorialmente, con uninfusione preliminare di rituximab ed una seconda a distanza di una settimana seguita quattro ore dopo da una singola iniezione di Ittrio-90. Le dosi di radiazioni assorbite dai tessuti non tumorali e dal midollo osseo sono ben al di sotto delle soglie di accettabilità, e questo approccio permette di colpire sedi tumorali multiple simultaneamente senza necessità di localizzarle singolarmente. Gli incoraggianti risultati ottenuti nel trattamento di seconda linea dei LNH in termini di durata della sopravvivenza globale, di numero di recidive e di allungamento dei tempi di remissione indice i ricercatori a considerare la possibilità di impiegarli come trattamenti di prima linea.
I peptidi sono importanti regolatori di diversi processi biologici. Neuropeptidi radioattivi quali gli analoghi della somatostatina sono ampiamente utilizzati nel trattamento sintomatico di tumori maligni ormono-secernenti neuronedocrini e delle loro metastasi. Essi agiscono mediante recettori accoppiati alle proteine G ad elevata affinità. La base della radioterapia con radiopeptidi mirati ai recettori della somatostatina è la sovraespressione di alcuni sottotipi di questi recettori sui tumori neuroendocrini e anche su alcuni tumori non neuroendocrini. Considerato che i tumori neuronedocrini spesso mettono in pericolo il paziente più per leccessiva secrezione ormonale che per la loro invasività, inibendo la secrezione ormonale questi radiopeptidi sono in grado di migliorare la qualità della vita dei pazienti anche se hanno scarso effetto sulle dimensioni del tumore o la sua crescita. Molti tumori gastro-entero-pancreatici, fra cui insulinomi, gastrinomi, vipomi, glucagonomi, somatostinomi e anche tumori pancreatici non funzionanti possono essere trattati con queste metodiche. In ambito diagnostico, lIndio-111-octreotide (analogo della somatostatina) è il gold standard impiegato di routine per la scintigrafia per rilevare i recettori della somatostatina nella stadiazione e nel follow-up dei tumori neuroendocrini. In terapia viene invece più comunemente impiegato il beta-emittente Ittrio-90 e, più recentemente il Lutezio-177, che consente di formare un radiocomposto con affinità sette volte maggiore per i recettori della somatostatina di tipo 2 e che può essere usato per fini diagnostici e terapeutici concomitanti. La tossicità renale è il maggiore fattore limitante il dosaggio, e sono in corso studi per determinare le dosi massime somministrabili e gli intervalli fra trattamenti ripetuti. Linfusione di aminoacidi cationici riduce il rischio di assorbimento dei peptidi da parte delle cellule dei tubuli renali. Sono in via di sviluppo numerosi nuovi radiopeptidi: modifiche strutturali potranno consentire lo sviluppo di radiopeptidi con minor uptake renale, e radiopeptidi basati sulla somatostatina dotati di un profilo recettoriale più appropriato consentiranno di bersagliare una più ampia gamma di tumori.
La medicina nucleare, conclude lAutore della review, è una specialità in costante espansione, non solo nellambito diagnostico, ma anche in quello terapeutico. Il suo obbiettivo è quello di irradiare i tessuti patologici in maniera massimale con minimo interessamento dei tessuti normali, concentrando la sua azione sulla specifica lesione e alle esigenze del singolo paziente. Grazie ai buoni risultai ottenuti ed anche alla progressiva riduzione dei costi, è destinata a divenire sempre più frequentemente parte integrante di un approccio terapeutico multidisciplinare.
Rilevanza per la Medicina Generale e commento del revisore
Questa review sullo stato dellarte della medicina nucleare in ambito terapeutico può costituire un aggiornamento utile e facilmente fruibile per il medico di famiglia che voglia tenersi al corrente su approcci terapeutici innovativi e di crescente diffusione. E interessante rilevare come questa carrellata sui principi generali della radiofarmacologia e i suoi principali impieghi ai fini terapeutici dimostri come spesso un approccio con intenti puramente palliativi per pochi costituisca la base “storica” e la condizione preliminare allo sviluppo di nuove possibilità di cura per molti.