08
GEN
2013
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 33 - Articolo 3. Gennaio 2009] La gestione del dolore cronico


Titolo originale: Management of Chronic Pain
Autori: Henry McQuay, Dawn Stacey, Gillian Hawker, Geoff Dervin, Ivan Tomek, Nan Cochran, Peter Tugwell, Annette M O'Connor
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Making a difference. BMJ 2008;336:954-955
Recensione a cura di: Pio Pavone
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Aiuto e speranza in fondo alla lista
Il dolore cronico è comune, ma non è una cosa “attraente”, afferma l’autore del primo articolo. Persone che senza colpa hanno visto andare a pezzi la propria vita meritano il nostro aiuto. L’indagine sul Dolore in Europa ha riscontrato che il 19% dei quasi 50.000 individui intervistati per telefono avevano dolore cronico, definito come un dolore di gravità almeno moderata presente quasi ogni giorno per almeno sei mesi. Uno degli intervistati aveva avuto dolore per oltre venti anni, e la maggior parte avevano avuto un dolore di durata superiore a cinque anni. Le cause principali sono la lombalgia e l’artrosi, e l’incidenza del dolore cronico cresce con l’età. E le nostre popolazioni stanno invecchiando. Negli Stati Uniti, il numero di persone in età pari o superiore a 65 anni si sarà pressoché raddoppiato nel 2025, dai 37 milioni nel 2006 a 63 milioni, e nell’anno 2020 un terzo di milione di americani avranno più di cent’anni. Il dolore cronico ha un impatto rilevante sulla qualità della vita. Uno studio olandese ha analizzato ampi set di dati sotto l’aspetto dei fattori di qualità di vita in relazione a diversi problemi clinici. Le patologie muscolo-scheletriche (comprese artrosi e lombalgia) avevano l’effetto più grave sulla qualità di vita. Questo impatto del dolore quotidiano sulla qualità di vita è un aspetto che non è ancora tenuto nella dovuta considerazione da chi organizza i servizi sanitari e alloca le risorse. La maggior parte dei dolori nocicettivi può essere trattato con analgesici convenzionali, dal paracetamolo alla morfina, impiegando l’analgesico più potente per il dolore più grave. Molti dolori hanno un andamento fluttuante, e una prescrizione flessibile richiede tempo per essere spiegata. I dolori problematici sono quelli che diventano intensi a seguito del movimento e sono invece lievi a riposo, lasciando il paziente eccessivamente sedato con analgesici quando non si muove. Gli effetti collaterali della terapia comprendono stordimento e stipsi che costituiscono un problema importante per i pazienti anziani. I dolori che mettono a più dura prova sono probabilmente quelli derivanti da danno a carico del tessuto nervoso, i dolori neuropatici. Lesioni di nervi periferici causate da interventi chirurgici, traumi, lombalgia e la classica nevralgia post-erpetica, la neuropatia diabetica dolorosa e la nevralgia del trigemino spesso rispondono male ai comuni analgesici e rendono necessari trattamenti con classi di farmaci non convenzionali, gli antidepressivi e gli antiepilettici. La titolazione di questi farmaci per massimizzare il sollievo dal dolore e minimizzare gli effetti collaterali è una questione intricata, ma necessaria. La maggior parte dei dolori cronici sono trattati farmacologicamente in medicina primaria. I dolori refrattari -cioè quelli che resistono al controllo con farmaci a livelli accettabili di effetti collaterali- possono rendere necessari altri provvedimenti terapeutici fino ad un programma di gestione multidisciplinare. Le competenze complesse necessarie includono assistenza infermieristica, psicologia, esperienza con i farmaci e opportunità di vie di somministrazione diverse da quella orale, fisioterapia. L’imperativo di garantire questo insieme di competenze è sia di natura umanitaria sia di natura economica. Pazienti con dolore cronico mal controllato saranno pazienti che rimbalzano intorno ai servizi sanitari, diventando sempre più esasperati e consumando ragguardevoli risorse economiche. Il dolore ben trattato contiene questo eccessivo uso di risorse, risparmiando cifre stimate nell’ordine di 1.500 £ (pari a 1900 € o 3000 $) per paziente all’anno. Messo a confronto con la base dell’elevato onere finanziario per il dolore cronico, i costi per questo insieme di competenze è marginale. Una stima dell’onere finanziario delle malattie muscolo-scheletriche negli Stati uniti è nell’ordine dei 50 miliardi di dollari, e i costi economici stimati della lombalgia in Gran Bretagna ammontano a 11 miliardi di sterline. Secondo un eccellente database canadese, i pazienti con dolore cronico hanno sicuramente più che raddoppiato i costi per il sistema sanitario se confrontati con controlli appaiati senza dolore (4.200 dollari canadesi, pari a 2600 € rispetto a 1800 dollari canadesi l’anno). Vi sono anche implicazioni economiche per i singoli pazienti con dolore, basti pensare alle riduzioni di entrate nel nucleo familiare. Nessun singolo provvedimento potrà migliorare questa situazione. E’ necessaria più ricerca di base e di migliore qualità, se si considera che i prodotti più tangibili della ricerca derivano con più probabilità dalle industrie farmaceutiche maggiori, e che negli ultimi 30 anni è stato immesso in commercio un numero penosamente esiguo di nuovi analgesici. La ricerca e la pratica clinica hanno ora maggiori probabilità di fare la differenza, aiutando a dare significato alle prove di efficacia esistenti e renderle intelligibili e fruibili. La base delle evidenze sul dolore ci mette in grado di valutare l’efficacia relativa dei trattamenti, per esempio nel dolore nocicettivo in quello neuropatico e nell’emicrania. Queste prove non dettano legge su quale analgesico usare nel singolo paziente ma ci consentono di fare scelte terapeutiche sulla base dell’efficacia, del potenziale rischio e dei costi. E poi c’è l’erogazione dell’assistenza. Le malattie croniche hanno bassa priorità nelle graduatorie politiche, e si tende a dimenticare il dolore cronico. L’onere per chi ne soffre, i familiari e la comunità è rilevante e merita una considerazione maggiore. Il fatto che il dolore cronico ponga le persone in fondo alla lista è esattamente la ragione per cui dovremmo reclamare per loro conto una suddivisione più equa della torta delle risorse sanitarie.
Migliorare le scelte condivise nell’osteoartrosi
I trattamenti comuni per l’osteoartrosi comprendono la fisioterapia, l’esercizio muscolare, la terapia farmacologica e la chirurgia sostitutiva articolare. Quando vengono proposti approcci terapeutici che implicano un potenziale danno per il paziente (come per esempio i FANS, gli oppiacei o gli interventi chirurgici), devono essere tenute in considerazione le convinzioni dei pazienti rispetto ai potenziali rischi e benefici. Tuttavia, i clinici trovano difficile giudicare l’opinione dei pazienti, che d’altra parte è spesso basata su aspettative poco realistiche. Pertanto sono importanti gli strumenti che possono migliorare i processi decisionali condivisi. Operare scelte condivise è un processo attraverso il quale il paziente e il medico giungono insieme ad una decisione informata sul piano di cure sulla base dei bisogni clinici del paziente, delle sue priorità e delle sue convinzioni. La competenza del clinico consiste nel fare diagnosi e individuare le opzioni di terapia secondo le priorità cliniche; il ruolo del paziente è quello di individuare e comunicare le proprie convinzioni informate e le priorità personali delineate dal suo contesto sociale. I supporti decisionali par i pazienti sono strumenti che preparano i pazienti alla consultazione illustrando le opportunità terapeutiche, quantificando rischi e benefici, aiutando i pazienti a far chiarezza sui propri valori e fornendo una guida strutturata alle scelte e alla comunicazione. Una analisi di dieci revisioni sistematiche di supporti decisionali per pazienti riscontrava che questi miglioravano la partecipazione dei pazienti, accrescevano le loro conoscenze della opportunità terapeutiche, riallineavano le loro aspettative e miglioravano il grado di concordanza fra le loro convinzioni e le successive decisioni terapeutiche. I supporti riducevano inoltre l’eccessivo ricorso alla chirurgia d’elezione (per esempio, per ernia discale) senza comportare apparenti svantaggi sugli outcome di salute. Un altro studio dimostrava che i supporti decisionali erano in grado di ridurre le diseguaglianze fra gruppi etnici. L’inventario Cochrane dei supporti decisionali per i pazienti (http://www.ohri.ca/decisionaid/) utilizza standard internazionali per valutarne la qualità. Sono disponibili supporti decisionali per la terapia dell’osteoartrosi sia online, sia in forma di brochure e su DVD. Nel 2006, i supporti decisionali registravano più di otto milioni di accessi, prevalentemente via internet. Idealmente, questi strumenti dovrebbero essere collegati a processi di cura clinici, ma i medici segnalano diversi ostacoli alla loro implementazione: contenuti inadeguati per i propri pazienti, la propria tendenza a dimenticare di proporli ai pazienti, tempo insufficiente, contenuti troppo complessi o troppo semplici e costi. E’ più probabile che i supporti decisionali per i pazienti vengano impiegati dai medici se hanno degli effetti positivi sugli outcome dei pazienti e sull’interazione clinica. Un gruppo di chirurgi ortopedici davano un punteggio da buono a eccellente ai contenuti dei supporti decisionali per il trattamento dell’osteoartrosi ed erano motivati ad impiegarli per migliorare la comprensione da parte dei pazienti, ma esprimevano perplessità circa l’intralcio al flusso di lavoro clinico. I supporti decisionali per i paziento sono stati implementati con successo in ambulatori specialistici nel Regno Unito e in Canada e in ambulatori specialistici e di medicina primaria negli Stati Uniti. I pazienti con osteoartrosi, per esempio, utilizzano supporti decisionali insieme ad informazioni ponderate, evidence-based sulle opportunità terapeutiche e le probabilità di beneficio e danno di tali trattamenti. I supporti aiutano i pazienti a fare chiarezza sulle proprie convinzioni sui benefici e gli effetti avversi descrivendo ciò che accadrà loro con probabilità. I pazienti poi compilano un formulario decisionale personale che mette in evidenza le loro conoscenze, convinzioni, opzioni preferite e i loro “bisogni decisionali” irrisolti (per esempio incertezze sulle proprie preferenze, lacune nelle proprie conoscenze delle opportunità di cura, mancanza di chiarezza sulle proprie idee riguardo a benefici e danni e bisogni di sostegno). Queste informazioni vengono riassunte su un “rapporto preferenze del paziente” che viene inviato al medico per “chiudere il cerchio” sul processo di decisione col paziente. In Canada, prima di ricevere un supporto decisionale, i pazienti che sono in lista d’attesa per un consultazione chirurgica vengono sottoposti, ad uno screening di eleggibilità da parte di medici di medicina generale o fisioterapisti formati. Il rapporto di preferenza del paziente usato in Canada elenca le priorità cliniche determinate dal dolore e limitazione funzionale auto-valutati, le priorità chirurgiche valutate dal sanitario formato per lo screening, le preferenze del paziente e i suoi bisogni decisionali. Il rapporto è su supporto cartaceo, ma un Autore (NC) ha sviluppato un rapporto computerizzato analogo come parte della cartella clinica elettronica della Veterans Administration statunitense. L’impiego di un rapporto delle preferenze del paziente unitamente ai supporti decisionali può migliorare l’incontro clinico e far superare delle resistenze mediche all’utilizzo dei supporti. Per esempio, quando il paziente arriva dal chirurgo con il suo rapporto di preferenze, il medico può concentrare la propria attenzione sugli argomenti che preoccupano il paziente, quali i timori per effetti collaterali della pratica chirurgica. In questo modo, il tempo sarà impiegato in maniera più efficiente e le cure offerte saranno meglio incentrate sul paziente, di modo che diventa più probabile che entrambi siano soddisfatti delle scelte condivise. Outcome quali la riduzione del dolore e il miglioramento funzionale non possono essere i soli indicatore di qualità nell’ambito di trattamenti che prevedono dei compromessi fra potenziali benefici e danni. In tali decisioni terapeutiche, la qualità del processo decisionale dovrebbe essere definita dal grado di concordanza del trattamento prescelto con gli aspetti che maggiormente importano al paziente informato. I rapporti di preferenza del paziente documentano la qualità della decisione terapeutica in quanto indicatori del processo decisionale condiviso. Oltre a monitorare le complicazioni post-operatorie quali le infezioni o le trombosi venose, i team di miglioramento della qualità possono impiegare questi rapporti per monitorare la misura in cui si è addivenuto a decisioni di elevata qualità e sono stati soddisfatti i bisogni decisionali. I supporti decisionali per i pazienti preparano i pazienti a prendere decisioni condivise sulla terapia. I rapporti di preferenza del paziente che riassumono i bisogni clinici e decisionali del paziente migliorano la comunicazione. Con misure standardizzate e la documentazione delle decisioni, le organizzazioni sanitarie possono monitorare i percorsi di cura e introdurre nella loro valutazione la qualità delle decisioni come un ulteriore indicatore della qualità dei programmi. Rilevanza per la Medicina di famiglia e commento del revisore
La medicina generale si trova di fronte al problema della gestione del dolore cronico che cresce con l’età in una popolazione che sta invecchiando. La sofferenza dei pazienti con dolore cronico e gli alti costi economici vanno sottoposti all’attenzione dei medici di famiglia visto che la maggior parte dei dolori cronici sono sottoposti ai loro trattamenti farmacologici. Essi devono prendersene cura con scelte terapeutiche relativamente appropriate valutando i rischi potenziali ed i costi. Il risparmio stimato per i Servizi Sanitari per un paziente ben trattato è rilevante, senza voler considerare il miglioramento della sua qualità di vita. Nel secondo articolo si evidenzia come degli strumenti tipo i supporti decisionali per i pazienti, utilizzati da milioni di persone su Internet, possono migliorare l’assistenza nei pazienti artrosici aiutando ad operare scelte condivise. Il paziente e il medico giungono insieme ad una decisione informata sul piano di cure sulla base dei bisogni clinici dell’assistito, delle sue priorità e delle sue convinzioni, riallineando al tempo stesso anche delle eventuali aspettative poco realistiche del paziente. Si richiede una particolare attenzione affinché politiche sanitarie adeguate possano sostenere questi impegni ulteriori se valutate positivamente per migliorare l’assistenza.
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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 04-set-09
Articolo originariamente inserito il: 17-gen-09
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[Numero 32 - Articolo 1. Dicembre 2008] Il dolore cronico può modificare la struttura del cervello.

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