Area Dolore – Cure Palliative [Numero 37 - Articolo 2. Maggio 2009] Dolore nel paziente oncologico negli ultimi tre mesi di vita: prevalenza, difficoltà, trattamento. Risultati di un’indagine condotta in Italia | ![]() |
Il dolore nei pazienti oncologici resta un grave problema in ogni parte del mondo, anche se le linee guida pubblicate affermano che esso può essere alleviato nel 70-90% dei casi. Pur essendo un sintomo comune in tutti gli stadi della malattia, stabilirne prevalenza e distribuzione appare estremamente difficile, visto che tutti gli studi pubblicati mostrano risultati variabili. In effetti, questi studi presentano diversi bias, sia perché il dolore oncologico, essendo una sensazione soggettiva, può essere influenzato da fattori emozionali, sociali o spirituali, sia perché gli strumenti di valutazione del dolore non sono coerenti nei diversi studi, sia per la complessità nel selezionare campioni rappresentativi di pazienti con malattia avanzata o terminale. Questa indagine si è posta lobbiettivo di raccogliere informazioni su prevalenza, disagio correlato al dolore e trattamento di esso durante gli ultimi tre mesi di vita di un campione rappresentativo di pazienti oncologici in Italia attraverso interviste ai caregiver nel periodo che seguiva il decesso.
Pazienti e metodi
Dopo aver selezionato, in una prima tappa e in modo random, 30 dei 197 distretti sanitari esistenti in 4 aree geografiche, veniva identificato un campione di 2000 pazienti deceduti per cancro nel periodo da marzo 2002 a giugno 2003. Nel 92% dei casi veniva identificato il caregiver, definito come la persona più vicina al paziente negli ultimi mesi di vita, ottenendo unintervista con il 68% di essi, a 234 giorni in media dal decesso. Il protocollo veniva approvato dal Comitato Etico dellIstituto Nazionale Tumori di Genova, con notifica alla Commissione per la Protezione dei Dati come da Legge sulla Privacy. Le 1271 interviste, semistrutturate, condotte da personale addestrato, in genere a domicilio del caregiver, utilizzavano versioni adattate del questionario Views of Informal CarersEvaluation of Services a seconda del setting di cure dellultimo trimestre prima del decesso: abitazione, ospedale, hospice o casa di riposo. Le domande erano:
Si
Quanto ha sofferto a causa di esso?
- non ha sofferto
- un po
- molto
- moltissimo
E stato prescritto un trattamento specifico?
Si
- morfina
- fentanil
- metadoneSono stati prescritti altri farmaci?
Essi sono stati efficaci:
- completamente e per tutto il tempo
- completamente ma solo per parte del tempo
- parzialmente
- inefficac
Le domande miravano a stabilire la congruenza tra prevalenza di dolore e trattamento, in modo da impedire, in caso di trattamento analgesico, di classificare il paziente libero da dolore. Le informazioni raccolte dai caregiver venivano in seguito confrontate con i dati delle cartelle cliniche per i pazienti ricoverati per parte degli ultimi 3 mesi di vita o deceduti in ospedale e stimate mediante indice K. Assumendo come gold standard i referti ospedalieri, si poteva stimare lattendibilità delle informazioni raccolte dai caregiver.Le esperienze complessive del dolore in ognuno dei quattro setting di cure venivano raccolte separatamente, quindi definite in base a:
- prevalenza (proporzione di pazienti con dolore, e prevalenza di dolore intenso)
- trattamento ricevuto (nessuna analgesia o assenza di trattamento, analgesici di step I o non oppioidi, secondo la classificazione del WHO, e di step II o oppioidi per il dolore lieve-moderato, di step III o oppioidi per dolore moderato-severo, e proporzione di pazienti trattati con morfina, fentanil o metadone, unici oppioidi maggiori disponibili allepoca in Italia)
- tipo di analgesia ottenuta (assenza di analgesia, analgesia parziale, analgesia per una parte del tempo, analgesia completa e per tutto il tempo).
Giudizio sulla validità dellintervista
117 pazienti del campione avevano passato gli ultimi tre mesi di vita in ospedale e la prevalenza di dolore durante il ricovero non era annotata in cartella,. Lanalisi è stata quindi portata avanti esaminando solo il trattamento analgesico ricevuto, se esistente. Per 21 pazienti mancavano informazioni sul trattamento analgesico e pertanto il campione rappresentativo si riduceva a 96 pazienti. Laccordo tra quanto riferito dai caregiver e i referti medici risultava sostanziale per tutte le informazioni riguardanti le cure: la prevalenza dei diversi trattamenti (o del mancato trattamento) non variava sebbene la prevalenza di mancato trattamento riportato dai caregiver fosse lievemente più alta.
Il campione era costituito per circa due terzi da individui di circa 70 anni, di cui il 57% di sesso maschile e con prevalenza di tumori dellapparato gastroenterico, genito-urinario e respiratorio.. In un terzo di essi la diagnosi era stata posta circa 6 mesi prima del decesso. Il dolore nei 3 mesi precedenti il decesso veniva riferito nell82,3% dei casi e nel 61% era considerato molto penoso. Pazienti con tumori del SNC avevano la minor prevalenza ma la forma peggiore. La maggior prevalenza si riferiva a pazienti affetti da K prostatico, apparato genitale femminile, vescica e reni, stomaco ed esofago, linfoma e leucemia. Una piccola ma non trascurabile proporzione di pazienti non riceveva nessun tipo di trattamento analgesico e meno dei due terzi veniva trattato con oppioidi per dolore moderato-severo. Gli oppioidi più prescritti erano morfina e fentanil transdermico. Si notava una correlazione inversa tra età e prescrizione di oppioidi. La prevalenza di prescrizioni si verificava nei pazienti con tumori del pancreas e mieloma multiplo.Risultati ottenuti dal trattamento analgesico.
Dolore
|
Poco fastidioso (%) |
Molto fastidioso(%) | Totale pazienti con dolore |
Alleviato totalmente e per tutto il tempo | 36,7 | 28,0 | 20,2 |
Alleviato totalmente per parte del tempo | 35,2 | 27,4 | 30,9 |
Solo parzialmente alleviato | 26,3 | 44.0 | 39,9 |
Nessun sollievo | 1,9 | 0,4 | 9,0 |
Solo il 20,2% dei pazienti in terapia antalgica riferiva totale sollievo dal dolore per tutto il tempo. Il dato era ancora più basso nei pazienti col dolore peggiore (15%). Il dolore otteneva solo sollievo parziale o nessun sollievo nel 48,9% dei pazienti e nel 54,5% si trattava di dolore molto forte. In accordo con la letteratura esistente, i risultati di questa indagine mostrano che il dolore, nei pazienti oncologici terminali, è comune e preoccupante e, in circa i due terzi dei casi, molto forte. Gli oppioidi per dolore moderato-severo venivano prescritti nel 60% dei casi esaminati e non risulta sorprendente il giudizio di scarsa efficacia della terapia antalgica espresso dai caregiver di circa la metà dei pazienti. La validità di questi risultati deve tener conto di punti di forza e limiti del disegno dello studio. La forza consiste nella possibilità di ottenere un campione rappresentativo di pazienti oncologici terminali. I limiti sono inerenti alla maniera in cui viene stabilita lesperienza del paziente. Levidenza suggerisce che losservatore può riportare gli aspetti dellesperienza del paziente ma non la percezione soggettiva del dolore. Le informazioni fornite potrebbero risentire di fattori legati al ricordo del periodo di riferimento, anche se il giudizio sulla validità delle interviste, per un sottocampione di pazienti, coincideva in maniera sostanziale con le annotazioni cliniche. Lalta prevalenza di mancato trattamento riferita dai caregiver in lutto potrebbe essere un segno di amplificazione del fenomeno da parte di essi. In ogni indagine che segue un lutto recente, il caregiver valuta la qualità delle cure secondo i propri punti di vista. Concettualmente potrebbe essere difficile discriminare la soddisfazione per le cure ricevute e la soddisfazione della maniera in cui ci si prende cura della situazione, ma anche considerando che lo studio riguarda la riferita percezione del dolore dopo il decesso di una persona amata da parte del caregiver, i risultati supportano levidenza che il dolore, in pazienti oncologici terminali, rimane un problema da risolvere. Secondo quanto riferito dai caregiver la prevalenza del dolore diminuisce significativamente con laumentare delletà del paziente. Questo risultato è in linea con la letteratura scientifica, anche se non è mai stata identificata una base fisiologica per questa minor prevalenza, sebbene ci sia levidenza che, con stimoli dolorosi simili, i pazienti anziani riferiscono meno dolore dei giovani pazienti. Questo potrebbe essere spiegato da performance cognitive più basse, da difficoltà di comunicazione e/o depressione coesistente, dalla cultura o dalle numerose esperienze dellanziano, ma sono necessari ulteriori studi per chiarire la dinamica di questo fenomeno. Lanalisi della prevalenza del dolore mostra che esso è comune in tutte le tipologie neoplastiche con la sola eccezione del tumore del SNC. Un risultato inaspettato è lalta prevalenza in pazienti affetti da leucemia o linfoma, parzialmente in contrasto con altri studi. Secondo quanto riferito dai caregiver, il dolore oncologico rimane scarsamente trattato in Italia. Un numero non irrisorio di pazienti non riceve alcun trattamento, infatti solo il 60% viene trattato con uno dei tre maggiori oppioidi in commercio per dolore da moderato a severo. Morfina e fentanil transdermico risultano essere gli oppioidi più comunemente prescritti mentre il metadone viene scarsamente utilizzato, sebbene un numero crescente di studi suggeriscano che la sua efficacia e tollerabilità siano equivalenti, se non superiori, ad altri oppioidi maggiori. Non sorprende che in Italia non ci sia un adeguato controllo del dolore in circa la metà dei pazienti. In una indagine condotta in Inghilterra, che ha esaminato lultimo anno di vita di pazienti oncologici, il dolore risultava parzialmente o non controllato nel 47% dei pazienti trattati in medicina generale e nel 35% dei pazienti ospedalizzati. Negli Stati Uniti unampia indagine con campione randomizzato condotto in famiglie in lutto e focalizzata allultimo setting di cure, circa un quarto di tutti i pazienti con dolore risultava non adeguatamente trattato. Potrebbero esserci varie ipotesi sul motivo per cui il dolore oncologico viene così trascurato nonostante le innumerevoli raccomandazioni per la pratica clinica pubblicate. Certo è che loppiofobia è uno dei fattori chiave. Essa potrebbe influenzare negativamente sia le attitudini del paziente che dei familiari. Loppioide potrebbe essere prescritto in dosaggi e vie di somministrazione inadeguate o utilizzato on demand. I risultati di questa indagine suggeriscono inoltre che uno dei punti chiave dellinadeguato controllo del dolore potrebbe non essere soltanto la mancata prescrizione di oppioidi ma anche linadeguatezza dei dosaggi, la frequenza delle somministrazioni, la disponibilità di rescue dose e la scelta del farmaco da ritagliare in base alle necessità del singolo paziente. Il dolore in fase terminale, definito dolore totale, è correlato allo stato fisico, psicologico, sociale, spirituale del paziente, pertanto i farmaci, perfino gli oppioidi somministrati in maniera appropriata, potrebbero non essere abbastanza per il controllo della sofferenza. Nonostante lampliamento delle conoscenze e delle capacità riguardanti il trattamento del dolore, più dell80% dei pazienti oncologici terminali continua a soffrire. I risultati di questa indagine appaiono inequivocabili e comuni ad altri studi condotti in vari paesi del mondo. Sarebbe quindi auspicabile una focalizzazione maggiore sullidentificazione di interventi più efficaci.
Rilevanza per la Medicina di Famiglia
L’efficacia del trattamento del dolore da cancro rimane uno tra i più importanti e pressanti problemi medici mondiali: molti pazienti trascorrono le ultime settimane, gli ultimi mesi della loro vita in situazioni estremamente disagevoli di sofferenza e di invalidità. Il controllo efficace del dolore, in particolare in pazienti in fase terminale, è da tempo uno dei punti cardine del programma oncologico dellOMS, così come la prevenzione primaria, la diagnosi precoce e la terapia (WHO 1986). Anche se altre indagini sulla percezione del dolore, sia in pazienti ospedalizzati che assistiti a domicilio, mostrano dati che danno il dolore intenso in diminuzione in tutte le aree della degenza, chirurgica, medica e oncologica, il nostro Paese è storicamente in una posizione molto arretrata nelluso delle cure palliative rispetto a molti Paesi europei e il dolore di origine neoplastica continua a rappresentare un problema di enorme importanza sanitaria e sociale. Esso, infatti, è il sintomo più frequente, si può dire quasi costante, di ogni tipo di malattia neoplastica. Purtroppo, le strutture preposte alla didattica medica hanno, fino ad oggi, fatto assai poco per educare gli operatori sanitari alla buona conoscenza di questo problema, e il medico di base, che nella sua pratica quotidiana si trova di fronte il paziente con dolore, non riesce molte volte a dare risposte alla sua sofferenza e alle ansie dei familiari che, giustamente, non riescono a comprendere perché il loro caro continui a soffrire e come mai nel terzo millennio non esista una cura efficace. Il modo migliore per non essere investiti dalle continue richieste del paziente e dalle pressanti angosce dei suoi familiari, per conservare la loro stima e soprattutto avere la coscienza di aver fatto tutto quanto possibile, è di imparare a ad impostare una adeguata e corretta terapia, ma, prima di affrontare qualsiasi discorso terapeutico, è essenziale che il medico comprenda:
- che il dolore da cancro si può combatte efficacemente nella quasi totalità dei casi
- che la terapia del dolore da cancro, specie iniziale, è facile da gestire
- che la terapia per il dolore da cancro non sempre va prescritta o eseguita da super-specialisti in terapia antalgica
- che si può annullare agevolmente il dolore da cancro imparando ad usare appena 4 o 5 analgesici.
Commento del revisore
Come giustamente dicono gli autori di questo lavoro, il dolore in fase terminale, definito dolore totale, è correlato allo stato fisico, psicologico, sociale, spirituale del paziente. Essendo unesperienza soggettiva, non esiste un unico metodo oggettivo per misurarlo, ma lintensità di esso può essere descritta in modo corretto non solo dal paziente ma anche da chi vive al suo fianco e lo assiste giorno dopo giorno. La terapia con farmaci resta la modalità principale per il trattamento del dolore oncologico, ma i risultati di questa indagine suggeriscono che linadeguato controllo del dolore potrebbe non essere soltanto la mancata prescrizione di oppioidi ma anche linadeguatezza dei dosaggi, la frequenza delle somministrazioni, la scelta del farmaco non in base alle necessità del singolo paziente. Questa indagine è stata condotta in Italia, e i risultati indicano che nel nostro paese, solo nel 59,5% dei casi il dolore moderato-severo viene trattato con oppioidi e che solo nel 20,2% si ottiene unanalgesia completa e per tutto il tempo. Il sottotrattamento del dolore oncologico appare quindi inequivocabile e occorrono interventi più efficaci per la valutazione e la gestione di esso.