Area Dolore – Cure Palliative [Numero 45 - Articolo 2. Febbraio 2010] Gli effetti interpersonali della sofferenza nelle relazioni di cura per anziani | ![]() |
Gli Autori di questa ampia revisione sostengono che la sofferenza del malato cronico (intesa come la somma del disagio psichico, esistenziale e spirituale e della sintomatologia somatica) influenza in maniera diretta le esperienze emotive di coloro che se ne prendono cura in ambito familiare. Basandosi su dati della letteratura, ipotizzano che i caregiver vivano emozioni analoghe, complementari e/o difensive in risposta alla sofferenza del malato che assistono, per effetto di meccanismi quali lempatia cognitiva, il mimetismo e lapprendimento condizionato e che questo li esponga ad un rischio di morbilità psichica e fisica. Viene poi descritto come differenze di genere, di vicinanza dei rapporti, di efficacia delle cure e nei meccanismi individuali di aggiustamento emotivo modulino questo processo e quali interventi possano alleviare la sofferenza sia dei malati sia di chi se ne prende cura.
Che cosa è la sofferenza e come può essere misurata?
Delle molte grandi questioni inerenti alla sofferenza, questo articolo verte sui suoi aspetti interpersonali, ossia su come lesperienza della sofferenza di un individuo venga percepita da un osservatore e ne influenzi lo stato emotivo. Gli Autori si concentrano sulla definizione e la misurazione dellesperienza della sofferenza e della sua percezione, mettendo in risalto il parallelismo fra la sofferenza vissuta e quella percepita. Il concetto di sofferenza può includere il dolore somatico, ma non è limitato a questo: è lesperienza non solo del corpo bensì della persona nella sua interezza e complessità psicosociale. La sofferenza comprende molti vissuti: dolore, disagio multidimensionale, perdita di controllo, sconforto, incapacità di far fronte, ansia, depressione. Misurare la sofferenza è unoperazione che alcuni ricercatori reputano eccessivamente riduttiva perché la sua unicità soggettiva la rende intrinsecamente inaccessibile ad unindagine scientifica. Tuttavia ricercatori nellambito delle cure di fine-vita hanno tentato di sviluppare metodi per la valutazione delle differenti componenti della sofferenza, che vanno dallimpiego di domande semplici, dirette, quali: Lei sta soffrendo?, oppure di questionari incentrati sulla sintomatologia fisica e i comportamenti legati al dolore, o comprendenti anche domande sulla sfera psichica, spirituale e sociale. I ricercatori che si occupano del tema della sofferenza appaiono concordare su quattro punti:
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La sofferenza è un costrutto olistico multidimensionale
- La sofferenza comprende il disagio psichico, quali sentimenti di depressione, ansia, perdita del controllo, che rispecchiano la valutazione soggettiva della propria condizione di malattia
- I sintomi fisici, quali dolore, nausea, dispnea, sono caratteristiche chiave della sofferenza
- La sofferenza ha una dimensione esistenziale/spirituale che comprende la incertezza o perdita dellarmonia interiore, dello scopo della vita, della fede
Da queste considerazioni gli Autori traggono la raccomandazione di misurare la sofferenza attraverso domande semplici combinate con scale che colgano i tre aspetti psichico, somatico ed esistenziale/spirituale. In questo modo è possibile misurare sia lesperienza diretta della sofferenza sia la percezione della sofferenza da parte di unaltra persona. Gli Autori ritengono che è la percezione del dolore del malato da parte del caregiver a predire le reazioni emotive di questultimo. In effetti, se generalmente esperienza, espressione e percezione del dolore vanno di pari passo, è possibile che in alcuni casi il caregiver sovra- o sottostimi la sofferenza del paziente perché ritiene che questi inibisca o drammatizzi le espressioni di sofferenza. Un tale metodo di rilevamento multidimensionale della sofferenza differisce dalle scale correnti di valutazione della qualità di vita, che non tengono conto di una gamma di sintomi fisici o di aspetti esistenziali/spirituali, né taluni importanti aspetti psicologici della sofferenza. Poiché indagano su una gamma molto ampia di tematiche, solitamente i questionari sulla qualità di vita sono di limitata utilità per specifici interventi a favore di malati e caregiver.
Prove della correlazione fra sofferenza del malato e ed emozioni del caregiver
Poche indagini hanno finora studiato il tema dellinfluenza della sofferenza del malato (intesa nelle sue tre dimensioni) sulle emozioni del caregiver, mentre alcuni studi si sono concentrati sullassociazione fra singole componenti della sofferenza, ed in particolare del dolore fisico, e le emozioni del caregiver. Comprendere il ruolo delle singole componenti può contribuire ad una visione più organica dellimpatto della sofferenza umana sugli altri.
Gli effetti della sofferenza psichica
Diversi studi documentano una correlazione positiva fra disagio psichico dellassistito ed esperienze emotive del caregiver. Tuttavia, molti di tali studi non pongono laccento sullesperienza emotiva del caregiver, ma piuttosto sul rapporto fra caratteristiche della malattia e bisogno di assistenza e conseguenze per i caregiver, in termini di stress, morbilità psichiatrica e salute fisica. Una significativa co-varianza fra malessere del paziente e malessere del caregiver è stata descritta in diversi studi (intesi principalmente alla verifica del ruolo di variabili socio-demografiche), ma raramente nella letteratura revisionata ne vengono prese in esame le possibili cause. Il nesso fra la sofferenza del malato e quella del caregiver è stato rilevato non solo negli studi trasversali, ma si è anche visto variare nel tempo in alcuni studi longitudinali (in particolare, condotti su coniugi di pazienti con artrite reumatoide e con sclerosi multipla), e questo in maniera indipendente dai bisogni di assistenza o dallintensità delle cure fornite. Il fenomeno è ulteriormente confermato da indagini condotte su familiari di pazienti che vengono istituzionalizzati: il malessere dei caregiver non appare alleviato dalla diminuzione del loro impegno nellassistenza al malato, questo fa capire non sia determinato solo dal carico di lavoro fisico. La depressione del caregiver dopo il ricovero del familiare potrebbe correlarsi anche ad altri aspetti, quali difficoltà economiche, senso di perdita di controllo sulle cure e sentimenti di colpa. Tuttavia, anche in caso di ricovero, la sofferenza del malato non deve essere misconosciuta come causa determinante del malessere del familiare. Benché il lutto si associ generalmente ad un peggioramento dello stato depressivo e ad un calo ponderale nei caregiver anziani, in alcuni casi si osserva un miglioramento delle condizioni di salute dopo la morte del familiare assistito. In particolare, sembrerebbero colpiti meno dal lutto quei caregiver che avevano vissuto un disagio emotivo più forte fintanto che il loro assistito era in vita. Un rapido recupero dalla depressione è stato osservato in familiari di pazienti morti per malattia di Alzheimer. Verosimilmente, la cessazione della sofferenza del paziente è vissuta con sollievo.
Gli effetti della sofferenza fisica (dolore)
I pochi studi che hanno preso in esame gli effetti emotivi sui caregiver delle manifestazioni di dolore di pazienti anziani con malattie o invalidità croniche suggeriscono che lesposizione al dolore della persona amata è fonte di un disagio notevole, che spesso è addirittura maggiore della sofferenza e dellinabilità del malato stesso. Il dolore così come viene percepito da parte del caregiver è il più forte elemento predittivo di depressione per coloro che assistono pazienti con dolore cronico. Più che lintensità del dolore si correlano con la sofferenza del caregiver le modalità di espressione del dolore da parte del paziente, soprattutto lintensità dellespressione verbale, ma anche i comportamenti non verbali legati al dolore. Sono necessari, affermano gli autori, ulteriori studi per determinare gli effetti acuti e cronici dellesposizione al dolore, ma anche indagini incentrate sulla percezione di altri aspetti del malessere quali astenia, dispnea, nausea, etc.
Gli effetti della sofferenza esistenziale/spirituale
Diverse indagini qualitative hanno studiato limpatto del malessere esistenziale del malato sui suoi cari: questi studi contribuiscono a comprendere il fenomeno, ma sarebbero necessari studi quantitativi per stabilire in maniera più precisa le correlazioni fra le emozioni dei caregiver e i mutamenti nel benessere esistenziale e spirituale del malato. E infatti altamente probabile che percepire questo aspetto della sofferenza sia causa di grande sconforto per chi presta le cure, ma manca qualsiasi ricerca quantitativa su questo argomento.
Effetti aggiuntivi di diverse componenti della sofferenza
Limpatto contemporaneo di più fattori della sofferenza è divenuto oggetto di ricerca solo in epoca recentissima. In un ampio studio del 2008 condotto su pazienti con demenza e loro familiari si sono impiegati questionari comprendenti tre item per indagare il malessere emotivo (ansia, tristezza, pianto) e sei per quello esistenziale (assenza valore, fallimento, disperazione, solitudine, parlare della morte, senso di minaccia). Pur tenendo conto delle variabili legate alla disabilità fisica e cognitiva, dei problemi di memoria e dei comportamenti indisciplinati dei pazienti, dellintensità dellassistenza e delle caratteristiche demografiche, questo studio ha rilevato che sia la sofferenza emotiva sia la sofferenza esistenziale si correlavano in maniera indipendente sia trasversalmente sia longitudinalmente alla depressione del caregiver e alluso di farmaci antidepressivi. La direzionalità del fenomeno non può essere però affermata con certezza, poiché lo stato depressivo e lassunzione di farmaci antidepressivi da parte del caregiver potrebbero, allopposto, influire sulla sua percezione della sofferenza dellassistito. Un altro studio, condotto su un ampio campione di coppie di anziani sposati, ha rilevato prove che il malessere fisico, psichico ed esistenziale del coniuge sia predittivo di prevalenza ed incidenza di depressione prevalente e di prevalenza di malattia cardiovascolare nel partner, indipendentemente dai fattori noti di rischio cardiovascolare. In particolare, in questo studio il malessere fisico era misurato in base al numero dei seguenti sintomi osservati dagli intervistati nei 15 giorni precedenti: dispnea, vertigine, astenia, nausea, dolore addominale, febbre, dolenzia muscolare e diarrea. Il malessere esistenziale era misurato in base ad un singolo item in cui si chiedeva agli intervistati di indicare il grado di soddisfazione per il senso e lo scopo della loro vita. Il malessere psichico veniva misurato con il CES-D (Center for Epidemiologic Studies Depression, un test di screening per la depressione, ndr.). Un effetto sommativo dellesposizione dei coniugi ai tre aspetti della sofferenza del paziente era confermato da un rapporto di tipo dose-risposta fra il numero di diversi elementi di sofferenza segnalati dal malato e la probabilità di depressione clinica nel partner. Altri studi ancora dimostrano che il modo in cui il caregiver percepisce i sintomi di malessere del malato (disturbi del sonno, agitazione, depressione, allucinazioni) si associa al proprio malessere in maniera più significativa del deterioramento fisico e psichico dellassistito.
Mediatori dellinterazione fra sofferenza del malato ed emozioni del caregiver.
Empatia cognitiva
Prendersi cura di una persona amata ha un impatto emozionale forte sul caregiver, per effetto della viva empatia che si instaura nelle relazioni strette. Le espressioni emotive del malato guidano il caregiver nellandare incontro ai suoi bisogni e nel capire se le cure lo soddisfano. Unimportante caratteristica dellempatia cognitiva è che può attuarsi non solo per esposizione alla sofferenza, ma anche attraverso limmaginazione, senza che il caregiver assista direttamente alle manifestazioni di sofferenza di chi riceve le sue cure. Le emozioni provate dal caregiver possono essere analoghe a quelle del malato (disagio personale) oppure complementari (amore, tristezza empatica, preoccupazione).
Mimetismo e feedback
La ricerca suggerisce che meccanismi innati di mimetismo possano generare emozioni simili a quelle osservate in unaltra persona. Questo avverrebbe per due diversi meccanismi: il primo ipotizza un feedback afferente dal movimento facciale verbale e dal movimento corporeo e il secondo lattivazione di una rete neurale corticale per effetto della semplice osservazione dellemozione in unaltra persona. Le emozioni soggettive sarebbero modellate in ogni istante dallattivazione e/o feedback di tale mimetismo, generato soprattutto dalla mimica facciale (ipotesi del feedback facciale). Sono stai recentemente proposti meccanismi neurali diretti attraverso i quali le persone possono provare le emozioni altrui: losservazione di una particolare azione porterebbe allattivazione nellosservatore di parti della stessa rete neurale corticale (neuroni a specchio) che è attiva nel soggetto osservato allorché esegue lazione. Alcuni Autori hanno dimostrato lattivazione dellinsula anteriore, area associata alla formazione e allesperienza delle emozioni proprie, durante losservazione e limitazione delle espressioni facciali di emozioni elementari. Vi sono prove che linsula anteriore e la corteccia cingolata anteriore rostrale si attivino in risposta sia alla percezione soggettiva di uno stimolo doloroso sia quando il soggetto osserva una persona amata che prova dolore. Si stanno dunque accumulando prove a sostegno del fatto che le persone provino le emozioni e il dolore che osservano negli altri. Questo è particolarmente rilevante per i caregiver di persone malate, esposti continuamente ad manifestazioni di sofferenza
Risposte emotive condizionate
I caregiver possono provare emotioni in risposta a comportamenti di sofferenza del loro assistito a causa di pregresse esperienze e ricordi personali legati a tali comportamenti (per esempio la perdita di un’altra persona amata, oppure cattive esperienze di ospedalizzazione, etc.). Le risposte emotive condizionate possono essere analoghe alle emozioni dellassistito (per esempio ansia in risposta allansia) oppure, meno comunemente, complementari (amorevolezza, preoccupazione empatica) o anche difensive (rabbia in risposta al malessere). Differenti modalità di risposta possono dipendere differenti modalità di attaccamento nella storia personale del caregiver: taluni sentono di doversi difendere dalla sofferenza del malato, altri sono più sicuri nel proprio ruolo.
Elementi modulatori dellinterazione fra sofferenza del malato ed emozioni del caregiver
Genere
I caregiver di sesso femminile tendono ad essere più colpiti dalla sofferenza dellassistito, probabilmente perché prestano più attenzione alle manifestazioni del malato e hanno maggiore capacità di decodificare le espressioni emotive non verbali e anche il fenomeno del mimetismo facciale e posturale è più pronunciato nelle donne.
Vicinanaza nella relazione
I dati della ricerca suggeriscono che nella relazione di cura lesperienza della sofferenza da parte del caregiver è tanto maggiore quanto maggiore è la vicinanza affettiva fra i due partner.
Efficacia nellalleviare la sofferenza
Il caregiver che percepisce di non riuscire ad alleviare la sofferenza dellassistito per fattori inerenti alla malattia o per altri fattori che non può controllare può sentirsi impotente, in grave disagio o diventare clinicamente depresso. Conferma questa idea il fatto che credenze del paziente e dei suoi familiari circa lincontrollabilità del dolore oncologico si associano con maggiori sintomi di malessere ed un maggiore carico per il caregiver. Inoltre gli stessi caregiver percepiscono in maniera alquanto variabile la propria capacità di aiutare il malato. La sensazione di non essere allaltezza determina un aumento degli sforzi e un deterioramento del tono dellumore, e questo fattore potrebbe essere più rilevante nelle donne perché danno maggior peso alle proprie abilità di accudimento. Ampie casistiche dimostrano che il caregiving ha conseguenze negative per i caregiver, ma vi sono prove crescenti che in determinate circostanze, ed in particolare quando laccudimento è efficace, la relazione di aiuto può avere effetti positivi sul benessere del caregiver.
Regolazione emotiva del caregiver
Alcuni Autori hanno messo in evidenza due differenti risposte in situazioni che evocano empatia: la simpatia come preoccupazione per il benessere dellaltro e il malessere personale e langoscia come preoccupazione per i propri sentimenti negativi. A queste due riposte si associano differenti risposte fisiologiche: alla simpatia rallentamento del battito cardiaco (che indica attenzione agli stimoli esterni) ed ampia variabilità della frequenza cardiaca (che è stata messa in relazione con effetti favorevoli sulla salute fisica e psicologica), allangoscia invece un elevata risposta di stress cardiaco. La preoccupazione empatica può non essere lunica risposta alla sofferenza del partner: i caregiver, per effetti di strategie difensive, possono essere non-reattivi oppure arrabbiati o ancora colpevolizzare il malato o rifugiarsi in un ottimismo ingiustificato.
I benefici di questultima modalità di difesa sono poco chiari, essendo stato osservato che i caregiver capaci di valutare con maggiore accuratezza il dolore del malato sperimentano un minor livello di stress per il loro compito di supporto ed assistenza.
Ricerca futura ed implicazioni per interventi
Gli Autori di questo articolo ritengono che la ricerca nellambito della relazione di assistenza dovrà in futuro incentrarsi più che sui bisogni di cura de malato sugli effetti della sofferenza del malato sulle emozioni e il benessere del caregiver. A tale scopo sarà necessario indagare sui due versanti della sofferenza, quella del malato e quella del caregiver, e definire in che modo la sofferenza osservata incida aldilà delle caratteristiche demografiche e psicosociali in cui si colloca la relazione di cura e in che maniera le differenti componenti della sofferenza influiscano singolarmente. Trovare risposta a questi interrogativi richiederà lo sviluppo di un concetto più accurato della sofferenza e dei suoi modulatori e di relativi metodi di misurazione. Unaltra importante area di indagine è quella del ruolo delle reti sociali sotto la prospettiva socio-emotiva: i soggetti più anziani tendono a ridurre la propria rete di relazioni, mantenendo un numero ristretto di rapporti ritenuti più significativi. Questo investimento in relazioni affettivamente significative implica relazioni positive in tempi di salute e benessere, ma, ritengono gli Autori, i nuclei relazionali ristretti ed omogenei sono meno adattivi in tempi di sofferenza e malattia, perché espongono al rischio di emozioni negative più intense e consentono meno accesso alle informazioni e alle risorse per far fronte alla malattia. Unaltra area di indagine riguarda lidentificazione e gli stereotipi legati alletà. Le persone anziane potrebbero considerare la sofferenza come un evento di vita normativo e questo potrebbe attenuare gli effetti interpersonali dellesposizione alla sofferenza e consentire di farvi meglio fronte. Daltro canto, con letà declina la capacità di controllo primario, e davanti alla sofferenza gli anziani tentano dapprima ad alleviare le sofferenze del familiare. Tuttavia è probabile che quando falliscono nellintento, per superare il senso di impotenza, tendano ad attuare strategie di controllo secondario, quali incolpare la vittima o ridurre la percezione della sofferenza, con effetti negativi profondi e duraturi.
La visione della sofferenza esposta in questo articolo indirizza verso approcci innovativi allintervento sui caregiver familiari. Finora gli interventi erano orientati alla formazione del caregiver, alla cura del suo riposo, al supporto domestico, partendo spesso dallassunto che la morbilità psichica e fisica del caregiver fosse legata agli aspetti pragmatici del provvedere allassistenza fisica del familiare impedito. Tuttavia, altrettanta attenzione dovrebbe essere posta nellaiutare il caregiver a minimizzare la sofferenza del malato e a far fronte a quegli aspetti della sofferenza che non si possono controllare.
In particolare, una terapia del problem solving potrebbe essere particolarmente efficace nel
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aiutare ad identificare gli specifici comportamenti e sintomi che portano alla percezione che il malato sta soffrendo
- determinare quali sintomi di sofferenza il caregiver può aiutare a minimizzare o alleviare
- confrontarsi con quegli aspetti della sofferenza del malato che non sono sotto il controllo del caregiver. Aiutare il proprio familiare è benefico per il caregiver non solo perché migliora il benessere dellassistito (e con ciò riduce anche il contagio emotivo negativo), ma anche perché aiutare una persona amata è appagante in sé.
Nei casi in cui il caregiver non sia nelle condizioni di alleviare pienamente la sofferenza del malato, possono essere particolarmente utili terapie derivate da tradizioni buddiste come via per la cessazione della sofferenza, che favoriscono la consapevolezza, il che implica:
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lautoregolazione dellattenzione sullesperienza immediata che consenta un maggiore riconoscimento degli eventi mentali al momento presente
- un orientamento verso lesperienza del momento presente caratterizzato da curiosità, apertura e accettazione.
Si presume che questo tipo di meditazione favorisca, in luogo della soppressione o della ruminazione della propria esperienza emotiva, un rapporto decentrato con le proprie esperienze interne ed esterne, con lo scopo di ridurre la reattività emotiva e favorire un ritorno alle condizioni basali. Questo consente al caregiver di riconoscere la propria angoscia per la sofferenza del malato senza sopprimerla e senza esserne sopraffatto, ma prendendone la distanza a favore di unattenzione empatica che si sostituisca al conflitto interiore per il proprio disagio personale. Nelle relazioni di cura protratte, possono essere più utili gli interventi sulla coppia rispetto a quelli incentrati sul solo caregiver. Concentrarsi sulla comprensione della prospettiva dellaltro riguardo allo stress, le rispettive competenze di problem-solving, la collaborazione nel coordinare i compiti quotidiani può alleviare langoscia di entrambi i partner.
Rilevanza per la Medicina di Famiglia e commento del Revisore
Questa ricchissima, aggiornata e ampiamente documentata revisione della letteratura ha il pregio di tentare una definizione della sofferenza che va ancora oltre il concetto, ben noto a chi si occupa di cure palliative, di dolore globale: qui la sofferenza, intesa come linsieme del disagio fisico, del malessere psichico e di quello esistenziale/spirituale, è riferita non solo al malato, ma anche al suo partner nella relazione di cura domiciliare. Vengono presi in esame i meccanismi neuro-psicologici già noti (e le prospettive della futura ricerca) che portano colui che accudisce il malato a contaminarsi con la sua sofferenza e le possibili strategie per alleviare langoscia di entrambi. Questo è un grande tema dellassistenza domiciliare, che investe non solo i malati di tumore e non riguarda solo la fine della vita, ma interessa tutte quelle persone, spesso anziane, impegnate nellassistenza a lungo termine di un familiare malato. Conoscere i processi interattivi fra malato e caregiver può consentire al Medico di Famiglia, principale attore delle cure domiciliari, ad aiutare queste persone, aldilà delle cure mediche, a far fronte al loro spesso duro compito.
Modello proposto per il nesso fra sofferenza dellassistito ed emozioni e morbilità fisica e psichica del caregiver.
Lo schema sintetizza in percorsi attraverso i quali lesposizione alla sofferenza a e la sua percezione influiscono sulla risposta emotiva e la salute del caregiver. La parte superiore dello schema illustra il modello convenzionale stress-salute: fattori legati al malato in rapporto alla malattia (sintetizzati ai fini operativi come disabilità cognitiva e fisica e come comportamenti legati al problema) e ai relativi bisogni di cura (assistenza fornita, esigenze di sorveglianza, tempo impiegato nellassistenza) sono considerate come fonti primarie di stress. Questi elementi di stress possono avere non solo effetti diretti sulla salute del caregiver, ma anche generare elementi secondari di stress, quali per esempio conflitti familiari, che a loro volta influiscono sulle condizioni psichiche e fisiche dei caregiver. Loriginalità del modello proposto consiste in un percorso aggiuntivo, che è quello dellesposizione del caregiver alla sofferenza di chi riceve le cure, come evidenziato nella parte inferiore dello schema: oltre ad un effetto diretto sullo stress del caregiver (per esempio con aumento di assistenza, di vigilanza), gli effetti della sofferenza sul caregiver sono mediati da tre processi che generano risposte emotive analoghe, complementari o difensive nel caregiver. Questi processi sono empatia cognitiva, mimetismo e feedback e apprendimento condizionato. I caregiver possono reagire ai sintomi di sofferenza con emozioni simili o complementari, mettendosi nei panni del paziente (empatia cognitiva). Essi possono provare automaticamente emozioni simili a quelle osservate (mimetismo) o provare emozioni simili, complementari o difensive come conseguenza di risposte condizionate evocate dallesposizione alla sofferenza. Queste risposte sono modulate da differenze di genere, dalla vicinanza di rapporto, da sentimenti di efficacia nellalleviare le sofferenze del malato, e da differenze individuali di regolazione emotiva.