08
GEN
2013
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 5 - Articolo 1. Agosto 2006] Il trattamento farmacologico del dolore centrale post-ictus


Titolo originale: Pharmacologic Treatment of Central Post-Stroke Pain
Autori: Frese, I.W. Husstedt, E.B. Ringelstein, and S. Evers,
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Clin J Pain. Volume 22, Number 3, March/April 2006
Recensione a cura di: A.K. Rieve
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Introduzione
Per la prima volta nel 1906, Déjérine e Roussy descrissero la “Sindrome talamica”, un quadro clinico conseguente ad un ictus in sede talamica caratterizzato da violenti dolori all’emisoma controlaterale. Da allora, si è osservato che una sindrome dolorosa cronica può verificarsi dopo lesioni a qualsiasi livello della via spino-talamica e delle sue proiezioni corticopete, per cui il termine “dolore talamico” è stato sostituito da quello di “dolore centrale post-ictus” (DCPI).
Il DCPI è una delle condizioni dolorose determinate da una lesione del sistema nervoso centrale e pertanto denominate Dolore Centrale (DC). Il DC può verificarsi a seguito di lesioni del midollo spinale causate di varia origine o lesioni cerebrali di natura non vascolare. L’esatta fisiopatogenesi del DC non è nota. Indipendentemente dalla natura della lesione e dalla sua localizzazione, vengono considerate caratteristiche fisiopatologiche del DC un’alterata attività neuronale in circuiti deafferentati e uno squilibrio post-lesionale fra vie neurali facilitatorie e inibitorie. Il DCPI è caratterizzato da un dolore costante o intermittente a seguito di uno stroke emorragico o ischemico ed è associato ad alterazioni sensitive, soprattutto della percezione di stimoli nocicettivi nelle aree corporee interessate dal dolore, spesso accompagnate da allodinia e iperalgesia. Queste caratteristiche stanno a segnalare lesioni delle vie spino-talamo-corticali che si connettono nel nucleo ventro-postero-laterale, e che interessano in maniera importante anche le sensazioni tattili e vibratorie. Poiché non tutti i pazienti che subiscono un ictus con interessamento delle funzioni spino-talamiche hanno dolore, si deve ritenere che una lesione a quel livello è condizione necessaria, ma non sufficiente a determinare il DCPI. L’area interessata dal dolore è generalmente meno estesa di quella colpita dalle disestesie. Il dolore è solitamente continuo, ma può presentarsi anche in maniera parossistica, e viene comunemente descritto come urente, pungente, lacerante, pulsante e può essere esacerbato dallo stress fisico o emotivo e alleviato dal rilassamento. L’intensità del dolore è variabile, ma spesso costituisce un grosso carico di sofferenza per il paziente, e le forme refrattarie possono determinare una depressione grave con rischio di suicidio.
Contrariamente a quanto si è soliti ritenere, il DCPI non è una condizione rara, essendo stato osservato in uno studio prospettico nell’8% di pazienti con ictus entro un anno dall’evento. Nella maggior parte dei casi insorge entro un mese dall’ictus, ma può comparire fino a tre anni dopo, il che deve far considerare questo un dato minimo. Vista l’elevata incidenza dell’ictus nella popolazione generale, è da ritenere che un gran numero di pazienti soffrano di questa condizione e che molti di essi sfuggano ad una valutazione e quindi non siano considerati epidemiologicamente.
Il DCPI è di difficile trattamento, e pertanto deve considerarsi come obiettivo terapeutico la riduzione del dolore, piuttosto che il completo sollievo dal dolore. Gli analgesici convenzionali e gli oppiacei sono generalmente considerati inefficaci: in uno studio non-controllato solo il 20% dei pazienti beneficiava di un trattamento con morfina endovena e nessun trial dimostrava l’efficacia degli oppiacei orali. Sono stati proposti numerosi trattamenti famacologici, ma mancano studi controllati ampi e i dosaggi terapeutici sono tutt’altro che standardizzati.

 

Metodi
Sono stati raccolti report di trattamenti farmacologici per il DCPI da differenti database (Medline, Science Citation Index e revisioni di letteratura: Cochrane Central register of Controlled trias), tenendo conto solo di case-report e studi di farmacoterapia su casistiche di dolore centrale che comprendessero almeno due pazienti con DCPI. Il numero degli studi identificati e valutati per categoria di farmaci era: antidepressivi 5, stabilizzatori di membrana 8, glutamergici 4, GABA-ergici 8, oppiacei 3. Non è stato possibile trovare in letteratura alcuno studio randomizzato e controllato con placebo con un numero sufficientemente elevato di pazienti, per cui gli Autori non hanno potuto valutare la qualità degli studi mediante sistemi di score, e il grado di evidenza è stato stratificato in maniera semplificata assegnando una evidenza di tipo A atrial randomizzato controllato con placebo, B trial non controllato e C serie di casi o case report.

 

Risultati

 

 

  • Antidepressivi
    L’amitriptilina è stato il primo farmaco dimostratosi efficace nel DCPI in uno studio a doppio-cieco incrociato controllato con placebo: 15 pazienti erano trattati con Amitriptilina, 14 con Carbamazepina, 15 con placebo, vi era un beneficio entro 4 settimane di trattamento in 10/15 pazienti trattati contro 1/15 pazienti non trattati, non correlabile agli effetti antidepressivi del farmaco; effetti collaterali venivano riportati da 14/15 pazienti trattati contro 7/15 pazienti non trattati, ma in nessun caso la terapia veniva sospesa per effetti avversi. In analogia con quanto osservato nel dolore neuropatico periferico, si ritiene che l’efficacia dei diversi antidepressivi sia legata alle loro proprietà adrenergiche: il serotoninergico puro Citalopram non ha mostrato alcun effetto in uno studio su 9 pazienti (anche se Fluvoxamina, inibitore selettivo del reuptake della serotonina ha mostrato una certa efficacia), mentre benefici sono stati osservati con Clomipramina ed in una certa misura con Reboxetina, inibitore selettivo del reuptake della noradrenalina. Per questi riscontri, gli esperti raccomandano l’impiego di altri antidepressivi con effetti adrenergici, quali Nortriptilina, Desimipamina, Imipramina, Doxepina, Venlafaxina o Maprotilina in caso di inefficacia o intolleranza all’Amitriptilina. 
  • Stabilizzatori Di Membrana (Anticonvulsivanti)
    L’ipotizzata ipereccitabilità del sistema nervoso danneggiato costituisce il razionale per lo studio di agenti anticonvulsivanti e anestetici locali nel trattamento del dolore centrale. Nello studio sopra menzionato, 5/14 pazienti segnalavano una certa riduzione del dolore, ma l’effetto osservato non era statisticamente significativo. Alcuni esperti raccomandano la Carbamazepina come trattamento aggiuntivo alla terapia di base con amitriptilina, ma l’efficacia di questa combinazione terapeutica non è dimostrata. Sono stati riportati casi di beneficio da Fenitoina. Limitati studi suggeriscono una certa efficacia dell’anestetico Lidocaina e del suo analogo orale Mexiletina nel DCPI, mentre non è stato riscontato nessun effetto benefico in uno studio controllato con placebo in pazienti con dolore centrale da lesioni spinali. In uno studio recente in doppio cieco controllato con placebo su 6 pazienti con DCPI e 10 con lesioni spinali, la Lidocaina e.v. alla dose di 5mg/kg somministrata in 30 minuti riduceva in maniera significativa l’intensità del dolore spontaneo per una durata fino a 45 minuti dalla somministrazione in 10/16 pazienti, mentre solo 6 pazienti rispondevano al placebo. La Lidocaina si dimostrava efficace nel ridurre l’allodinia meccanica da “spazzola” e l’iperalgesia meccanica, ma era inefficace nell’allodinia e nell’iperalgesia termica. Gli effetti collaterali erano moderati e consistevano principalmente nel senso di stordimento. Al completamento dello studio, 12 di questi pazienti iniziavano ad assumere Mexiletina alla dose di 400-800mg/die, ma solo 3 di essi ottenevano una riduzione moderata (30-50%) del dolore e la maggior parte dei pazienti non tolleravano le alte dosi del farmaco e non erano disposti a proseguire la terapia. Malgrado questo, si ritiene che la Mexiletina possa avere una collocazione in pazienti selezionati in aggiunta agli antidepressivi.
  • Farmaci Glutamergici
    Il dolore centrale potrebbe avere origine da una alterata regolazione della neurotrasmissione fra il talamo e le sue proiezioni sensoriali corticali. L’ipotesi iniziale di un’incrementata attività a livello dei recettori NMDA come responsabile dell’aumentata attività di scarica riscontrata nei nuclei talamici di pazienti con dolore centrale è stata messa in discussione dagli stessi sostenitori. Tuttavia, diversi differenti agenti antagonisti nella neurotrasmissione glutamergica eccitatoria sono stati studiati nel dolore centrale. La Chetamina, un inibitore non-competitivo a bassa affinità dei recettori NMDA, ha mostrato una certa efficacia nel dolore centrale. In uno studio randomizzato a doppio cieco incrociato con soluzione fisiologica e l’agonista dei recettori oppioidi Alfentanyl come controllo, in nove pazienti con disestesie centrali dopo lesione midollare, la Chetamina endovena riduceva sia il dolore spontaneo sia quello evocato in misura significativamente maggiore rispetto al placebo, ma non rispetto all’Alfentanyl. Il Destrometorfano, inibitore a bassa affinità del canale NMDA, è stato studiato in 21 pazienti con dolore neuropatico di diversi tipi, di cui 9 con DCPI: alla dose giornaliera di 81 mg non mostrava alcun effetto benefico nell’intera popolazione studiata e nel sottogruppo con DCPI. Si è rivelato invece efficace a dosaggi molto superiori in casi di neuropatia diabetica e post-erpetica ed è quindi probabile che l’inefficacia nel DCPI sia legata ai bassi dosaggi impiegati. La Lamotrigina, un nuovo antiepilettico con effetti antiglutamergici non-NMDA era efficace nel ridurre le componenti sia spontanee sia evocate del dolore centrale in una serie di 4 pazienti, di cui due con DCPI; veniva impiegata al dosaggio di 300-600 mg/die, con un follow-up massimo di un anno, e in tutti i pazienti si verificava recidiva completa del dolore alla sospensione del farmaco. Uno studio controllato con placebo e incrociato su 30 pazienti con DCPI con dosi crescenti di Lamotrigina, al raggiungimento della dose di 200mg/die tra la settima e l’ottava settimana di trattamento, il farmaco riduceva a 5 lo score medio del dolore rispetto allo score 7 del placebo, con una riduzione di due punti in 12 dei pazienti trattati. Il farmaco era ben tollerato, con pochi e transitori effetti collaterali: verosimilmente l’impiego di dosaggi superiori potrebbe garantire maggiori effetti benefici.
  • Farmaci GABA-ergici
    Come fattore patogenetico del dolore centrale è stata ipotizzata anche una disfunzione dei sistemi di controllo ascendenti GABA-ergici originati dai corni dorsali o costituenti l’asse sensoriale talamo-corticale. L’agonista GABAa-ergico Thiopental somministrato per via endovenosa a dosi sub anestetiche (massimo 250mg) determinava una riduzione del dolore di almeno 40 mm alla VAS in 20/39 pazienti con DCPI in uno studio non controllato, con un effetto della durata massima di un’ora. In uno studio controllato con placebo, dosi sub anestetiche di Propofol endo vena, un altro agonista GABAa-ergico, alleviava sia il dolore spontaneo sia quello evocato in 14/16 pazienti con DC (in 5/7 con DCPI, mentre lo stesso farmaco si rivelava inefficace in 14 pazienti con dolore neuropatico da deafferentazione).
    Effetti analoghi venivano ottenuti in piccoli gruppi di pazienti con la somministrazione intratecale di Baclofen, un agonista GABAb-ergico, che però si dimostrava inefficace quando somministrato per os. Il Gabapentin, analogo strutturale del GABA, introdotto inizialmente come anticonvulsivante, presenta un buon profilo di efficacia e di sicurezza per il trattamento del dolore neuropatico. Il suo meccanismo d’azione non è stato del tutto chiarito, ma è evidente che non implica un legame diretto con i recettori GABA. Molto probabilmente funziona incrementando il metabolismo del GABA naturale e aumentando i livelli di GABA, inibendo così il rilascio di aminoacidi eccitatori e smorzando la spirale del dolore allodinico a livello del corno dorsale. In alternativa, ma è meno documentato, il Gabapentin funziona a livello dei canali del calcio. Il Gabapentin si è dimostrato efficace nel dolore neuropatico di origine periferica, ma esistono solo descrizioni aneddotiche del suo impiego nel DCPI.
  • Oppiacei
    Gli oppiacei sono stati a lungo considerati poco efficaci nel trattamento DCPI e pertanto sono poco studiati. Alcuni oppiaciei quali il Metadone e il Levorfanolo mostrano una debole attività di antagonisti non-competitivi dei recettori NMDA, per cui potrebbero avere un effetto anti-nociicettivo oltre al loro effetto agonista sui recettori oppioidi. Tuttavia nell’unico studio effettuato con Levorfanolo per os su 81 pazienti con dolore centrale, il farmaco si rivelava inefficace anche alle alte dosi in tutti i 5 pazienti con DCPI.

 

Discussione e conclusione degli autori
Malgrado l’elevata frequenza di questo disturbo, la sua gravità e il grande impatto sulla qualità della vita, le prove scientifiche su come trattare il DCPI sono sorprendentemente poche. La presente revisione della letteratura porta a concludere che possono essere date solo limitate raccomandazioni sulla terapia: Lidocaina e Propofol parenterali per il trattamento a breve termine del dolore. Farmaci di prima scelta per la terapia orale cronica risultano essere Amitriptilina (alla dose minima di 75mg/die) e Lamotrigina (alla dose minima di 200mg/die); farmaci di seconda scelta Mexiletina (fino a 10mg/kg/die), Fluvoxamina (fino a 125mg/die, entro un anno dall’ictus), Gabapentin (alla dose minima di 1200mg/die). La ricerca sistematica di un trattamento più efficace dovrebbe quindi costituire una priorità urgente e dovrebbe concentrarsi sia sullo studio di farmaci con più favorevoli profili di sicurezza rispetto agli stabilizzatori di membrana attualmente impiegati in associazione con l’Amitriptilina, sia sulla valutazione di terapie di combinazione e sia nella ricerca di una risposta al problema della prevenzione ed in particolare se un trattamento preventivo possa ridurre l’incidenza di DCPI (in analogia con la prevenzione della nevralgia post-erpetica).

 

Rilevanza per la Medicina Generale
Si stima che ogni anno in Italia si verifichino quasi 200.000 nuovi casi di ictus, e una minoranza (circa il 20%) dei pazienti muore nel primo mese successivo all’evento, mentre circa il 30% sopravvive con esiti gravemente invalidanti, non ultimo il dolore centrale. Sebbene la prevalenza del dolore dopo ictus si riduca nel tempo, in un recente studio osservazionale, dopo 16 mesi dall’evento il 21% di tutti i pazienti con ictus (indipendentemente dalla natura e dalla sede dello stroke) presentava dolore centrale da moderato a grave. Questi dati portano a dover considerare il DCPI un problema rilevante non solo per gravità ma anche per frequenza, verosimilmente sottostimato nella pratica medica di base.

 

Commento del revisore
Si tratta di una revisione sistematica della letteratura sul trattamento del dolore centrale post-ictus. Fornisce una visione piuttosto completa, chiara e sintetica sulle ipotesi patogenetiche di questa condizione e sulle basi razionali dei tentativi terapeutici. Gli Autori stessi rimarcano che le raccomandazioni per l’approccio terapeutico che possono fornire sono piuttosto limitate a causa della scarsezza di studi sistematici di efficacia e del numero estremamente esiguo di pazienti studiati, malgrado l’elevata prevalenza della condizione clinica. Si impone quindi una maggiore attenzione all’inquadramento clinico del dolore e un approccio terapeutico il più possibile razionale. La scarsezza di dati dalla letteratura e l’immissione in commercio di nuovi farmaci (come per esempio il Pregabalin) potrebbe rappresentare una forte motivazione per la Medicina Generale, ed in particolare per la Società Scientifica, a proporre Studi di efficacia nel DCPI.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 20-ago-07
Articolo originariamente inserito il: 15-ago-06
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