07
APR
2011
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 51 – Articolo 1. Marzo 2011] La gestione del dolore persistente nei pazienti trattati per tumori


Titolo originale: Managing Relentless Pain in Cancer Survivors
Autori: Un’intervista a Judith Paice, di Laura A. Stokowski
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Medscape Hematology-Oncology Posted: 02/16/2011
Recensione a cura di: A. K. Rieve
Indirizzo dell'articolo: Visita (link esterno)

 

Sopravvivere al cancro: la dolente realt�
Il costante incremento del numero di pazienti che sopravvivono al cancro (quasi 60% di tutti pazienti con diagnosi di cancro sopravvivono a 10 anni negli Stati Uniti) e la sopravvivenza protratta dei malati con cancro in stadio avanzato pone il problema della qualità di vita di questi malati. Coloro che sopravvivono al tumore spesso hanno esiti persistenti, quali limitazioni fisiche, deficit cognitivi, depressione ed ansia, disturbi del sonno, stanchezza, disfunzioni sessuali e, in alcuni casi, soffrono di dolore legato non tanto alla malattia quanto alle sequele dei trattamenti antitumorali e tendente a cronicizzare con l’allungarsi della vita. Gli studi clinici classici, afferma l’intervistata, ponevano l’accento sull’efficacia delle terapie antineoplastiche, senza misurare in maniera sistematica gli effetti avversi, quali il dolore, e gli stessi pazienti erano riluttanti a segnalarli per timore di essere esclusi dai trial. Indagare sistematicamente sugli effetti avversi delle terapie antitumorali potrà garantirne una migliore conoscenza e fornire strumenti più adeguati per il loro controllo.

Sindromi dolorose legate alla terapia
Alla terapia antitumorale possono correlarsi cinque differenti sindromi algiche, che talvolta si sovrappongono in parte e si amplificano a vicenda:

 

1. Neuropatia periferica indotta da chemioterapia
E’ legata all’impiego di chemioterapici neurotossici quali paclitaxel, vincristina, cisplatino, oxaliplatino, talidomide e bortezomib. E’ dose-dipendente, ma può essere anche influenzato dalla neurotossicità di altri trattamenti e recede solitamente dopo sospensione della chemioterapia, riduzione del dosaggio e trattamento sintomatico, ma può diventare cronico in un sottogruppo di pazienti, impattando pesantemente sulla qualità di vita. Il trattamento prevede l’impiego di antidepressivi triciclici, anticonvulsivanti, SNRI, nessuno dei quali si è dimostrato però di sicura efficacia, mentre in alcuni casi selezionati, gli oppiacei danno risultati migliori. Nell’intervista viene sottolineata l’esigenza di un approccio multidisciplinare che comprenda anche il mantenimento dell’attività fisica e l’attenzione ai deficit propriocettivi potenzialmente pericolosi per il paziente.

 

2. Dolore indotto da radiazioni
La plessopatia da radiazioni è uno degli effetti più dolorosi della radioterapia. Nel tempo può interessare l’intera catena nervosa che parte dal plesso colpito. La sede più comune è il plesso brachiale (tumore della mammella), o i plessi lombosacrali (tumori del colon e ginecologici). Si ritiene che radiazioni esplichino il loro effetto dannoso sul microcircolo, determinando fenomeni fibrotici, oppure direttamente su assoni e guaine mieliniche. La combinazione di radio- e chemioterapia aumenta il rischio del danno da radiazioni. E’ un effetto dei trattamenti tardivo, potendo insorgere da mesi ad anni dopo la terapia ed è spesso molto invalidante. Il trattamento è poco studiato e condotto in maniera analoga a quello della neuropatia periferica da chemioterapici. Nei casi intrattabili sono state tentate tecniche infiltrative neurolesive sulle radici dorsali.

 

3. Artralgia indotta da terapia ormonale
Gli inibitori delle aromatasi, che sono raccomandati nelle donne con carcinoma ormonosensibile della mammella in post-menopausa sia come parte della della terapia di prima linea sia come trattamento adiuvante dopo tamoxifen, si associano alla comparsa di artralgie e mialgie che clinicamente si manifestano come un’artrite ma sono prive della componente infiammatoria. Inoltre, inibendo bruscamente la produzione periferica degli estrogeni nelle donne in menopausa, questo trattamento ne simula l’intera sintomatologia. Gli effetti compaiono da due mesi a due anni dall’inizio del trattamento e sono più a rischio di svilupparli le donne obese e quelle che hanno precedentemente praticato terapia ormonale sostitutiva. Le pazienti già affette da malattie osteomuscolari croniche che assumono inibitori delle aromatasi tendono ad avere dolore più vivo ed intenso (in parte anche perché costrette a sospendere terapie immunosoppressive), e questo può ridurre in maniera importante l’aderenza alla terapia. Il trattamento del quadro doloroso, afferma l’intervistata, è al momento del tutto empirico e si avvale di analgesici, antiinfiammatori, corticosteroidi, integratori, agopuntura, miglioramento dello stile di vita, attività fisica.

 

4. Dolore da reazione graft-vesus-host
La graft-versus-host disease (GVHD) una delle complicanze più frequenti dei trapianti di tessuto emopoietico. La letteratura è scarsa sull’argomento, benché il fenomeno non sia infrequente. I pazienti presentano manifestazioni cutanee e mucose simili alla sclerodermia. Il quadro è più grave nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali ed è in rapporto al grado di mismatch con il donatore. La GVHD si presenta in due distinte forme: quella acuta, che si verifica entro i primi cento giorni dal trapianto con un interessamento multi-organo (bocca, cute, fegato, polmoni, occhi), e quella cronica, che si verifica dopo il centesimo giorno ed è detta anche cutaeo-mimetica perché simula diverse patologie cutanee (scleroderma, lichen, ittiosi, cheratosi e molte altre). Le manifestazioni cutanee delle forma cronica non sono di per sé dolorose, ma possono ulcerarsi, causare prurito o infettarsi e sfigurare i pazienti in maniera permanente con cicatrici e contratture che possono anche determinare limitazioni funzionali. Anche se si ipotizza un effetto antitumorale della GVHD, questa condizione può essere fortemente invalidante per il paziente e finora non si conoscono rimedi di comprovata efficacia. A partire dal 2005 è stata riconosciuta l’importanza del controllo del dolore in pazienti con GVHD e posta l’indicazione a considerare questo aspetto nei trial clinici e nelle linee-guida di trattamento, che al momento prevedono l’utilizzo di corticosteroidi topici o, in alternativa, tacrolimus topico e raccomandano la somministrazione di oppiacei mediante pompe di infusione ai pazienti ospedalizzati.

 

5. Dolore in rapporto ad interventi chirurgici
Questo è probabilmente l’aspetto meglio conosciuto del dolore da terapia antineoplastica. Il dolore cronico post-chirurgico è stimato colpire fino alla metà dei pazienti ed è di origine multifattoriale, Sono state individuate alcune condizioni predispongono al dolore postchirurgico: la preesistenza di dolore, interventi chirurgici ripetuti, irradiazione, chemioterapia, vulnerabilità psichica, depressione ed ansia. Qualunque intervento chirurgico può esitare in dolore cronico, ma alcune specifiche condizioni sono meglio definite:

 

Dolore post-mastectomia, la cui incidenza è maggiore fra le donne più giovani e non si è ridotta malgrado e l’affinamento delle tecniche chirurgiche, e nella maggior parte dei casi è di tipo neuropatico, legato allo svuotamento ascellare, con forte impatto sulla vita quotidiana L’adeguatezza del controllo del dolore post-chirurgico acuto è determinante nel prevenire questo tipo di dolore.

 

Dolore post-toracotomia, che interessa fino al 60% dei pazienti ed è attribuito alla lesione di nervi intercostali ed è in funzione dell’estensione della toracotomia e sembra essere meno frequente dopo interventi in toracoscopia video-assistita e in accesso antero-laterale.

 

Dolore post-amputazione, che si configura nella sindrome dell’arto fantasma e sembra essere più frequente e duraturo dopo l’amputazione di un arto superiore.

 

Dolore di testa e collo, che si verifica in forma di dolore cronico neuropatico a seguito di lesioni dei nervi accessori o del plesso cervicale superficiale, principalmente in pazienti che sottoposti a trattamenti combinati. Possono verificarsi anche dolori di tipo miofasciale, di spalla e ipoestesie.

Il migliore controllo della sintomatologia influisce sull’aderenza ai trattamenti
L’inadeguato controllo del dolore cronico nei pazienti trattati per tumori, riduce la loro aderenza alla terapia e in definitiva la sopravvivenza. Indagini recenti hanno dimostrato che uno dei principali ostacoli è la scarsa conoscenza del problema da parte dei medici, soprattutto in assistenza primaria. Può risultare difficile discernere il dolore cronico post-trattamento da quello dovuto a ripresa di malattia o nuovo tumore e da patologie croniche di altra natura, soprattutto nei pazienti più anziani. Anche le condizioni psicosociali del paziente possono influire sulla sua percezione del dolore. E così come non è facile sopportare il dolore cronico, ugualmente non è facile tollerare la terapia del dolore cronico, afferma l’intervistata, perché spesso i loro effetti sedativi interferiscono con le funzioni cognitive e lo stato generale, il che può diventare rilevante per alcune professioni e per la qualità di vita in generale. Per questa ragione, una buona gestione del dolore post-terapia esige un’accurata valutazione del rapporto rischio-beneficio dei trattamenti, l’impiego preferenziale di trattamenti non-farmacologici, l’utilizzo di farmaci adiuvanti e una prescrizione appropriata degli oppiacei ed è inoltre auspicabile una maggiore ricerca sugli effetti avversi tardivi delle terapie antineoplastiche.

Rilevanza per la Medicina di Famiglia e Commento
Le sequele dolorose spesso si manifestano dopo il completamento delle terapie oncologiche, quando il paziente è meno assiduamente seguito dai centri oncologici: frequentemente i pazienti ricorrono ai loro medici di famiglia, i quali devono essere consapevoli e preparati a riconoscere ed affrontare questa condizione emergente. L’articolo, proposto in forma di intervista ad una specialista di grande esperienza, sintetizza in maniera sistematica ed efficace i principali aspetti del dolore e di altri effetti avversi tardivi conseguenti alle terapie- e non direttamente correlati al tumore- e mette in evidenza i bisogni formativi dei medici di assistenza primaria e l’esigenza di ricerche cliniche più attente a questo problema rilevante, ma in parte ancora misconosciuto

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 07-apr-11
Articolo originariamente inserito il: 21-mar-11
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