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LUG
2015
Area Psichiatrica

Trattamento della depressione nell’anziano: aspetti peculiari e considerazioni pratiche [Numero 7. Luglio 2015]


Titolo originale: Antidepressant use in the elderly: the role of pharmacodynamics and pharmacokinetics in drug safety
Autori: Sultana J, Spina E, Trifiro' G
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Expert Opin. Drug Metab. Toxicol. 2015; 11:883-892
Recensione a cura di: Domenico Italiano

Considerazioni generali

La prevalenza della depressione maggiore (DM) negli anziani è attestata tra il 4,6 e il 9,3% in diversi studi epidemiologici, mentre quella della depressione sottosoglia è molto più elevata, arrivando, in alcune casistiche, fino al 37,4% negli over 75. I sintomi della depressione in età avanzata possono differire significativamente da quella dei giovani, spiegando cosi perché’ questa patologia nell’anziano sia spesso misdiagnosticata o sottodiagnosticata. La farmacologia dell’età avanzata presenta alcune peculiarità. L’invecchiamento è infatti caratterizzato dalla riduzione delle funzionalità dei vari organi, con conseguenti alterazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche del metabolismo dei farmaci. La riduzione della massa corporea e l’incremento relativo della massa grassa alterano la distribuzione e l’accumulo di composti liposolubili; il metabolismo epatico e renale decrescono progressivamente con l’età; spesso pazienti anziani necessitano di un dosaggio inferiore di antidepressivi (AD) per una maggiore sensibilità al farmaco dovuta a riorganizzazioni funzionali della neurotrasmissione. Inoltre, la variabilità individuale nella risposta al farmaco può essere accentuata nell’anziano, rendendo così difficile predire la risposta. Ad esempio, effetti anticolinergici come ritenzione urinaria, costipazione, glaucoma, xerostomia sono comuni negli anziani in corso di terapia con triciclici o alcuni SSRI come paroxetina. Ciò può essere dovuto a una riduzione della trasmissione colinergica legata all’età. Allo stesso modo, la riduzione della trasmissione dopaminergica può essere responsabile di maggiori effetti extrapiramidali. Gli anziani sono anche a rischio di sanguinamenti gastrointestinali in corso di terapia con SSRI, dovuti alla loro attività antipiastrinica, cui gli anziani sono più soggetti. Il rischio di interazioni farmacologiche è molto aumentato nell’anziano a causa delle frequenti politerapie in età avanzata. Le interazioni di tipo farmacocinetico comprendono alterazioni nell’assorbimento, distribuzione, metabolismo o escrezione del farmaco. Le interazioni farmacodinamiche avvengono invece quando due farmaci agiscono sullo stesso sito molecolare (recettore, canale ionico, enzima etc.) e possono risultare in effetti additivi, sinergici o antagonisti. In generale, i farmaci più datati, agendo su numerosi diversi bersagli, sono più soggetti a interazioni farmacologiche rispetto ai farmaci più recenti che hanno un meccanismo d’azione più specifico.

Antidepressivi triciclici (TCA)

Nonostante una provata efficacia, i TCA sono generalmente considerati farmaci di seconda scelta nel trattamento della depressione nell’anziano a causa dei loro effetti anticolinergici, sedativi e cardiovascolari. I TCA hanno un indice terapeutico relativamente ristretto e possono causare significativi effetti collaterali cardiaci e al sistema nervoso centrale (SNC) di tipo dose-dipendente. Pertanto i TCA dovrebbero essere evitati o usati con estrema cautela in pazienti anziani trattati con farmaci anticolinergici o altri farmaci che agiscono sul SNC o sul sistema cardiovascolare. La co-somministrazione di farmaci con proprietà antimuscariniche, tra cui fenotiazine e antiparkinsoniani, può incrementare gli effetti anticolinergici, come deficit di memoria, secchezza delle fauci, visione offuscata e costipazione. Nei pazienti anziani possono precipitare stati confusionali, glaucoma, ileo paralitico e ritenzione urinaria e il loro impiego può essere complicato da un potenziale di interazione relativamente alto con diversi altri farmaci. I TCA possono anche incrementare gli effetti sedativi di alcol e barbiturici, benzodiazepine e antipsicotici, alterando cosi le funzioni cognitive e psicomotorie. Interazioni possono anche verificarsi quando i TCA sono usati in combinazioni con antiaritmici, antipertensivi e anticoagulanti e possono inoltre prolungare l’intervallo QT dell’ECG, che è associato a rischio di aritmia e morte improvvisa e che aumenta ulteriormente in caso di associazione con altri farmaci noti per allungare il QT, come gli antiaritmici di classe I e III.

I TCA interagiscono anche con gli inibitori del CYP1A2, come ciprofloxacina e fluvoxamina, inibitori del CYP2D6 come la chinidina, fluoxetina, paroxetina, bupropione e inibitori del CYP3A4, come gli antimicotici della classe degli azolici e alcuni macrolidi. L’inibizione enzimatica dei CYP può causare incrementi dei livelli serici di TCA, con conseguente rischio di gravi reazioni avverse.

Inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRI)

A causa della loro efficacia, tollerabilità e relativa sicurezza, gli SSRI sono diventati gli AD più prescritti. Le evidenze scientifiche indicano che gli SSRI sono da considerarsi i farmaci di prima scelta nella depressione geriatrica. Tuttavia un rischio di interazione è comunque presente a causa del loro effetto inibitorio su vari isoenzimi CYP. Studi in vitro hanno mostrato che fluvoxamina, fluoxetina e paroxetina sono gli SSRI con il più alto potenziale di interazione con altri farmaci, mentre il rischio è basso con sertralina, citalopram ed escitalopram. Il rischio di interazione è maggiore negli anziani, in particolare nel caso di farmaci la cui eliminazione può risentire di alterazioni farmacocinetiche dovute all’età e per quelli con cinetica non lineare, come paroxetina e fluvoxamina. Per farmaci a lunga emivita come fluoxetina, il rischio di interazione persiste per settimane dopo la sospensione. Paroxetina e fluoxetina incrementano le concentrazioni di risperidone per inibizione del CYP2D6, mentre la fluvoxamina può incrementare i livelli di clozapina e olanzapina, entrambi substrati del CYP1A2. Interazioni clinicamente rilevanti possono occasionalmente verificarsi con aumento dei livelli di digossina dopo assunzione di paroxetina o fluoxetina.

L’associazione di fluoxetina con metoprololo o propanololo ha occasionalmente determinato gravi effetti cardiaci come bradicardia e arresto cardiaco, probabilmente per inibizione del metabolismo dei beta bloccanti da parte di fluoxetina sul CYP2D6. Paroxetina e fluoxetina sono potenti inibitori del CYP2D6 e pertanto possono ridurre l’efficacia dell’antitumorale tamoxifen. Recenti studi epidemiologici hanno evidenziato che gli SSRI sono associati ad aumentato rischio di sanguinamento del tratto digestivo superiore. Tale rischio è relativamente basso ma aumenta se tali farmaci sono associati a FANS, anticoagulanti o antiaggreganti, incluse basse dosi di aspirina. L’associazione con warfarin comporta invece un rischio di sanguinamento incrementato tra 2,5 e 3,5 volte.

Effetti collaterali degli AD nell’anziano

Effetti cardiovascolari

I TCA sono stati associati a rischio di tachicardia e blocco atrioventricolare a causa delle loro proprietà anticolinergiche. Tuttavia diversi studi epidemiologici hanno evidenziato un rischio aritmico anche in pazienti trattati con paroxetina o altri SSRI. Uno studio caso controllo ha evidenziato un rischio di arresto cardiaco più alto per la nortriptilina, seguita da mirtazapina, amitriptilina, citalopram ed escitalopram. A questo proposito la Food and Drug Administration, l’Ente per il controllo dei farmaci negli USA, ha lanciato un avvertimento circa il rischio di aritmia associato ad alte dosi di citalopram. Invece gli SNRI, come duloxetina e venlafaxina, sembrano relativamente sicuri dal punto di vista aritmico, tuttavia occorre prestare cautela riguardo al rischio di incremento dei valori pressori.

Iponatremia

L’iponatremia può essere un effetto collaterale da AD di tipo lieve (nausea e crampi muscolari) o addirittura asintomatico, ma in casi severi può comportare crisi epilettiche e coma. Un studio ha evidenziato che l’iponatremia è più comune in pazienti trattati con fluoxetina o TCA. Altri studi hanno mostrato che il rischio di iponatremia da AD è molto più elevato negli anziani che nella popolazione generale, specialmente in caso di concomitante terapia con diuretici e SSRI. Tra gli SSRI la paroxetina sembra essere associata a maggior rischio di iponatremia.

Cadute e fratture

Le cadute sono le più frequenti cause di lesioni nell’anziano e tra le maggiori cause di ospedalizzazione. Farmaci in grado di causare ipotensione ortostatica o turbe dell’equilibrio contribuiscono al rischio di cadute. Uno di questi, il trazodone, è comunemente prescritto a dosi sub-terapeutiche per il trattamento dell’insonnia nell’anziano. Le proprietà anticolinergiche dei TCA possono portare a stato confusionale, che aumenta il rischio di cadute. Inoltre l’effetto sui recettori alpha1 adrenergici può causare ipotensione ortostatica, specialmente in pazienti con storia di scompenso cardiaco congestizio. Donne anziane e pazienti istituzionalizzati sembrano essere i più esposti a cadute e rappresentano le categorie più a rischio quando si usano AD. SSRI e TCA comportano entrambi il rischio di cadute; una metanalisi ha evidenziato un rischio lievemente superiore con SSRI.

In sintesi, gli AD più recenti sono considerati relativamente sicuri nella popolazione adulta. Tuttavia, gli anziani possono essere particolarmente soggetti a sviluppare effetti collaterali, anche con SSRI. Tale rischio può essere ridotto evitando l’uso contemporaneo di farmaci potenzialmente interagenti e usando titolazioni ridotte in pazienti con insufficienza epatica o renale.

Commenti del revisore: importanza per la Medicina Generale

La depressione nell’anziano è una condizione spesso misconosciuta o comunque sottostimata, nonostante la sua elevata frequenza. Uno studio epidemiologico condotto in 11 paesi europei ha mostrato che l’Italia ha la più alta prevalenza di depressione tra gli over 65 (29.7%), superata solo dalla Francia. La depressione in età avanzata, oltre a ridurre la qualità della vita, aumenta il rischio di patologie associate e globalmente incrementa la mortalità. Pertanto la gestione della depressione nell’anziano, per la sua frequenza e per l’aumento di mortalità che ne deriva, costituisce un problema clinico di primaria importanza per il MMG. Numerosi studi scientifici hanno mostrato come l’uso di AD sia aumentato in maniera costante negli ultimi 15-20 anni, in particolare in seguito all’introduzione degli SSRI e SNRI. Tale incremento nelle prescrizioni di AD si è verificato in tutte le fasce d’età, ma appare essere particolarmente elevato negli over 65. D’altra parte gli stessi studi epidemiologici che hanno evidenziato l’aumento esponenziale delle prescrizioni di AD nell’anziano, hanno anche paradossalmente evidenziato il problema opposto. Buona parte dei pazienti anziani affetti da grave depressione non assume infatti alcun trattamento, con tutte le conseguenze sanitarie e sociali che ne derivano.

Partendo da queste premesse, uno studio epidemiologico sull’uso degli AD dal 2003 al 2009 è stato recentemente effettuato dalla SIMG avvalendosi dei dati del database di Health Search.

I dati di tale studio hanno evidenziato che la netta maggioranza dei pazienti in trattamento antidepressivo assume un SSRI (62%), il 5% un SNRI, il 3% mirtazapina, il 10% TCA e il 20% altre classi di AD. Si conferma inoltre la spiccata prevalenza nel sesso femminile nell’uso di AD (68% circa dei pazienti trattati). Particolarmente elevato è apparso l’uso di questi farmaci negli over 75. Globalmente, tutte le classi di AD hanno mostrato un incremento prescrittivo nel periodo in esame (figura 1), con escitalopram che presenta il maggior trend di crescita, seguito da paroxetina, citalopram e sertralina. Paroxetina si conferma il farmaco più prescritto, seguito da citalopram. (figura 2). II favorevole rapporto rischio-beneficio è uno dei motivi del successo degli SSRI. Essi infatti non sono più efficaci rispetto alle altre classi di AD, ma spesso mostrano migliore tollerabilità. Un altro punto critico della farmacoterapia della depressione in età avanzate riguarda la continuità del trattamento.

Le linee guida per il trattamento del primo episodio depressivo dell’adulto raccomandano un tempo minimo di sei mesi di terapia a dosaggio appropriato per evitare il rischio di recidive. Tuttavia vari studi mostrano che fino al 70% dei pazienti interrompe la terapia prima di questo termine. Lo studio di Health Search indica un incremento della prevalenza d’uso di AD in assenza di un parallelo aumento di incidenza. Questo dato dimostra che nella popolazione anziana italiana gli AD sono spesso usati in maniera intermittente, con brevi cicli ripetuti. Tale schema di trattamento configura un quadro caratterizzato da molte interruzioni di terapia arbitrarie e premature, spesso decise autonomamente, o comunque inappropriate. Il trattamento viene poi ripreso ad ogni successiva ricaduta. Infatti, lo studio mette in evidenza che oltre il 55 % dei pazienti non completa un anno di trattamento. Lo stigma associato alla depressione e soprattutto all’uso degli psicofarmaci ha certamente un ruolo importante nelle sospensioni premature. Fattori associati all’interruzione precoce del trattamento sono la presenza di comorbidità e le politerapie, in particolare l‘assunzione contemporanea di cinque o più farmaci. Tra gli anziani, pazienti di età compresa tra 65 e 74 anni interrompono più facilmente il trattamento rispetto agli over 75. L’uso di TCA, mirtazapina o trazodone sembra essere associato a maggior rischio di interruzione precoce, probabilmente per problemi di tollerabilità, mentre escitalopram è il farmaco a minor rischio di sospensione (figura3).

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 21 luglio 2015
Articolo originariamente inserito il: 21 luglio 2015
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