19
MAR
2014
Area Dolore – Cure Palliative

[Numero 80. Marzo 2014] Ridurre i farmaci potenzialmente inappropriati in malati di cancro sottoposti a cure palliative: prove a sostegno di approcci di “deprescribing”


Titolo originale: Reducing potentially inappropriate medications in palliative cancer patients: evidence to support deprescribing approaches.
Autori: Lindsay J, Dooley M, Martin J, Fay M, Kearney A, Barras M. - Australia
Rivista e Riferimenti di pubblicazione: Support Care Cancer. 2014 Apr;22(4):1113-9. doi: 10.1007/s00520-013-2098-7. Epub 2013 Dec 21.
Recensione a cura di: Irene Noè
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Sintesi
I malati di cancro che dai trattamenti chemioterapici o radioterapici vanno verso le terapie palliative hanno una prognosi infausta , con aspettativa di vita stimata comunemente a meno di 6 mesi . È quindi possibile che i farmaci per la prevenzione primaria e secondaria di altre malattie (sulla base su una speranza di vita) o per chi non ha benefici a breve termine, siano potenzialmente inappropriati per questi pazienti. Questi farmaci hanno spesso profili potenzialmente dannosi ,aumentando gli eventi avversi del paziente verso i farmaci , l’onere della pillola, e i costi dei farmaci. Nonostante questo, l’incidenza di politerapia nei pazienti oncologici in cure palliative è comune. Si è visto che i malati di cancro metastatico prendono una media di sette farmaci, di cui i farmaci preventivi rappresentano l’81%. Negli ultimi anni l’utilizzo del termine “deprescribing” è stato particolarmente crescente, intendendosi con tale espressione lo studio dei farmaci che forniscono un beneficio limitato nei pazienti, dovuto anche ai mutevoli fattori medici, nonché al quelli relativi a paziente stesso nel corso del tempo. Tale approccio richiede, spesso, un esame approfondito dei farmaci individuali del pazienti, rendendosi altresì necessaria un’attenta valutazione degli obiettivi di cura, del trattamenti e dei rischi e benefici potenziali, da parte del medico curante. Fondamentale indice risulta essere, inoltre, l’aspettativa di vita del paziente. Affrontando tale analisi, risulta logico corollario evidenziare l’uso dei PIMS, acronimo impiegato per riassumere la formula di “farmaci potenzialmente inappropriati”. La ricerca in tale campo, invero non del tutto soddisfacente, non può esimersi dal considerare la diversa tipologia di cura e di diagnosi, in quanto i risultati ottenuti variano sensibilmente a seconda dei metodi utilizzati e dei soggetti identificati quale target dello studio. L’unico dato incontrovertibile risulta essere, nondimeno, proprio l’impiego di farmaci che, probabilmente, non migliorano la qualità di vita di chi li assume né fanno registrare particolari benedici e, pur tuttavia, costituiscono una cura frequente e generalizzata in diversi classi di pazienti. Tali farmaci,infatti, rivelano profili spesso potenzialmente dannosi, aumentando gli eventi avversi, l’onere della pillola e i costi delle cure in questione. Riducendo l’oggetto dello studio a due grandi macrocategorie, è stato notato che i criteri sviluppati per l’ identificazione dei PIMS nella popolazione geriatrica appaiono maggiormente consolidati rispetto a quelli relativi a pazienti sottoposti a cure palliative. In quest’ultimo caso,infatti, non può sottacersi che i sintomi dolorosi dovuti alla malignità, i farmaci assunti per curare le complicanze da trattamento e la comorbilità, incidono in maniera sostanziale sulla valutazione generale in questione. Vi è, inoltre, un divario ancora consistente circa la conoscenza dell’oncologia palliativa, affermazione corroborata dall’esiguità di pubblicazioni che si occupano dell’argomento.
Per ciò che concerne l’impiego dei PIMS nei casi di cancro avanzato, sono stati proposto diversi metodi di ricerca. Riechelmann et al. hanno esaminato, ad esempio, le cartelle di 372 pazienti ambulatoriali canadesi affetti da tale patologia. Da questo è emerso che 82 di essi, ben il 22% quindi, assumeva almeno un “farmaco futile”, ovvero non necessario. Tale valutazione scaturiva da fattori quali l’assenza di benefici a breve termine rispetto alla sopravvivenza, la qualità della vita o al controllo dei sintomi del paziente e l’aspettativa di vita era di circa due mesi. Tuttavia, sono stati esclusi i soggetti ancora in terapia attiva contro il cancro, a nocumento dell’attendibilità in assoluto dei risultati ottenuti. Non è stato possibile misurare, infatti, la conseguenza della sospensione di alcuni farmaci, nonostante il pregio di aver fornito un’istantanea della proporzione dei pazienti oncologici che assumevano almeno un PIM. Analogamente, Fede et al. hanno condotto un’indagine sull’impiego di farmaci cosiddetti inutili, su 87 pazienti ambulatoriali brasiliani, che presentavano tumori solidi avanzati e malattie terminali(i.e. aspettativa di vita inferiore a 6 mesi secondo la valutazione dell’oncologo): il 24% dei pazienti assumeva almeno un PIM, il più comune dei quali era costituito dal protettore gastrico. I criteri consistevano nella sospensione di statine ( in assenza di un evento cardiovascolare nei 12 mesi precedenti), di protettori gastrici ( in assenza di una storia medica di sanguinamento gastrointestinale, ulcera peptica, gastrite o uso cronico di agenti anti-infiammatori steroidei e non), antiipertensivi , antidiabetici. Posto che lo studio era fondamentalmente un sondaggio, nessun farmaco è stato sospeso realmente, per cui, come nel caso di Reichmann et al. gli esiti concreti e i benefici ottenuti non possono essere misurati in modo inconfutabile. Alcuni dati sono, al contrario, emersi: il 44% dei pazienti percepiva almeno un farmaco come onere economico e il 26% dei pazienti ha riportato un evento avverso farmaco-correlato, ( diarrea e secchezza della bocca i più comuni). Recentemente, poi, Todd et al. hanno valutato la sussistenza di farmaci inappropriati nei pazienti che assumono erlotinib per il trattamento del cancro al polmone non a piccole cellule, attraverso uno studio multicentrico condotto su tre siti nel nord dell’Inghilterra. Dei 20 pazienti assunti quale target, 19 (ben il 95%!), era curato con farmaci riconosciuti e classificati come “inappropriati” da un team clinico. Quest’ultimo era composto da un farmacista, un infermiere e un oncologo e ha valutato, nella fattispecie, fattori quali l’aspettativa residua di vita, il tempo necessario per ottenere i benefici del trattamento e gli obiettivi di cura e del trattamento stesso. I PIMs prescritti più frequentemente risultavano essere gli inibitori della pompa protonica ( 55%), gli anticoagulanti (30%), nonché i farmaci lipido-regolatori (15%). Gli autori, in generale (e non a torto), raccomandano la formulazione di linee guida chiare sulla sospensione di farmaci non appropriati nei pazienti con cancro polmonare avanzato. È infatti possibile che i farmaci per la prevenzione primaria e secondaria di altre malattie siano potenzialmente inappropriati e dannosi per i pazienti sottoposti a cure oncologiche, considerando che è piuttosto comune la presenza di politerapia in tali soggetti e che, a titolo esemplificativo, i malati di cancro metastatico assumano una media di sette farmaci, di cui quelli preventivi rappresentano l’81%.
Per quanto riguarda la popolazione geriatrica, con PIMs si intendono quei farmaci o classi di farmaci che dovrebbero generalmente essere evitati nelle persone di 65 anni o più, in quanto inefficaci o altamente (e inutilmente) rischiosi, o infine perché è disponibile un’alternativa più idonea. I criteri sviluppati con maggior successo e, a fortiori, ampiamente utilizzati sono quelli di “Beers” e i cosiddetti “STOPP/START” ( Screening Tool of Older Person’s Prescriptions/ Screening Tool to Alert doctors to Right Treatment).
In primo luogo, bisogna evidenziare l’apporto teorico e scientifico dello studio di Buck et al., condotto nel 2009, che spicca, tra l’altro, per essere il primo studio multicentrico pubblicato in America. Esso ha misurato la prevalenza dei PIMs nelle pratiche ambulatoriali, utilizzando dati provenienti da cartelle cliniche elettroniche ed è stato in grado di analizzare la situazione di 61.251 pazienti attuali sopra i 65 anni. I criteri adoprati sono stati quelli di Beers e Zahn, indipendentemente dalla diagnosi o dalle condizioni individuali. Secondo i criteri di cui sopra, è emerso rispettivamente un 23% dei pazienti con PIM >1 e il 17% dei pazienti con, ancora una volta, PIM>1. Lo studio ha anche riscontrato una stringente correlazione tra il genere, la politerapia e il numero di visite di pronto intervento e la prescrizione del PIM. Allo stesso modo, Bongue et al. si sono serviti di un campione di pazienti, estratto dal database nazionale francese di assicurazione sanitaria, il quale copre l’80% della popolazione generale. In particolare, sono stati tenuti in considerazione i farmaci rimborsati a tutti i pazienti di età compresa tra i 75 anni e oltre, per un range temporale di 12 mesi, nel periodo2007-2008. Tra quelli sottoposti a scrutinio, 35.259 pazienti hanno ricevuto un rimborso e 18.864 di questi (il 53%) hanno ricevuto almeno un PIM. Per identificare i farmaci potenzialmente dannosi, gli studiosi si sono serviti della lista francese creata ad hoc, suddividendo i farmaci in 34 categorie sulla base di un rapporto rischio/beneficio sfavorevole, o di discutibile efficacia, nonché con la combinazione di entrambi gli indici. I farmaci non appropriati più diffusi sono risultati essere tre: vasodilatatori cerebrali, antimuscarinici e benzodiazepine a lunga emivita. L’indagine di Nyborg et al., si è appuntata invece sull’uso dei dati provenienti dal Prescription Database norvegese, il quale registra tutte le prescrizioni mediche dispensate dalle farmacie ai domicili degli anziani di 70 anni e più anni, durante il 2008. Lo screening ha coinvolto 11.491.065 prescrizioni, relative a 445.900 individui, i.e. l’88% della popolazione rientrante nel target prescelto. Orbene, attraverso il criterio selezionato, detto NORGEP, 115.341 soggetti hanno ricevuto uno o più PIM, 64.331 due o più e 3360 cinque o più PIMs. Un limite dello studio consiste nell’esclusione delle persone ospitate in istituti ( e.g. ospedali e case di cura) o dei farmaci sopranumerari venduti, con conseguente non recepimento di essi nel database utilizzato come parametro di valutazione. Per converso, nel 2011, Gallagher et al., si sono cimentati in uno studio prospettico di 900 pazienti di età uguale o superiore ai 65 anni, ammessi alle unità di medicina geriatrica acuta ubicate in 6 ospedali di tutta Europa. Sono stati utilizzati i criteri STOPP/START e i Beers, portando al risultato che il 51,3% dei pazienti ha ricevuto almeno un PIM alla luce del primo e il 30,4% tramite il criterio citato successivamente. L’analisi in base allo STOPP includeva più frequentemente le benzodiazepine e i neurolettici, uso prolungato e massiccio di inibitori della pompa protonica, nonché di benzodiazepine a lunga azione. Diversamente, nel 2010, Garfinkel et al. hanno valutato la praticabilità della sospensione dei PIMs su 70 pazienti, basandosi sull’algoritmo di “buone pratiche palliative geriatriche”, (GP-GP). Dopo l’interruzione dei farmaci in 64 pazienti (91%), questi ultimi sono stati monitorati per evidenziare qualsivoglia cambiamento nei sintomi o nei segni, attraverso precisi tests di laboratorio e diagnostici e con analisi di follow-up effettuate su tutti i partecipanti dai 3 ai 6 mesi. È stato notata la mancanza di significative reazioni avverse e, piuttosto, i pazienti in questione hanno riferito un miglioramento della salute, ma l’algoritmo era fortemente dipendente da un giudizio medico esperto.
Emerge con evidenza che la dimensione della sperimentazione nella cura del cancro è esigua se paragonata a quella geriatrica, dovuta probabilmente alla circostanza che in quest’ultimo caso sono stati utilizzati strumenti precisi e concreti, mentre nel primo i benefici riscontrati si arrestano a un livello meramente teorico, potendo solo ipotizzare i benefici correlati alla cessazione dei PIMs in questi pazienti. In aggiunta, può dirsi che il deprescribing si presenta come un’area importante della ricerca in quanto tutti i farmaci possiedono effetti collaterali potenziali e costituiscono un onere, anche in termini economici. La sospensione di alcuni PIMs, come accennato poco sopra, potrebbe portare a un risparmio significativo nelle spese destinate all’assistenza sanitaria. Una stima effettuata in Irlanda nel 2010 ha dimostrato che i farmaci potenzialmente inappropriati hanno rappresentato il 9% della spesa farmaceutica totale, la quale consisteva in 45 milioni di euro già nel 2007. I dati attuali suggeriscono, dunque, la necessità di sviluppare e approfondire dei criteri specifici, in particolare per i pazienti oncologici, nonché l’urgenza di riscontrare orientamenti chiari per la identificazione dei PIMs in tale classe di pazienti e studi interventistici che valutino funditus i risultati della sospensione.

Commento del revisore - Importanza per la medicina generale
Le decisioni da prendere alla fine della vita sono estremamente complesse e cangianti soprattutto per quanto riguarda l’utilità o la “ futilità” di alcuni trattamenti farmacologici e indagini diagnostiche invasive e non. Per questo motivi risulta essenziale, prima di intraprendere un trattamento (e non solo prima di sospenderlo), valutare con attenzione se esso è appropriato e coerente con il bene globale del paziente, o se non si configura piuttosto come “l’ostinata rincorsa verso risultati parziali a scapito del bene globale del malato”.

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Ultimo aggiornamento di questa pagina: 29 marzo 2014
Articolo originariamente inserito il: 19 marzo 2014
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